L’epoca che viviamo non ci educa a rapportarci tranquillamente con il tempo di cui disponiamo: non ci è permesso il lusso di fermarci, di non dedicarci a una qualsiasi forma di produzione.
Tuttavia, emergono nel web alcune realtà che si impegnano a offrire uno spazio nel quale dedicare tempo alla cultura, al processo di verifica e al pensiero – e dialogo – critico.
Ebbene, perché esistono queste realtà? Come si può parlare di scienza, storia, letteratura, in modo tale da coinvolgere i meno esperti e coloro che solitamente sono meno propensi a dedicarcisi?
Rispondere a queste domande è l’obiettivo di questa rubrica, e lo facciamo attraverso alcune interviste a coloro che in un modo o nell’altro, forse, stanno riuscendo nell’intento.
Classe 1996, piemontese, Ruggero Rollini si dedica alla divulgazione scientifica dal 2015. Ha collaborato e collabora con moltissime realtà di alto livello quali Telethon, Superquark+, la Società Chimica Italiana e molte altre. Possiede un canale YouTube con più di 36mila iscritti e un profilo Instagram con più di 25mila followers. Abbiamo avuto il piacere di porgli alcune domande.
[L’intervista è stata editata per brevità e chiarezza]
C’è chi ti definisce un divulgatore, chi ti definisce uno youtuber… Tu però come ti presenteresti e come presenteresti il lavoro che fai a chi non ti conosce?
Quello che faccio è comunicare la scienza in tutte le direzioni: tra scienziati e politica, scienziati e industria e ovviamente tra scienziati e cittadini. Ho conseguito una laurea triennale in Chimica alla Statale di Milano e poi mi sono iscritto a un Master in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste. Ora sto facendo la Magistrale in Didattica e Comunicazione delle Scienze Naturali a Bologna e nel frattempo lavoro.
Un comunicatore della Scienza a 360° con un passato da “statalino”, cosa ti ha spinto a studiare proprio Chimica?
Inconsapevolezza – o forse incoscienza – ? In realtà da sempre sono appassionato di scienze, inoltre al liceo ho avuto una professoressa di chimica e biologia che ha stimolato molto l’interesse verso queste materie. Probabilmente ho scelto di laurearmi in chimica per non rinunciare a nessuna delle due: qualcuno la definisce “scienza centrale” poiché permette di indagare la realtà a vari livelli. Mi piace poter esplorare vari ambiti del sapere, e la comunicazione della scienza permette di saltare dalla storia della scienza all’antropologia della scienza, alla psicologia, all’epistemologia e, chiaramente, alla chimica.
Questa tua forte passione per la chimica e per tutte le Scienze ti ha fatto nascere la necessità di condividerla e di esporti così al grande pubblico. Quali erano le tue aspettative quando hai caricato il primo video su YouTube?
Il primo video su YouTube non era carico di aspettative, anzi, era quasi più un gioco. Certo, speravo che il video venisse visto ma non avevo un progetto di comunicazione o un obiettivo da raggiungere. I primi erano video molto ingenui e acerbi, concepiti per la semplice trasmissione di un’informazione. Dopo un paio di anni dalla prima pubblicazione, l’incontro con Dario Bressanini (che è stato ed è il mio mentore) mi ha aiutato a scoprire la comunicazione della scienza per quello che è realmente: non un “io padroneggio la mia disciplina e la racconto a te povero ignorante che non sai le cose”, ma una realtà estremamente più grande. Il mondo che ho scoperto tramite Dario e tutti i colleghi che ho avuto la fortuna di conoscere ha come obiettivo non tanto l’insegnamento di alcune nozioni quanto piuttosto la trasmissione di una cultura scientifica, cioè un certo modo di pensare e di approcciarsi al mondo.
Come si riesce ad attrarre persone disinteressate o estranee al mondo della scienza verso i propri contenuti?
È molto complesso dato che si è sempre in bilico tra l’essere un po’ clickbait e l’essere accattivanti. Io, per esempio, ho iniziato a parlare di chimica dell’ambiente sull’onda dei Fridays For Future, provando a costruire qualcosa su un interesse già presente. Come comunicatore della scienza ho tentato di cavalcare questo entusiasmo per provare a trattare pubblicamente l’effetto serra o altri argomenti affini. Se si raccontano cose a cui nessuno è mai stato interessato è più difficile risultare accattivanti, a meno che non si sia creato in precedenza un rapporto stabile con il pubblico a cui ci si rivolge e, in questo caso, più ignoto è l’argomento di cui si tratta più risulta interessante agli ascoltatori. Tuttavia, una tale situazione è il frutto di un rapporto che si costruisce nel tempo. Io al momento non credo di potermelo ancora permettere.
