Del: 8 Gennaio 2021 Di: Carla Ludovica Parisi Commenti: 0

Che cosa esprime l’arte: il talento individuale dell’artista? La sua biografia? Quale sia il suo rapporto con la società? Queste domande accompagnano lo spettatore di Opera senza autore (Werk ohne Autor), film del 2018 diretto da Florian Henckel von Donnersmarck (Le vite degli altri, The Tourist), disponibile in Italia su Netflix.

La pellicola, ispirata alla vita di Gerhard Richter, segue la carriera di Kurt Barnert (Tom Schilling) attraverso la storia tedesca, artista alla ricerca della propria identità espressiva in tre Germanie diverse: quella nazista dove, ancora bambino, rimane colpito da quell’arte degenerata che la dittatura rifiuta e irride, la DDR, nella quale l’ideologia socialista limita l’espressione individuale collettivizzandola, e la Repubblica Federale Tedesca degli anni Sessanta, in fermento per lo sviluppo di un nuovo movimento artistico.

Grande rilievo è assunto dalla vicenda personale del protagonista, la cui famiglia conosce da vicino prima gli orrori della guerra e del nazismo e poi la difficoltà di inserirsi nella Germania dell’Est postbellica. Kurt vorrebbe avere la possibilità di esprimere sé stesso con la propria arte, ma all’Accademia d’Arte di Dresda non può realizzare questo proposito.

Il più grave errore che un artista possa fare, ricorda uno dei suoi professori, è dire «Ich, ich, ich», cedere all’individualismo; al contrario, il suo dovere è celebrare il trionfo della classe operaia con grandi affreschi murali riconducibili allo stile dominante del realismo socialista.

A Ovest invece Kurt inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf e continua a ricercare la propria realizzazione artistica. Se in questa Germania può finalmente liberarsi dai vincoli rappresentati dalla politica, l’obiettivo resta tuttavia difficile da raggiungere: l’avanguardia degli anni Sessanta ha introdotto nuove forme espressive che mettono in secondo piano la pittura, e lui deve trovare un’idea originale e che allo stesso tempo dica qualcosa di sé stesso in un ambiente dove molti altri artisti hanno già sperimentato e dire qualcosa di nuovo sembra un’impresa.

La svolta arriva grazie alla fotografia: Kurt inizia infatti a copiare sulla tela scatti presi dai giornali e da album di famiglia, a cui conferisce un aspetto sfumato e che unisce successivamente in vari collage. Un’arte che sembra «senza autore»ma si tratta di mera apparenza. I lavori del protagonista risultano fortemente autobiografici, attraverso l’accostamento di personaggi ed episodi di vita vissuta e di storia, collegati a intuito: quella stessa dote che consente all’artista di esprimersi, dopo molti tentativi guidati esclusivamente dalla razionalità e dalla cura formale, senza che il contenuto possa davvero emergere.

Un’arte che parla di Kurt in modo velato, ma onesto e allo stesso tempo potente.

Opera senza autore è sicuramente un film di fortissima ispirazione biografica – che Richter, peraltro, non ha gradito – e ricostruisce molto bene la storia della Germania (delle Germanie) di quei decenni. Tuttavia il suo pregio maggiore resta sicuramente il fattore estetico: la vicenda di vita di Kurt, personaggio del quale lo spettatore apprezza il talento e la perseveranza, lascia che si sviluppi riflessione più ampia sull’arte, sulla permeabilità tra la vita e le opere di un artista e sulla sua libertà e modalità di espressione.

Carla Ludovica Parisi
Laureanda in Lettere Moderne dagli orizzonti non solo umanistici. Amo la complessità, le sfide e i problemi da risolvere.

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