Del: 27 Dicembre 2020 Di: Redazione Commenti: 0
Le 10 serie TV più “vulcaniche” del 2020

Anche questo lunghissimo 2020 sta per concludersi e la redazione di Vulcano Statale ha preparato una lista delle 10 serie TV più “vulcaniche” del 2020!

A cura di Valentina Testa.


Inutile nasconderlo: quest’anno, a farci compagnia più di tutti è stata la televisione. Di seguito i nostri picks tra tutte le serie uscite nel 2020, tra trame avvincenti, interpretazioni coinvolgenti, pianti e risate.


10. Schitt’s Creek (2015-2020, Canada – CBC Television)

Eugene Levy, Catherine O’Hara, Dan Levy e Annie Murphy in “Schitt’s Creek”

Le nove vittorie agli Emmy 2020 per la sitcom ideata da Dan e Eugene Levy hanno coronato la sesta e ultima stagione della serie, regalando ai fan dei finali emozionanti per tutti i suoi protagonisti. Cifra da record: il maggior numero di statuette preso da una commedia in un solo anno erano le otto vinte da The Marvelous Mrs. Maisel nel 2019. Nessuno prima aveva vinto tutte le sette categorie comedy nella cerimonia, né mai erano state vinte tutte le quattro categorie di recitazione nello stesso anno.

D’altronde, le interpretazioni dei quattro protagonisti sono irresistibili: a dare un volto alla famiglia caduta in disgrazia economica sono i due Levy, padre e figlio anche nella fantasia, Catherine O’Hara, che riveste di panni di madre (Mamma ho perso l’aereo! dice nulla?), e Annie Murphy, la ragazza apparentemente svampita e altra faccia della medaglia del fratello.

Schitt’s Creek è solo una delle tante serie tv comedy che, anno dopo anno, stanno conquistando il merito e il prestigio che gli spetta: con la loro scrittura leggera e allo stesso tempo toccante, ci ricordano che l’allegria nella vita di tutti i giorni è sempre dietro l’angolo, invitandoci a non sottovalutarla.


9. Romulus (2020-in produzione, Italia – Sky Atlantic)

Facciamo un salto in patria e riavvolgiamo il nastro del tempo fino al VIII secolo a.C., quando, nel territorio dell’attuale Lazio, dominavano violenza e terrore, in un mondo primitivo e brutale nel quale il destino di ognuno è deciso dal potere implacabile della natura e degli dèi. Sta suonando qualche campanella? “Ma è Il Primo Re di Matteo Rovere!” No e sì.

No, non è Il Primo Re, è Romulus.

Sì, è sempre di Matteo Rovere. E, come già nel Primo Re, l’iperrealismo e il mito si mescolano tra di loro, in una storia raccontata interamente in protolatino sulla genesi della città più famosa del mondo.

Sono rischi rari nella televisione italiana, affezionata alla fiction famigliare, ma che sono premiati dal successo di pubblico e dal plauso della critica. Portano l’attenzione di solito riservata al cinema anche nelle case e ci lasciano sempre emozionati. Speriamo di poter continuare a vederli con frequenza sempre maggiore.


8. We Are Who We Are (2020, Italia e USA – HBO)

Jack Dylan Grazer e Jordan Kristine Seamón in “We Are Who We Are”

Restiamo a casa nostra, più precisamente a Chioggia, con la miniserie diretta da Luca Guadagnino (Chiamami col tuo nome) sulle vite di due adolescenti americani che vivono in una base militare statunitense. I giovani sono seguiti nelle loro emozioni, creando così una completa immersione nel loro mondo e lasciando da parte gli adulti: si potrebbe storcere il naso, dato che il rapporto con i genitori è fondamentale nel racconto dell’adolescenza. Ma, d’altra parte, non è poi vero che tappa altrettanto fondamentale è lo scontro e la volontà di cancellare la generazione precedente?

