Del: 6 Gennaio 2021 Di: Redazione Commenti: 0
Anche il Kazakistan abolisce la pena di morte

Il 2020 non è cominciato né finito nel migliore dei modi, e nel complesso è stato da molti considerato l’anno peggiore degli ultimi tempi: la stessa copertina del Time del 14 dicembre vede scritto “2020: the worst year ever”.

In questa aria di negatività, dominata prevalentemente da notizie riguardanti la pandemia di Covid-19, abbiamo spesso perso di vista svolte significative e da celebrare, come l’abolizione della pena di morte in Kazakistan. 

Nel 2020, già 234 anni dopo la prima abolizione della pena di morte da parte del Granducato di Toscana, ancora diversi Stati al mondo mantengono e utilizzano simili sanzioni: tra questi ad esempio gli Stati Uniti, dove quest’anno abbiamo purtroppo assistito a un’allarmante ripresa delle esecuzioni federali. 

Anche in Cina, dove i dati sulla pena di morte sono tutt’ora considerati come segreto di Stato, la situazione resta grave, così come in Medio Oriente: Iran, Iraq e Arabia Saudita, infatti, sono da soli responsabili dell’80% delle sentenze capitali al mondo.

Ma l’anno appena concluso ha portato con sé anche buone notizie nel campo della lotta per i diritti umani: in Giappone infatti il 2020 si è chiuso senza esecuzioni, risultato importante raggiunto in precedenza solamente nel 2011, mentre il Kazakistan ha abolito definitivamente la pena capitale, andando ad aggiungersi agli altri 106 Stati abolizionisti.

La decisione non è stata inaspettata: l’ultima condanna a morte nel paese era infatti avvenuta nel 2003, immediatamente seguita da una moratoria sulle esecuzioni.

Nel 2007 poi un emendamento alla Costituzione del Kazakistan aveva ridotto l’applicazione della pena di morte agli atti di terrorismo e ai reati gravi commessi in tempo di guerra: si parlava perciò da tempo di rendere questa innovazione definitiva.

Il percorso verso questo traguardo è cominciato il 23 settembre, presso la sede delle Nazioni Unite di New York, quando il rappresentante della Repubblica del Kazakistan, Kairat Umarov, ha firmato il Secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici sull’abolizione della pena di morte.

È stato però il primo gennaio 2021, per cominciare bene il nuovo anno, che il Presidente Kassim-Jomart Tokayev ha firmato la ratifica parlamentare del protocollo, abolendo ufficialmente la sentenza capitale.

Il Protocollo, attualmente ratificato da 88 Stati delle Nazioni Unite, era stato adottato nel dicembre 1989 ed entrato in vigore nel luglio 1991: esso promuove l’abolizione della pena di morte, dichiarando che questo «contribuisca a promuovere la dignità umana e lo sviluppo graduale dei diritti dell’uomo», e consista in un «progresso per quanto riguarda il godimento del diritto alla vita».

Come scrisse già due secoli fa Beccaria, «Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitro di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita?»

La ratifica di questo accordo fa parte di un ampio pacchetto di riforme che il Kazakistan sta portando avanti da tempo, volto alla liberalizzazione e alla democratizzazione della realtà socio-politica del Paese: già a maggio 2020 il Presidente aveva infatti firmato diverse leggi che prevedevano maggior libertà per i cittadini di riunirsi pacificamente e una più controllata e democratica organizzazione delle elezioni e delle attività dei partiti politici.

Purtroppo, nonostante i tentativi di cambiamento, in questo Stato dell’Asia centrale sono tutt’ora perpetuate numerose violazioni dei diritti umani, come spiega il report pubblicato dall’Ong Open Dialogue Foundation che denuncia il forte impatto della crisi sanitaria dovuta alla pandemia di Covid-19 sui diritti umani in Kazakistan.

L’ufficiale abolizione della pena di morte però comporta sicuramente un importante passo avanti per il Paese, che pare dirigersi verso un esercizio del potere maggiormente limitato e controllato: la stessa ambasciata del Kazakistan, in un comunicato, ha affermato che «la decisione del presidente Tokayev di firmare il Secondo protocollo opzionale è stata presa nel quadro delle riforme politiche in corso nel Paese volte a proteggere i diritti dei cittadini. (…) Indubbiamente, il Kazakistan ha molto lavoro da fare per allineare la sua legislazione agli obblighi internazionali, ma il percorso è già iniziato».

Articolo di Sofia Carra.

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