
A più di un anno dalla presentazione dei progetti per la costruzione di un nuovo distretto dello sport a San Siro, i milanesi stanno ancora aspettando di sapere che cosa ne sarà dello stadio intitolato a Giuseppe Meazza. Indipendentemente dal fatto che la scelta ricada sul progetto di Populous La cattedrale o su quello di Sportium/Manica Gli anelli di Milano (ne avevamo parlato qui), una cosa è certa: in caso di via libera, bisogna pretendere chiarezza sui titolari delle società che, qualora si decida di dire addio a uno dei simboli di Milano, metterebbero a disposizione un capitale di oltre 1 miliardo e 200 milioni di euro.
Un breve riassunto delle puntate precedenti.
In seguito alla prima presentazione dei progetti, la giunta Sala aveva subordinato la delibera del pubblico interesse al rispetto di sedici condizioni, di cui tre particolarmente significative. La prima consisteva nella pretesa di non demolire lo stadio che, partita dopo partita, ha accolto centinaia di migliaia di tifosi; la seconda riguardava il rispetto dell’indice volumetrico previsto dal Piano di Governo del Territorio del Comune di Milano. La terza, invece, imponeva che si esplicitassero i «titolari effettivi delle società contraenti la Concessione comunale».
Sul primo punto, le squadre hanno accolto la pretesa avanzata da palazzo Marino, poiché entrambi gli ambiziosi progetti, ad oggi, prevedono la rifunzionalizzazione dello stadio, destinato a diventare il cuore di un distretto dedicato allo sport e all’intrattenimento attivo 365 giorni all’anno. Per quanto riguarda la seconda questione, invece, è stato necessario trovare un punto di incontro tra l’indice volumetrico stabilito dal PGT (0.35) e quello richiesto dai club (0.67). La mediazione ha permesso di arrivare a fissare un valore pari allo 0.51: una cifra non doppia, ma comunque molto elevata rispetto a quanto previsto dal piano del comune di Milano. Sul terzo punto, invece, il Comune ha accettato che i titolari effettivi della concessione vengano comunicati in sede di gara.
Le criticità.
Sul tema dell’abbattimento del Meazza, le controversie non mancano. La Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale, infatti, ha deciso che lo stadio può essere demolito perché non presenta un interesse culturale da tutelare. Questo verdetto contraddice il parere espresso mesi prima dalla sovrintendente ai beni culturali Antonella Ranaldi, secondo cui lo stadio va considerato come un’icona, la «Scala del calcio» (in particolare il secondo anello). Il problema legato all’alto valore dell’indice volumetrico rimane irrisolto, e ad esso si aggiunge il fatto che, ad oggi, il comune di Milano sta trattando con qualcuno di cui si ignora l’identità. A richiamare l’attenzione sul tema sono stati due episodi: la pubblicazione di un parere del comitato antimafia e un’inchiesta di Report.
Per risolvere il problema basterebbe adeguarsi all’ultima direttiva antiriciclaggio europea, secondo cui gli Stati membri sono obbligati ad istituire un registro dei titolari effettivi delle imprese. La direttiva risale al 24 luglio del 2019 e concede tempo per la trasposizione fino al 10 gennaio 2020.
Siamo ben oltre il tempo massimo, ma l’Italia non ha ancora provveduto ad istituire un registro che sarebbe necessario (anche) per fare chiarezza sulla trattativa che riguarda il nuovo distretto di San Siro.
Come ricostruito dal giornalista Luca Chianca per Report, infatti, dopo la vendita del Milan da parte di Silvio Berlusconi si sono susseguite delle operazioni che, ad oggi, rendono impossibile l’identificazione del vero proprietario della società calcistica. Si tratta di un gioco di scatole cinesi e società offshore che ha insospettito sia la commissione antimafia presieduta da David Gentili, sia il comitato antimafia di Milano presieduto da Carmen Manfredda, il cui parere sull’intervento urbanistico che dovrebbe trasformare il distretto di San Siro è stato chiaro fin da subito: no, se non si conoscono i titolari effettivi degli enti con cui il comune sta trattando. Una presa di posizione così netta da parte di un comitato voluto dal sindaco Sala in persona dovrebbe quantomeno far riflettere, tanto più che Milano ambisce a definirsi «capitale nazionale dell’Antimafia».
La pandemia.
Il quadro finora delineato appare ancora più critico se lo si inserisce nel contesto storico che stiamo vivendo: le organizzazioni mafiose hanno sempre dimostrato di saper sfruttare le occasioni che la storia mette a loro disposizione, dalla ricostruzione post terremoto dell’Irpinia nel 1980 al crollo del muro di Berlino. In un momento storico così delicato, in cui la crisi economica dovuta alla pandemia rischia di avvantaggiare le organizzazioni criminali, Milano non può permettersi di dare segnali equivoci. Le mobilitazioni sul tema sono molte, dalla petizione lanciata da WikiMafia alla manifestazione dei Verdi, che fanno notare come Milano non abbia «bisogno di nuovo cemento, ma di valorizzare quello che ha».
È nato, inoltre, il Comitato Coordinamento San Siro, che a sua volta ha lanciato una petizione in cui, anziché costruire un nuovo stadio, propone di ristrutturare quello già esistente, e si oppone alla consegna del terreno pubblico «nelle mani di speculatori».

È evidente, dunque, che i cittadini pronti a schierarsi dalla parte della legalità sono tanti, ma hanno anche bisogno di un incoraggiamento.
Questo dimostrano le parole della dottoressa Alessandra Dolci, capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano: è da febbraio, infatti, che non si registrano denunce per usura alla Dda, e purtroppo il motivo non è il drastico calo di incidenza del reato, bensì la reticenza degli imprenditori. In un contesto simile, è necessario che le istituzioni dichiarino chiaramente che la strada giusta è sempre quella della legalità, e che dimostrino di volerla percorrere.