Del: 5 Dicembre 2020 Di: Carla Ludovica Parisi Commenti: 1
Regine degli scacchi, ma non solo: il fascino di un gioco di strategia

Uno tra gli ultimi prodotti originali Netflix, La regina degli scacchi, ha ottenuto un successo senza precedenti: come riporta Wired.it, con 62 milioni di telespettatori è stata la miniserie più vista al suo esordio, seconda solo alla docu-serie Tiger King e la stessa FIDE ha posto enfasi sull’interesse in crescita verso gli scacchi nelle ricerche su Google. Si tratta di una serie certamente curata sotto l’aspetto scacchistico – emblematica, solo per fare un esempio, la nomenclatura degli episodi, che riprende termini del gioco come “aperture”, “forchetta” e “finale” senza tralasciarne il significato narrativo.

Ma non è di certo la prima opera a raccontare il fascino di questo mondo.

Un libro molto interessante sul tema è La novella degli scacchi (Scachnovelle) di Stefan Zweig. Pubblicato nel 1941, è ambientato durante un viaggio in nave nel corso del quale Mirko Czentovič, campione mondiale di scacchi ma, paradossalmente, al tempo stesso un uomo rozzo e ignorante, sfida gli altri viaggiatori. A riuscire a tenergli testa è soltanto l’enigmatico dottor B. che, come racconta all’io narrante, ha imparato a giocare in circostanze molto particolari, durante la prigionia nell’Austria occupata dai nazisti.

Trovatosi infatti confinato in una stanza d’albergo senza nessuna occupazione per potere tenere impegnata la mente e privo di ogni cognizione del tempo, il personaggio riesce, nel corso di uno dei tanti interrogatori che costituiscono il suo unico scambio di parole con altri, a impossessarsi di un libro di scacchi, che diventa di fatto il suo unico compagno durante la reclusione. Un’esclusività che ha, però, il suo prezzo, quello di portare il dottore all’ossessione per questo gioco, al punto da costringerlo al ricovero e alla raccomandazione, una volta libero, di non avvicinarsi mai più a una scacchiera in vita sua.

Entra qui in gioco un altro tema rilevante legato agli scacchi che osservava già G.K. Chesterton, quello della follia, generata dalla complessità del gioco e anche dalla dedizione assoluta dei giocatori.

Un aspetto che è ripreso in un’altra opera, ugualmente interessante, che alla Scachnovelle si ispira direttamente: si tratta de La variante di Lüneburg di Paolo Maurensig, un altro romanzo al cui esordio si incontra un personaggio, in questo caso il giovane Hans Mayer, che riferisce di essere diventato ossessionato dagli scacchi, il gioco che gli aveva insegnato il suo maestro Tabori.

Ed è quest’ultimo il protagonista della linea narrativa principale del romanzo: ebreo straordinariamente dotato in questo ambito, si trova prima a dover affrontare l’antisemitismo che non risparmia, con l’ascesa del nazismo, nemmeno questo ambiente, e poi, come viene più volte ricordato a “giocare all’inferno”, in un campo di concentramento, dove un ufficiale alla ricerca di un degno avversario gli propone sfide con una posta in gioco molto alta.

Una scelta narrativa sicuramente efficace che richiama – pur non pedissequamente – un’altra partita emblematica raccontata, questa volta, al cinema: quella tra la Morte e il cavaliere Antonius Block ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, una metafora che richiama abilmente la caducità della vita e i tentativi dell’uomo di sfidarla, di provare a darle scacco matto.

Carla Ludovica Parisi
Laureanda in Lettere Moderne dagli orizzonti non solo umanistici. Amo la complessità, le sfide e i problemi da risolvere.

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