
Dal 2 ottobre al 22 novembre, presso Palazzo Martinengo, Via dei Musei 30 a Brescia, è organizzata la mostra “I giovani sotto il fascismo”, incentrata sulla vita di bambini e ragazzi nell’era fascista.
L’allestimento ha lo scopo di documentare, sensibilizzare e rileggere in modo critico la didattica del Ventennio tramite oggetti, immagini, interviste e spezzoni d’epoca in una vivida narrazione a tutto tondo, che evidenzia sfaccettature diverse di un’unica realtà.
Grazie alla collaborazione dei cittadini bresciani e del Centro Studi RSI di Salò, sono stati raccolti ed esposti materiali d’epoca come fotografie, pagelle, libri scolastici, diari, fumetti, giocattoli, manifesti di propaganda, medaglie, cartoline e lettere, indumenti e divise appartenuti alle giovani leve. Aggirandosi per le sale si ha dunque la rara possibilità di vedere il mondo con gli occhi di un bambino nato nel 1915, completamente immerso nella martellante propaganda che farà di lui un perfetto italiano. L’esposizione, concentrata in sei sale dalla diretta forza comunicativa, lascia ampio spazio al potere delle immagini, che ritraggono uno spaccato intenso e tangibile di un universo di simboli, cerimoniali e realtà quotidiane che le parole quasi faticano a descrivere.
Ascoltare i racconti di chi ha vissuto quel periodo, vedere il loro sguardo carico di ricordi ha una valenza storica e culturale davvero impareggiabile. È impressionate come il fascismo abbia plasmato come creta un’intera generazione in poco meno di vent’anni, con l’intento di educare ed indottrinare in maniera capillare, di creare un “uomo nuovo” a misura di regime, sia sotto il profilo scolastico che ricreativo. Colpisce, in questo frangente, l’affermazione di Mussolini «L’uomo già a sei anni viene tolto in certo senso alla famiglia, e viene restituito dallo Stato a sessant’anni».
Seguendo questa logica, qualsiasi aspetto della vita, che fosse lavoro, scuola o tempo libero, gravitava attorno al partito. Perfino una scatola di liquirizia. Su una parete, una gigantografia di un bimbo sorride col saluto fascista: educato dall’Opera Nazionale Balilla, è un piccolo soldatino in miniatura: a lezione studiava sul testo unico e salutava la foto di Mussolini appesa vicina al crocifisso, per svago leggeva su “il Vittorioso” le avventure di Balilla e di valenti soldati patrioti, la sera ascoltava la radio con mamma e papà, partecipava alle parate, ai saggi ginnici e alle giornate commemorative, d’estate andava nelle colonie al mare per irrobustirsi.
Bravo ed obbediente, studiava la “dottrina” per entrare nella Gioventù Italiana del Littorio e, non appena adulto, diventare militare e membro del PNF a tutti gli effetti.
Sorte analoga avevano le Piccole Italiane: inserite nelle associazioni femminili del movimento, sarebbero diventate mogli e madri prolifiche per accrescere la popolazione italiana. Seppur discriminate in campo economico e sociale, donne e ragazze furono comunque soggetto attivo nella vita politica del consenso. L’alternarsi di uno spazio espositivo fisico, con oggetti da osservare, didascalie da leggere, e digitale, organizzato in sale dedicate, immerge completamente l’osservatore dentro il passato in un abbraccio senza precedenti, analizzando senza nostalgie ma con occhio attento e critico una delle pagine più determinanti della storia non solo italiana, ma anche mondiale.
Articolo di Laura Cecchetto