Parli quindi sia di argomenti molto discussi quali l’effetto serra e il buco dell’ozono, ma anche di temi più particolari come la “chemofobia” (la “paura della chimica”). Come ti prepari quando devi affrontare tutte queste diverse tipologie di argomenti?
Dividerei il mio lavoro di ricerca da quello di divulgazione perché l’approccio è diverso. Per quanto riguarda il lavoro di ricerca, quando ad esempio ho trattato il tema della chemofobia, ho letto tutto quello che era disponibile sui database di pubblicazioni scientifiche. Si tratta di un lavoro di ricerca sistematico e molto specifico. Quando invece tratto un argomento di divulgazione per prima cosa cerco di capire qual è l’idea comune della scienza sull’argomento: trovo un report internazionale se l’argomento è importante, se invece l’argomento è più particolare parto da una review della letteratura in modo tale da avere un’idea generale, per poi concentrarmi sui singoli articoli più specifici.
36mila iscritti su Youtube e 25mila followers su Instagram, cosa ne pensi di queste piattaforme e quanto ritieni siano importanti i social network per il tuo lavoro di divulgatore?
Quando mi contattano per un lavoro vengo scelto da un lato perché ho competenze specifiche su determinati argomenti, dall’altro lato per i numeri che registro sui social. Quindi al momento i social sono fondamentali. Su YouTube quello che viene pubblicato può essere scoperto anche dopo anni, inoltre permette di caricare video lunghi e quindi affrontare discorsi più complessi e delicati. Instagram invece è più momentaneo ed effimero, però è bello per il rapporto che permette di instaurare con i followers. La cosa ideale per fare comunicazione della scienza sarebbe chiacchierare con le persone una ad una e con Instagram ci si avvicina molto. I post di Instagram inoltre consentono di scrivere quasi un breve articolo che non è male per fare “divulgazione”. Uno dei miei post di maggior successo è stato quello sugli incendi in Siberia dello scorso anno, in cui ho provato a dare una chiave di lettura su ciò che stava accadendo.
La prima cosa che mi hanno detto al corso di giornalismo del Master è stata “la notizia è relazione, non esiste la notizia oggettiva”, nel momento in cui si dà una notizia si dà automaticamente anche un modo di interpretare il mondo. Questo nel giornalismo un po’ si sta perdendo, sui social no perché lì puoi fare come ti pare. Il problema è che man mano che le piattaforme si popolano diventa sempre più difficile emergere, io ho avuto la fortuna di essere un po’ un “pioniere” di certe piattaforme, non so se riuscirei a emergere adesso. L’ideale sarebbe individuare quelle che saranno le nuove piattaforme di successo e approdarvi prima degli altri. Tik Tok, per esempio, secondo me sta già saturandosi.
Ti faccio una domanda che ricevi spesso: come sei arrivato a essere autore di Superquark+? E com’è lavorare con un mito come Piero Angela?
La mia fortuna è stata quella di essere al posto giusto nel momento giusto: sono stato individuato su Youtube quando c’era ancora poca gente e in un periodo in cui stavo iniziando a formarmi in comunicazione della scienza, per cui i contenuti iniziavano ad essere un po’ più maturi. In sintesi, per arrivare a Superquark bisogna darsi da fare e saper cogliere le occasioni. Lavorare con Piero è particolare. In realtà noi autori giovani non abbiamo contatti diretti con il “Sommo”, ma lavoriamo alle puntate affiancati da un autore storico di QuarkTV. Piero poi supervisiona e legge tutti i testi dando o meno l’approvazione: se qualcosa viene pubblicata con la firma di Piero Angela vuol dire che è passata davvero da lui. È stato ed è ancora un innovatore pazzesco, come testimonia il fatto che si sia lanciato a 91 anni su RaiPlay… tanto di cappello. Quello che secondo me lo ha reso grande è che si rivolge a tutti, senza un target preciso: la scienza è di tutti e per questo bisogna creare contenuti che parlino a tutti.
Che libri consiglieresti a chi si vuole avvicinare alla chimica e alle scienze naturali? E a chi vuole approfondire questi temi?
Un libro bellissimo che si legge anche in un pomeriggio è Che cos’è la vita? La cellula vivente dal punto di vista fisico di Erwin Schrödinger. Di solito consiglio sempre anche Contro natura di Dario Bressanini e Beatrice Mautino, probabilmente uno dei migliori libri italiani di divulgazione. Uscito di recente (il libro più bello di divulgazione che ho letto quest’anno), Prossimamente nelle nostre vite. Dieci tecnologie emergenti che miglioreranno o distruggeranno tutto di Kelly e Zach Weinersmith.
Intervista di Daniele di Bella ed Elena Gentina.