Del: 18 Dicembre 2020 Di: Michele Pinto Commenti: 0

Quando parla i gesti più usuali sono due: incrociare le mani davanti al petto per segnalare scontro o convergenza e spingere davanti a sé il pugno per evidenziare potenza e decisione. Poiché Alessandro Barbero parla spesso dai palchi dei festival o dalla televisione, questi gesti sono diventati comuni, anche inconsciamente, per molti ascoltatori.

Barbero è lo storico del momento e negli ultimi mesi la sua fama è enormemente aumentata. Insegna Storia medievale all’Università del Piemonte Orientale ed è conosciuto al grande pubblico da almeno venticinque anni. La vetrina più prestigiosa è da tempo la piccola rubrica storica che cura all’eterno di Superquark. Quest’estate, all’alba della nuova edizione, Piero Angela l’ha punzecchiato: «Professore, ma lei non cambia mai?» Barbero si è disteso nel suo sorriso più giocondo e ha prontamente scandito: «Senti chi parla!» Ed è proprio così: Barbero nel corso degli anni è rimasto immutato. Continua a divertirsi un mondo a raccontare la storia, e persino la zazzera sulla fronte ha mantenuto quasi lo stesso aspetto. 

In fondo, chi l’avrebbe mai detto? Lui stesso si sorprende (fino a un certo punto) della notorietà e non nega che preferirebbe trascorrere il proprio tempo a casa, con sua moglie.

A Daria Bignardi, che lo intervistava intorno alle nove e mezza di sera, ha risposto ridendo: «A quest’ora di solito sarei a dormire». Invece negli ultimi anni, e soprattutto prima della pandemia, ha intrapreso un continuo vagabondaggio per l’Italia, chiamato dai festival culturali e dalle associazioni, per parlare di volta in volta di grandi e piccoli personaggi, guerre, storie locali, leggende medievali, appassionanti battaglie. E l’ha fatto su palchi all’aperto battuti dal vento – e lui con il maglioncino sulle spalle da perfetto borghese in trasferta –, in dimore storiche o castelli diroccati, persino nell’auditorium del Grattacielo Sanpaolo a Torino.

Nato proprio a Torino nel 1959 – «in una famiglia normalissima e rassicurante», dice lui – si iscrive al Partito comunista di Berlinguer – «c’era dento la gente migliore che facesse politica in Italia» – e nel giro di qualche anno diventa uno storico di fama. Nel 1996, giovanissimo, vince il Premio Strega con il romanzo Bella vita e guerre altrui di Mr Pyle, gentiluomo (1995). Mr Pyle, come Barbero chiama affettuosamente il libro, viene scritto in dieci anni di ricerche, studi e tentativi; si ispira ai romanzi di viaggio settecenteschi, un’altra grande passione di Barbero, e si snoda in pochi e decisivi mesi dell’Europa prussiana e napoleonica del 1806. Barbero ha raccontato di non aver avuto il coraggio, una volta terminata la scrittura, di mandare il manoscritto alle case editrici; l’ha mandato ad alcuni scrittori. Dopo qualche giorno Aldo Busi, uno dei destinatari, l’ha chiamato entusiasta e gli ha promesso: «Farò di lei un uomo ricco». Dopo qualche mese Mr Pyle usciva con Mondadori.

In realtà i romanzi sono solo uno svago che Barbero si concede a lato dell’intensa attività da storico. Alla ricerca scientifica, il suo vero mestiere, accompagna anche la pubblicazione di saggi storici di successo, come Carlo Magno. Un padre dell’Europa (2000), La battaglia. Storia di Waterloo (2003), Lepanto. La battaglia dei tre imperi (2010), Caporetto (2017) e Dante (2020).

Ma forse il vero cuore dell’opera di Barbero, almeno per l’impatto e il consenso che riescono a suscitare, sono le seguitissime conferenze di storia medievale e militare. In un memorabile ciclo sulla dinamica delle battaglie riesce nell’impresa di spiegare al profano la strategia decisiva adottata dai vincitori a Waterloo. Si dilunga sul ritardo dei prussiani e sulle sofferte decisioni di Napoleone, che un po’ alla volta esaurisce la sua fedele Guardia mandandola a consumarsi contro gli inglesi. All’ascoltatore appare come una scena cinematografica: gli inglesi disposti in compatti quadrati per resistere alla carica della cavalleria francese; restano immobili, perché il minimo movimento potrebbe rompere la compattezza e consentire ai cavalli nemici di vincere la paura e inserirsi nella crepa. Gli ufficiali inglesi faticano a tenere insieme i soldati, ma ci riescono e Wellington diventa un eroe. È una storia già conosciuta, ma Barbero è capace di centellinarla minuto per minuto, fino a renderla indelebile.

In un altro celebre brano racconta lo scoppio della Prima guerra mondiale. Come un orologio che batte il conto alla rovescia verso l’appuntamento con il destino, Barbero descrive i giorni cruciali della crisi, scanditi dai telegrammi inviati tra le capitali europee. L’imperatore tedesco Guglielmo è cugino primo dello zar russo Nicola II. I due si scrivono chiamandosi a vicenda “Willy” e “Niky”, in ricordo dei lontani tempi dei giochi infantili, cercando di convincersi l’un l’altro a desistere. Alla fine si dichiarano guerra.