Un coming-of-age per il piccolo schermo girato come se fosse da grande schermo, di una qualità d’eccezione che crea un’avvolgente esperienza per lo spettatore.


7. I May Destroy You (2020-in produzione, UK e USA – BBC Once e HBO)

Michaela Coel in “I May Destroy You”

Michaela Coel ha scritto, diretto e interpretato la storia semi-autobiografica di Arabella, una scrittrice che è stata stuprata dopo essere stata drogata in un bar e che non ricorda il volto del suo stupratore. Con una risposta di critica niente meno che entusiasta, I May Destroy You è sicuramente uno dei migliori show del 2020 per come è in grado di seguire una trama emotiva intricata riguardo al delicatissimo tema delle conseguenze personali di una violenza sessuale.

Definita una “dramedy” (drama e comedy), la storia è controllata e ben dosata sin dal primo episodio, svolgendo una narrazione su come il trauma impatta sulla vita della vittima e sulla sua visione del mondo, che tocca anche razza, genere, sessualità, famiglia e social media. Conclude su un finale quasi alla “scegli la tua avventura”, che ancora torna a sottolineare che le sensazioni di chiusura e di chiarezza, in certi casi così estremamente delicati, spesso sono semplicemente effimere.


6. The Crown (2016-in produzione, UK e USA – Netflix)

Josh O’Connor, Emma Corrin, Olivia Colman e Gillian Anderson in “The Crown”

L’anno scorso abbiamo detto che The Crown era la sesta serie tv migliore degli anni Dieci e quest’anno le riconfermiamo la sua posizione. La sua quarta stagione, l’ultima che vedrà il premio Oscar Olivia Colman nei panni della regina Elisabetta II d’Inghilterra, ha di nuovo incantato ed emozionato il suo pubblico fedele, e si è anche guadagnata non pochi nuovi spettatori. C’è da ammettere la presenza di un maggiore grado di narrazione romanzata rispetto a ciò a cui ci aveva abituati Peter Morgan, sempre estremamente ligio all’accuratezza storica, ma, siamo onesti: gli si perdona tutto, una volta che si vedono i dialoghi portati in scena.

Ogni shot di The Crown merita le più alti lodi possibili. Quest’anno, degne di particolare nota sono le interpretazioni di Josh O’Connor e di Emma Corrin nei panni di Charles e Diana, che entrano nell’intimità di quella che è stata una delle coppie più chiacchierate della storia. Ma, soprattutto, irraggiungibile è stata Gillian Anderson nei panni di Margaret Thatcher: trasfigurata nella Iron Lady, Anderson buca lo schermo e arriva dritta allo stomaco di chi sta guardando, lasciandoci sul divano in preda agli stessi sentimenti che proveremmo se stessimo ascoltando la vera Thatcher parlare. Positivi o negativi, sta al singolo: intanto, qui si inizia a preparare la campagna per la nomination agli Emmy 2021.


5. The Haunting Of Bly Manor (2018-in produzione, USA -Netflix)

Dal creatore di Doctor Sleep (aspirante sequel di Shining), Mike Flanagan, nel 2018 viene prodotta da Netflix The Haunting, una serie antologica che per il momento conta due stagioni. La prima è intitolata The Haunting of Hill House, tratta dall’omonimo romanzo della statunitense penna di Shirley Jackson (in Italia edito da Adelphi con il titolo L’incubo di Hill House).

La seconda in particolare, uscita su Netflix questo autunno, si intitola The Haunting of Bly Manor, in cui ritroviamo quasi tutti gli attori della prima stagione a interpretare i nuovi personaggi. Questa volta la penna che Flanagan è andata a scomodare è quella di Henry James, autore di The Turn of the Screw, un racconto pubblicato sul finire dell’Ottocento (edito in Italia con il titolo Il giro di vite).

