Del: 13 Ottobre 2020 Di: Simone Santini Commenti: 0
Nuovo cocktail enzimatico rende la degradazione del PET più veloce

Tutto è iniziato grazie a delle bottiglie giapponesi. Per la precisione, delle bottiglie in polietilene tetraftalato, meglio conosciuto come PET, destinate come milioni di analoghe confezioni immesse sul mercato a partire dagli anni ‘70 ad essere riciclate dopo l’uso.

Ma quelle bottiglie erano destinate ad un impianto per il riciclo con sede a Sakai, nella prefettura di Osaka, e lì il loro destino avrebbe incontrato – come un team di ricercatori guidato da Kohei Oda del Kyoto Institute of Technology e da Kenji Miyamoto della Keio University ha dimostrato nel 2016 – quello di un microorganismo particolare.

Ideonella sakaiensis, lo hanno chiamato: un batterio Gram-, aerobico e in grado di utilizzare il PET come unica fonte di carbonio e di energia. E questo grazie ad una famiglia di enzimi, le PETasi, che possiedono sia le qualità delle lipasi (enzimi idrolizzanti i grassi), sia quelle delle cutinasi (che idrolizzano la cutina, un poliestere), con il risultato di scindere progressivamente il polimero PET nei suoi mattoni costitutivi.

Un’ attività enzimatica che potrebbe rivelarsi estremamente utile nel combattere l’emergenza ambientale derivata dalla produzione sproporzionata di plastiche e dal loro gravare come rifiuti non biodegradabili sugli ecosistemi.

Certo, come afferma giustamente l’enzimologa Emily Flashman, siamo ancora lontani dal poter dire di aver trovato la soluzione finale al “problema plastica” nei molteplici enzimi che la digeriscono (oltre alle PETasi, già dal 1975 si conoscono ad esempio lipasi in grado di scindere il poliestere).

Tra le problematiche ancora da risolvere, spicca la necessità di approntare impianti controllati affinché le linee microbiche che verranno in un ipotetico futuro impiegate come “spazzini ultimi” del PET non si disperdano nell’ambiente, andando ad aggredire la plastica dei contenitori e degli strumenti indispensabili alle attività umane. Ciò necessiterà di tempo, e di denaro.

Tuttavia, molto si sta già muovendo per rendere la digestione enzimatica del PET una realtà del prossimo futuro, e una prova risiede nel risultato conseguito dal team guidato da John McGeehan, direttore del Centre for Enzyme Innovation, e da Gregg Beckham, ricercatore anziano del National Renewable Energy Laboratory.

Il loro lavoro, esposto in un articolo pubblicato il 28 settembre su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha portato alla creazione di un cocktail enzimatico comprendente PETasi e MHETasi, enzimi che aggrediscono il MHET, prodotto della reazione di degradazione del PET catalizzata dalle PETasi, presenti anch’essi in Ideonella sakaiensis.

Già soltanto mescolando i due enzimi nello stesso cocktail la velocità di reazione veniva raddoppiata, mentre unendo MHETasi e PETasi in un unico nuovo enzima chimerico la digestione enzimatica del PET diventava sei volte più rapida.

Un risultato importante per due veri guru del settore, già resi famosi dall’essere riusciti a ingegnerizzare PETasi nel 2018 aumentandone la velocità del 20%, che si fa apprezzare in tutta la sua significatività anche solo considerando che la degradazione del PET, operata da PETasi nel giro di giorni, impiegherebbe normalmente centinaia di anni.

Simone Santini
Nato nel 1999 e studente di Biotecnologia, scrivo racconti per entusiasmare e articoli quando la scienza è il racconto più entusiasmante.

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