Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
L’avvento della seconda ondata di contagi da Covid-19 ha inevitabilmente portato a una valutazione delle recenti misure governative. Quante volte abbiamo sentito opinionisti vari lamentare l’istituzione dei vari bonus (per le biciclette, per le vacanze…) da parte del governo? Oggi non si vuole dare un giudizio su queste misure, poiché è anche sbagliato valutare una misura economica a così poca distanza, ma semplicemente spiegare cosa c’è dietro.
Perché hanno deciso di istituire un buono per le biciclette? A che serve?
La risposta si trova in un elemento di macroeconomia: il moltiplicatore keynesiano (che prende il nome proprio dall’economista John Maynard Keynes). Non temete, il nome è abbastanza spaventoso, ma il significato è più semplice di quanto sembri.
Se si vuol dare una definizione da vocabolario al termine, esso potrebbe essere inteso come un coefficiente (quindi un valore numerico) che indica di quanto un aumento della spesa pubblica fa aumentare il reddito nazionale (il famoso PIL, insomma). Capire come questo procedimento sia possibile non è proprio immediato, ma se partiamo dal significato di “PIL” può risultare più comprensibile. Come già sappiamo, esso è il prodotto interno lordo, che si può genericamente definire come la somma dei valori di mercato dei beni prodotti in un determinato paese. E a cosa si può assimilare il valore di mercato? Al prezzo del prodotto. Occorre ricordare che il prezzo viene dato dal punto di incontro tra domanda e offerta (guardando il grafico è certamente più chiaro). In questo modo si costruisce quindi una relazione tra reddito nazionale e domanda.
Il moltiplicatore keynesiano, o moltiplicatore di reddito, si inserisce in questa relazione tra domanda e PIL. Pensiamo a una situazione tipica di una famiglia: dei suoi guadagni mensili una parte verrà risparmiata, un’altra verrà devoluta agli acquisti di beni. Di questa quantità, una parte sarà tassata quindi uscirà dal circuito economico, l’altra sarà il profitto di un altro soggetto che si comporterà alla stessa maniera della famiglia citata all’inizio. In questo modo la ricchezza del Paese è stata accresciuta della spesa iniziale della famiglia per l’acquisto del bene, poi dagli acquisti che ne farà il secondo soggetto e così via, aumentando gradualmente nel tempo.
Ma se la famiglia non vuole spendere?
È qui che entrano in gioco i bonus: se è lo Stato a dare un incentivo alla famiglia affinché spenda (al di là del contesto nel quale spende, che siano vacanze, biciclette, computer…) la famiglia creerà domanda per quel determinato bene, portando quindi l’offerta a dover aumentare, innalzando il prezzo del bene e quindi il PIL. Il fatto che sia una distribuzione di bonus fa anche sì che non si vada incontro a una diminuzione della domanda dovuta all’aumento del punto di equilibrio tra domanda e offerta, almeno temporaneamente.
Come avrete sicuramente intuito infatti, l’efficacia del moltiplicatore keynesiano è legata anche al fattore tempo: per più tempo la famiglia spende, più “cicli di spesa” vengono generati, più il PIL aumenta. Quello del moltiplicatore è un po’ un effetto domino, si parte da una spesa che conduce ad altre successive, e tutti questi pezzettini nel percorso arricchiscono il Paese.
Sembra tutto perfettamente funzionale ed efficace, no?
In realtà anche il moltiplicatore ha i suoi limiti, non è un indice miracoloso in grado di rendere ricchissimi tutti. Innanzitutto il primo limite evidente, nel caso dei bonus di cui stiamo parlando (sono numerose infatti le possibilità in cui entra in gioco il moltiplicatore, non solo questa, come ad esempio in una riduzione della tassazione), è che lo Stato deve avere l’effettiva disponibilità economica per concederli. Certo, si può sempre creare debito pubblico e distribuire questi bonus, ma non dimentichiamoci di quanto questo influisce su altri indici economici e sui rapporti internazionali.
Un ulteriore limite può essere nel tempo, fattore di forza ma anche di debolezza: un bonus può aumentare il reddito nel breve periodo, ma quanto può influire poi per la crescita economica del Paese? Molto poco, in quanto si tratta di una tantum. Sicuramente efficace in un periodo di grande crisi, ma non necessariamente il metodo migliore quando si pensa con una prospettiva più ampia, dove potrebbe risultare conveniente investire il denaro pubblico in altri fronti. L’adozione di misure che influiscano su questo indicatore deve essere quindi molto attenta, e deve tener conto di una varietà di fattori molto ampia, oltre a quelli discussi oggi, in quanto la sua efficacia dipende da tante componenti che si influenzano reciprocamente.
Adesso sappiamo un po’ di più riguardo uno dei principi economici che ha guidato alcune scelte dello Stato italiano negli ultimi mesi, con i suoi pregi e i suoi difetti. È certo però che la valutazione dei suoi effetti andrà rimandata alla fine della crisi che stiamo attraversando.