L’intento di Flanagan è quello di portare sul piccolo schermo dei prodotti che siano molto più che storie dell’orrore: ad aleggiare in queste storiche dimore infatti sono sì i fantasmi, ma accompagnati da un’atmosfera di inquietudine che permea ogni oggetto, ogni stanza, ogni gesto dei protagonisti. Flora e Miles sono i due bambini che vivono a Bly, forse le uniche persone viventi nella dimora a dimostrare di avere consapevolezza di ciò che accade loro intorno e gli unici in grado di proteggere gli adulti – che dovrebbero prendersi cura di loro – dal terrore generato da quelle stanze e da quei fantasmi del passato che ritornano ogni notte a inquietare le loro vite.

(Recensione di Francesca Rubini)


4. La regina degli scacchi (The Queen’s Gambit) (2020, USA – Netflix)

Anya Taylor-Joy in “Regina di scacchi”

Gli scacchi sono notoriamente lo sport dei cervellotici: eppure, negli Stati Uniti, poco tempo fa la vendita di scacchiere è salita dell’87%. L’evento cruciale che ha portato a questa corsa alle stelle? Netflix ha rilasciato The Queen’s Gambit con Anya Taylor-Joy. Il successo straordinario della Regina di scacchi è stato globale, tanto che Netflix ha registrato la sintonizzazione sullo show di ben 62 milioni account nei primi 28 giorni dal rilascio. E come biasimarci?

La storia avvincente e al contempo drammatica, gli escamotage quasi del racconto d’azione per raccontare una partita di scacchi, la forte protagonista femminile che si scontra con dipendenza da droga e trauma familiare, la storia d’amore (o le storie d’amore)… gli ingredienti per il capolavoro sono tutti presenti.

Il magnetismo di Taylor-Joy (già protagonista di Emma.) è solo la ciliegina sulla torta che ci potrebbe portare a restare incollati allo schermo per otto ore di fila, ad osservarla controllare il suo piccolo mondo sulla scacchiera in mezzo a una vita per lo più incontrollabile, ben vestita nei suoi outfit disegnati per ricordare i quadrati del tabellone e le forme dei pezzi da muovere.

Beth Harmon è l’eroina devastata e devastante che vorremmo allo stesso tempo proteggere e spingere a fare tutto ciò che può con il suo talento: riuscirà a vincere la sua partita?


3. Unorthodox (2020, Germania e USA – Netflix)

Shira Haas in “Unorthodox”

Basata sull’autobiografia di Deborah Feldman Ex ortodossa: Il rifiuto scandaloso delle mie origini chassidiche, Unorthodox è il racconto scioccante della diciannovenne Esther Shapiro che scappa dalla comunità ultra-ortodossa ebraica del quartiere di Brooklyn. Una straordinaria Shira Haas porta in scena il tormento prima e la liberazione poi di Esty, con un’intensità emotiva che avvicina non poche volte alle lacrime chi la guarda: la sua storia di crescita e il suo scontro con l’unico mondo che ha sempre conosciuto sono così crudi e dolorosi da lasciarci addosso un’inquietudine particolare, ancora più accentuata dalla consapevolezza che non solo si tratta di una storia vera, ma che non si tratta neanche di comunità estinte. A questa sensazione partecipa in grande misura l’uso dello yiddish, che stride nelle orecchie di chi non lo conosce e sottolinea la chiusura di un mondo poco accessibile, che ci tiene a restare impenetrabile.

La storia di Esther e della sua emancipazione raggiunta grazie alla riscoperta dei propri talenti, con una prospettiva di un nuovo futuro da costruire da zero e la scoperta di tutto ciò che di bello e di esaltante la vita può offrire riesce nel doppio intento, da un lato, di mettere a nudo la misera esistenza a cui ancora troppe donne sono obbligate in nome dei più vari motivi religiosi e socio-politici e, dall’altro, di gettare una luce di speranza sul tempo di chiunque si senta intrappolato nella propria stessa vita.


