Del: 26 Novembre 2020 Di: Elisa Letizia Commenti: 0
Maradona è morto: il mondo piange il campione del calcio

Diego Armando Maradona si è spento a Buenos Aires, probabilmente a causa di un arresto cardiaco. Aveva compiuto 60 anni il 30 ottobre. Era stato operato recentemente al cervello per un edema, dopo il ricovero sembrava che le sue condizioni stessero migliorando, ma la situazione generale era ancora preoccupante.

La morte del calciatore è una di quelle cose che lasciano l’amaro in bocca; la notizia si è diffusa immediatamente sulla rete e ha scosso nazioni, città e persone scioccate della scomparsa improvvisa di Maradona.

Come si reagisce a una notizia del genere? Possiamo solo immaginare la tristezza e l’incredulità di migliaia di tifosi in tutto il mondo, di numerosi giovani appassionati e veterani dell’era d’oro del dio del calcio, gli stessi a cui aveva regalato le gioie di un goal e l’orgoglio della vittoria. Anche la città di Napoli piange la morte del suo re, città che lo aveva accolto e che di lui ha fatto un’icona.

Quando una personalità così straordinaria ci lascia non può che diventare leggenda, ma non Maradona: lui leggenda lo è sempre stato.

Un giocatore che ha fatto del campo da gioco il suo habitat naturale, ciò che faceva e sorprendeva il pubblico non lo aveva imparato ma era presente da sempre nel suo DNA; un prodigio scattante, imprevedibile nei suoi movimenti rapidi, nei suoi riflessi attenti e dalla tecnica unica e inimitabile. Ma la sua non è sempre stata una vita sotto i riflettori, come lui stesso diceva era “un ragazzo di periferia”, imparò a giocare per le strade con gli amici.

Nacque in una terra povera, dove cibo e lavoro scarseggiavano, i suoi genitori lavoravano entrambi per avere una vita dignitosa, per non cadere nella fame e mantenere un certo decoro nonostante la povertà. A due anni gli viene regalata la prima palla dallo zio, e non riesce a separarsene tanto da dormici insieme abbracciandola. Inizia ad appassionarsi al calcio dei grandi, segue il Boca (la squadra di calcio cittadina) come il padre, iniziando a sognare di inseguire il pallone sul campo dei mondiali per diventare “campeón del mundo”.

Tutto cambiò improvvisamente per il futuro campione: il debutto in prima divisione, dieci giorni prima di compiere i suoi sedici anni.

Quattro mesi dopo la convocazione in nazionale, contro l’Ungheria. La stampa lo chiamò “il Pelé bianco degli argentini”, ben presto le aspettative nei suoi confronti iniziano a crescere, diventando così una futura promessa del calcio. Cresce la sua fama, ormai il suo nome è conosciuto nel più povero dei quartieri di periferia del mondo, e con la fama cresce anche la sua ricchezza, quella che mai aveva avuto prima di quel momento. Ma come si sente spesso dire “la ricchezza non fa la felicità” ed infatti qualcosa si rompe dentro l’anima fragile del giovane campione, inizia a sentire troppo la pressione dei media, le aspettative sempre più cariche del pubblico, le critiche che accrescevano il suo senso di impotenza e fragilità di fronte alle ondate di ammiratori, la pressione dei giornali, dei paparazzi, le aspettative dei tifosi del Boca. Anche i genitori che vennero attaccati e insultati anche dai vicini che videro il loro concittadino come un traditore.

La pressione fu tale da portare il calciatore a confessare a un amico di voler mollare il calcio, stanco di quella vita, voleva che la gente dimenticasse il suo nome, che i giornali smettessero di parlare di lui, di dare a lui la colpa che non aveva, non voleva sentirsi insultato per le strade, voleva tornare al calcio di quando era bambino, quello che faceva per amore e passione. Ma come tutti sanno Maradona non si è certamente fermato: è il 4 Luglio 1984 che inizia il suo viaggio in Italia quando firma con il Napoli; verrà poi presentato allo stadio San Paolo di fronte a 60.000 persone accorse lì per lui.

Con Napoli ha sempre avuto un rapporto speciale, la sua gente gli ha sempre dimostrato un amore unico, per loro Diego era più di un calciatore, era l’eroe che aveva riportato l’orgoglio nei cuori del popolo napoletano e lui si riconosceva negli occhi di quei suoi piccoli tifosi napoletani che orgogliosamente indossavano la sua maglia.

In loro rivedeva il bambino che era quando rincorreva a piedi nudi il pallone per le strade.

Con la maglia del Napoli vinse due scudetti nel 1987 e nel 1990. Partecipò a ben quattro mondiali con la nazionale Argentina, vincendo da protagonista nel 1986 con 34 reti realizzate tra cui le famosissime due reti contro l’Inghilterra.

Ma anche Maradona aveva i suoi demoni: se da una parte il suo nome diventa leggenda del calcio, dall’altro i media svelano anche quel lato oscuro che lo ha sempre accompagnato: dalla droga, alla vita notturna, fino alle relazioni con la Camorra. Ma non è questo che vogliamo ricordare di lui. In questo momento difficile, come faremmo per un caro amico, vogliamo raccontare solo il meglio: quello che tutti ricordano e quello che rimarrà sempre nella memoria dei suoi ammiratori.

Era un artista del pallone, sembrava nato per destreggiarsi sui campi verdi degli stadi di tutto il mondo, per vincere e per infuocare gli animi dei tifosi che inneggiavano al suo nome attendendo una sua mossa per urlare di gioia al suo prossimo goal; quel goal che tutti sapevano avrebbe segnato perché lui è “el Pibe de Oro”, il re di Napoli, il dio del calcio, il maestro del pallone, inimitabile e unico nel suo genere.

Il bambino che giocava tra le pozzanghere di Buenos Aires e che sognava di diventare campione del mondo è riuscito non solo a vincere in campo, ma anche nei cuori di tantissimi appassionati del calcio e non, perché chiunque lo conosce, tutti hanno sentito parlare della leggenda, l’invincibile e da oggi l’immortale, Armando Diego Maradona.

Elisa Letizia
Sono Elisa, studio lingue, appassionata d'arte, musica e cinema. Nel tempo libero scrivo del presente e lavoro per costruire il mio futuro.

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