High life è uno di quei film autoriali e indipendenti che nelle sale cinematografiche italiane trovano poco spazio, soprattutto se si distribuisce dopo quasi due anni dall’uscita internazionale e durante un’epidemia globale, precisamente il 6 Agosto 2020, che limita profondamente la possibilità di visione. Quando viene a crearsi una situazione del genere, l’unico strumento in grado di salvare film meritevoli è lo streaming e High life, grazie ad Amazon Prime Video, ha ora la possibilità di essere visto da una moltitudine di abbonati e di non cadere nel dimenticatoio. Scritto e diretto da Claire Denis, il film del 2018 unisce la fantascienza alla filosofia creando un forte confronto uomo-scienza e vede come protagonista un Robert Pattinson ancora impegnato a lavorare nello strato cinematografico indipendente e antecedente al successo di The Lighthouse, Tenet e il prossimo ruolo in Batman.
Padre e figlia vivono da soli su un’astronave diretta verso lo spazio più remoto e profondo.
Sono lontani migliaia di anni luce dalla terra e non ricevono più comunicazioni, ma solo semplici immagini per ricordare il luogo da cui sono partiti. Il rapporto tra Monte, il protagonista, e la piccola Willow è costruito su un’atmosfera ambigua ed inquietante: le pareti sono macchiate di sangue, ci sono molte tute spaziali vuote e corpi privi di vita intubati a delle macchine. Qualcosa è successo e quando lo spettatore inizia a porsi le prime domande il film risponde riavvolgendo il nastro e mostrando cosa abbia portato Monte a restare solo, senza più un equipaggio e una bambina di cui occuparsi.
La narrazione quindi si alterna tra presente e passato per garantire alla storia un proseguimento logico, ma anche spiegare tutte le cause di quella conseguenza iniziale. Si scopre così che i passeggeri dell’astronave sono criminali che accettano di intraprendere una missione quasi impossibile: avvicinarsi ad un buco nero per scoprire il segreto scientifico più nascosto della natura e cercare di dare alla luce la vita in un contesto prossimo alla velocità della luce. L’attenzione è posta su questo gruppo di uomini e donne portato il più lontano possibile dal sistema solare, abbandonati come mostri, ma osannati come salvatori di un mondo che ha bisogno di nuove risorse per sopravvivere.
La fantascienza è un concetto molto presente, tutto il film si sviluppa durante un viaggio interstellare, dove il tempo scorre diversamente e l’universo si mostra nella sua infinità complessità, ma High life è un film sull’uomo e come si comporta quando è costretto all’isolamento, a restare nelle stesse mura per decenni e confrontarsi ciclicamente con le stesse persone. L’isolamento è sinonimo di prigione, di perdita della propria anima e cosa succede all’uomo quando è spogliato della sua umanità? Cadono tutti gli schemi e le sovrastrutture che si è dovuto cucire addosso, le regole si frantumano e si torna indietro allo stato primordiale, quello più istintivo e carnale che si nasconde per relazionarsi con l’altro. Il caos scoppia nell’astronave e ognuno dei passeggeri risponde in modo diverso. Il sesso, l’istinto più animalesco e oscuro dell’uomo, sfocia in tutte le sue forme: stupri, passione, autocompiacimento estremo e addirittura l’annullamento di ogni desiderio.
L’uomo isolato dal resto del mondo non è altro che un semplice animale, senza più sentimenti e in preda alle pulsioni che solo tramite la condivisione e il confronto riusciva a reprimere. Dentro quella prigione infernale chiamata solitudine non si sopravvive senza un appiglio su cui reggersi. Monte è l’unico rimasto in vita perché ha ancora la possibilità di relazionarsi con l’amore che sente verso quella bambina, un sentimento puro che lo riempie e gli dona speranza in un luogo completamente arido e senza via d’uscita. Willow è la spinta necessaria che gli permette di scegliere se concludere la missione o distruggere il luogo in cui ha passato gli ultimi anni della sua vita.
Claire Denis costruisce il film attorno a scene fortemente simboliche e disturbanti, con le parole spesso inghiottite dal profondo silenzio dello spazio.
Il reparto tecnico, costruito con solo otto milioni di dollari, è spesso lacunoso e lontano dalla realtà, ma viene sorretto da delle prove attoriali incredibili e un uso dinamico della pellicola che permette di avvinarsi ad un’estetica solida come quella degli anni ’70.
High life si pone proprio come successore di quel filone cinematografico iniziato da Kubrick (2001: Odissea nello spazio) e Tarkovskij (Solaris), che utilizza la fantascienza non per cercare le risposte, ma per innescare dubbi e riflessioni. Spingere l’uomo verso confini oggi irraggiungibili ed irreali permette paradossalmente di osservarlo più da vicino e capire i meccanismi più reconditi che lo governano.