2. Normal People (2020, Irlanda – BBC Three e Hulu)

Paul Mescal e Daisy Edgar-Jones in “Normal People”

«There’s an ache in you, put there by the ache in me / But if it’s all the same to you / It’s the same to me» canta Taylor Swift in ‘tis the damn season, e probabilmente esistono poche altre parole che descrivono così bene il rapporto di Connell e Marianne. «Due ragazzi brillanti, che si riconoscono immediatamente come simili nonostante le evidenti differenze sociali e creano un intenso legame che oscilla continuamente – senza mai spezzarsi davvero – tra amore e amicizia»: così ne abbiamo parlato nella nostra recensione.

Le bellissime interpretazioni di Paul Mescal e Daisy Edgar-Jones portano sullo schermo una storia d’amore che spiazza per la sua (sembra scontato dirlo) normalità. Che non vuol dire assolutamente banalità, anzi: seguiamo i due giovani attraverso problemi di famiglia, di salute mentale e di salute fisica, vediamo come vivono insieme e come vivono separati, osserviamo come cercano di costruire le loro vite separatamente e come, in un modo o nell’altro, finiscono per ritrovarsi ogni volta. Ci sono l’uno per l’altra nei momenti di felicità e ci sono per alleviare reciprocamente il loro dolore, che a volte nasce dall’altro stesso.

Non una storia di amore salvifico, ma neanche di amanti dannati dalle stelle: solo, due Persone normali (questo il titolo del romanzo originale di Sally Rooney) che ci fanno vedere qualche anno del loro percorso di vita, e che lasciamo alla fine ben lontani dal loro punto di arrivo, ancora informi ma non più ossessivamente interdipendenti. Liberi e forti abbastanza da andare avanti con le proprie gambe.


1. Dark (2017-2020, Germania – Netflix)

Chiunque abbia girato gli occhi al cielo quando ha sentito la frase «Dark parla di viaggi nel tempo» si è ricreduto dopo aver schiacciato play sul primo episodio. Forse è vero che il trope è ormai sovrautilizzato, ma Dark è qui per dimostrarci che non serve inventare ogni volta qualcosa di geniale e completamente inaspettato per coinvolgere lo spettatore, che non serve sempre cercare l’effetto shock per lasciarlo senza parole, ma, anzi, che una solida sceneggiatura può reinventare anche l’inganno letterario più vecchio del mondo, il famoso deus ex machina finale. Perché cos’altro è la puntata finale di Dark se non la trasposizione odierna del dio greco che arrivava in scena alla fine della tragedia per risolvere la situazione? Eppure, per quanto all’occhio più allenato i twist di Dark possano essere stati prevedibili, ciò non ha leso la qualità massima della serie tedesca, conclusasi quest’estate dopo tre stagioni che hanno tenuto tutti gli spettatori con il fiato sospeso.

Filosofica, romantica, appassionante e con una sfumatura di critica sociale che non guasta mai: abbiamo seguito Jonas, Martha e tutti gli abitanti di Winden nel loro ultimo viaggio tra lo spazio e il tempo, ci siamo commossi e abbiamo avuto risposte, forse abbiamo urlato qualche volta allo schermo. Dark è stata sicuramente la serie migliore dell’intero 2020.

 Immagine di copertina realizzata da Valentina Testa.
Redazione on FacebookRedazione on InstagramRedazione on TwitterRedazione on Youtube
Valentina Testa on FacebookValentina Testa on InstagramValentina Testa on Twitter
Valentina Testa
Guardo serie tv, a volte anche qualche bel film, leggo libri, scrivo. Da grande voglio diventare Vincenzo Mollica.
Francesca Rubini on Instagram
Francesca Rubini
Vado in crisi quando mi si chiede di scrivere una bio, in particolare la mia, perché ho una lista infinita di cose che mi piacciono e una lista infinita di cose che odio. Basti sapere che mi piace scrivere attingendo da entrambe.

Commenta