Questa passione meticolosa per il dettaglio ha forse un’origine decisiva nella vicenda del grande storico Marc Bloch, fondatore della rivista Les Annales. Barbero spesso cita Bloch per dimostrare la difficoltà del lavoro dello storico, che deve barcamenarsi tra memorie e testimonianze spesso labili – e tanto più labili quanto più lontane. Deve maneggiare la memoria delle persone, che è fallace per definizione. Nulla è come appare. Nella conferenza appassionata in cui racconta la vita e la tragica fine di Bloch, ucciso dai nazisti perché tra i capi della resistenza francese, emerge un lato diverso, di ricerca minuziosa sulle abitudini e la vita quotidiana delle persone. Sono domande inusuali. A che ora si mangiava nel passato? Quando le nonne hanno cominciata a fare la marmellata in casa? Nei suoi interventi Barbero non riesce mai a trascurare questi aspetti. Mentre racconta l’agosto del 1939, con l’Europa che caracolla verso il nuovo conflitto mondiale, riesce a trovare il tempo, in mezzo alle mille informazioni che vuole dare, per ricordare un decreto del governo italiano che impone ai ristoranti, alla luce della situazione di emergenza, di inserire nel menù un solo pasto di carne al giorno. È un dettaglio rivelatore, che svela molto del momento storico che sta raccontando.

Non è vero quindi che si può essere solo storici austeri e compassati, dediti allo studio dei grandi eventi e delle grandi dinamiche della società.

Come ha dimostrato proprio la generazione di Bloch, tutti gli aspetti della vita umana possono essere interessanti. Quando negli scorsi mesi si è cominciato a dibattere intorno all’utilità e all’opportunità di certe statue nelle strade e nelle piazze delle città, Barbero non ha evitato di prendere posizione. Forse è una sua caratteristica: porsi sempre le domande decisive, non sfuggire, affrontare il problema, anche se scottante e d’attualità. In un’intervista al Fatto quotidiano sulle statue ha assunto una posizione controcorrente, specie a sinistra: «A me sembra anche una forma di razzismo: sotto le intenzioni di chi dice “oggi abbiamo certi valori, Churchill non le aveva, Colombo non li aveva, via le loro statue”, si celi la voglia della civiltà occidentale di dire noi siamo migliori degli altri, noi dobbiamo portare la civiltà e imporla alle altre civiltà e a quella gente strana che viveva nel passato. Chi sono questi stronzi che nel passato si permettevano di avere valori diversi dai nostri? Cancelliamoli». Non è in effetti un’opinione banale, liquidabile in un attimo. Probabilmente è stato capito anche da chi dissente.

Barbero riesce dunque a coniugare la piccola e la grande inquadratura: con passaggi repentini dall’aneddoto diaristico al grande contesto mostra la macchina infallibile della storia, che macina senza sosta e travolge ogni esistenza. La storia è di per sé il racconto di fatti incerti e confusi: lui stesso dice che nella storia c’è una sola certezza, quella cioè di «non invadere la Russia». Ma tutto quello che accade nelle storie di Barbero, per quanto incerto e confuso nella sua genesi, raggiunge la chiarezza cristallina di un romanzo. Appare solido e compatto. La storia, in questo modo, riesce a essere presente: si tratta di una realtà vivida, sullo stesso piano del presente, e ormai pacificata con se stessa. È talmente ben tracciata e contornata che appare inevitabile, per quanto ovviamente non lo sia; anche le cose più incredibili risultano sincere e normali, proprio perché sono avvenute. Non piega gli eventi per spiegare maldestramente il presente: sono accaduti, noi abbiamo la fortuna di poterli conoscere e vedere come se accadessero davanti a noi. Solidi e reali.

Se in Barbero c’è una maestria forse è proprio questa. Di fronte ai manuali scolastici fumosi e didascalici, non c’è niente di più solido del ritratto barberiano di Cavour: un uomo esuberante e bizzoso, che da giovane perde un patrimonio speculando alla Borsa di Londra e da primo ministro, dopo l’armistizio di Villafranca, finisce per litigare furiosamente con il Re, accusandolo di codardia e tradimento e lanciando le sedie per aria. E così per decine di personaggi ed eventi. Su internet, dove germogliano le migliori e le peggiori perversioni, c’è chi si dichiara vassallo di Barbero e chi monta video raccogliendo le truci parole longobarde esaltate in un apprezzatissimo intervento. Ecco allora che “spranga” ripetuto all’infinito acquista un carattere quasi mistico, proprio come la memorabile descrizione della rivolta dei ciompi a Firenze, nel 1378. Barbero sorride e poi attacca: «La marea degli operai comincia a sciamare per tutta la città e comincia a dare l’assalto alle case dei traditori. Li conoscono per nome. Messer Lapo da Castiglionchio, giudice: andiamo a bruciargli la casa!»

Ecco, una splendida solidità.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

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