
Per capire dove va questo governo e quali prospettive è destinata ad offrire la scena politica, è bene prestare orecchio all’ex segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani.
Già nel 2013 Bersani era stato fautore di un accordo di governo tra Cinque Stelle e Pd. L’idea di allora era portare i Cinque Stelle, usciti vincitori dalle elezioni Politiche, nell’area di governo e “iniziarli” da sinistra all’esercizio del potere. Evitare dunque che prendessero ulteriore forza dall’opposizione – cosa poi puntualmente avvenuta – e che finissero per arrivare al governo, quando fosse il momento, con la destra. Così avvenne, dopo gli anni di Renzi e della forte ostilità tra il Movimento cinque stelle e il Pd: Di Maio si ritrovò al governo con Salvini e sembrò che l’alleanza populista si affermasse come inevitabile e imprescindibile.
Poi l’estate del 2019 accadde quel che accadde e tutto cambiò velocemente. Il Pd e il Movimento si accordarono per un governo, con la benedizione di Renzi e del piccolo partito di Bersani.
Dopo le regionali e il referendum di poche settimane fa, con i risultati che hanno rafforzato la maggioranza e in particolare il Pd, questo schema – lo “schema Bersani” – si è ulteriormente consolidato. L’ex segretario del Pd ha confermato in tv (a Otto e mezzo) che la collaborazione con il Movimento di Di Maio può continuare. E ha fatto capire che è in corso un progressivo e benvoluto assorbimento dei Cinque stelle. Assorbimento in due sensi: sia del gruppo dirigente che degli elettori, che spesso tornano a votare per i partiti tradizionali del centro-sinistra. La logica è quella di un modello bipolare – destra e sinistra – che ha costretto e costringerà sempre più, nei prossimi mesi, al saldamento del legame tra Movimento e partiti della sinistra. Se questa logica si afferma il partito di Di Maio non ha alcuna speranza di sopravvivere da solo, come hanno dimostrato i risultati delle elezioni.
Il ruolo di Conte è fondamentale, perché il premier è ormai considerato il naturale anello di congiunzione tra le due anime della maggioranza.
Da una parte ci sono i Cinque stelle in disfacimento, alle prese con risse interne e con una profonda crisi ideologica, che potrebbe prefigurare persino una scissione. La perdita identitaria e l’abbandono della natura barricadera – già segnalata quasi due anni fa -– sta riducendo il Movimento a un normale partito di amministrazione del potere, gravato semmai dall’assenza di una vera matrice ideologica.
Dall’altra c’è il Pd, che è sopravvissuto al suo momento più buio di due anni fa. I democratici, spinti dagli incoraggianti risultati nelle urne, stanno assumendo un ruolo di trazione nella coalizione: hanno ottenuto, dopo mesi, la revisione dei decreti Salvini su immigrazione e ordine pubblico – con forti novità a favore delle Ong e del sistema dell’accoglienza – e hanno ormai preso in mano la gestione politica del rapporto con l’Unione europea, lanciando forti aperture anche in direzione deòla partecipazione al famigerato programma Mes.
Il gruppo dirigente del Pd sembra sentire l’occasione di capitalizzare questo momento favorevole e di ottenere, in un colpo solo, alcune svolte programmatiche e un ruolo di egemonia dentro la coalizione.
C’è di più. A queste circostanze che sembrano complottare univocamente verso la realizzazione dello “schema Bersani” si aggiunge il tema della legge elettorale. Alla Camera è stata depositata la proposta della maggioranza dal grillino Giuseppe Brescia: un proporzionale con soglia di sbarramento al 5% che disincentiva il frazionamento e le velleità dei piccoli partiti. Inoltre il Pd, anche attraverso il segretario Zingaretti, era stato chiaro sulla necessità di continuare le riforme istituzionali dopo il taglio dei parlamentari. Annunciando il Sì del Pd aveva detto: “Il motivo principale sta nel fatto che a questo atto possono seguire altre riforme” e aveva proposto bicameralismo differenziato e introduzione della proposta di legge di iniziativa popolare.
C’è dunque un gran lavorio. Il governo ha ripreso vitalità, sul piano politico, dopo i responsi delle urne. Il Pd e la componente progressista si rafforzano – Giuliano Ferrara sul Foglio è arrivato a immaginare persino un ritorno nel Partito dei renziani e dei bersaniani, a suggellare lo spirito maggioritario. I Cinque stelle si ripiegano sui posti di potere conquistati e sull’alleanza con il Pd. Sette anni dopo, lo schema Bersani è più vivo che mai.