Del: 4 Gennaio 2021 Di: Laura Cecchetto Commenti: 0
"L'appello" di Alessandro D'Avenia, una scuola diversa

Omero Romeo, professore di scienze cieco, accetta la cattedra di una problematica classe quinta in un liceo scientifico. Achille, Elisa, Ettore, Aurora, Oscar, Mattia, Caterina, Cesare, Stella e Elena, ciascuno con il proprio travagliato vissuto, sono i protagonisti del romanzo di Alessandro D’Avenia: L’appello (Mondadori, 2020).

Per conoscere meglio i suoi alunni, Omero istituisce un appello particolare: ogni giorno ciascuno dei ragazzi pronuncia il suo nome davanti alla classe e racconta di sé: dona importanza al nome degli alunni, sinonimo di unicità che li distingue dalla massa, portandoli a dire “eccomi, sono proprio io” e a prendere una posizione. I ragazzi, finalmente ascoltati e compresi, iniziano a interagire prima tra di loro e poi con l’insegnante, e nel tentativo di trovare la loro dimensione, tentano di estendere l’appello prima a tutta la scuola, e poi al di fuori dell’istituto, nonostante le resistenze di altri professori e del preside.

Questo romanzo si fa portavoce di un desiderio di cambiamento all’interno delle mura scolastiche, che metta al centro l’alunno, il quale spesso si sente invisibile agli occhi degli insegnanti, ha necessità di raccontarsi e di essere ascoltato per essere capito. Gli studenti sono come le piante, se non sono esposti alla luce non possono crescere: si piegano su sé stessi, chiudendosi nel proprio microcosmo. Così non si può fiorire, per passare dall’adolescenza all’età adulta.

La “rivoluzione” proposta dai ragazzi inizia proprio con l’appello, tramite il quale Omero sprona a dichiararsi presente! a scuola come nella vita, per imparare a vivere: la scuola non deve nutrire solo il cervello, ma anche l’anima, con la sapienza, l’empatia e la passione dell’insegnate, che deve prendersi cura degli studenti, soprattutto in un periodo così fragile e complesso come quello dell’adolescenza.

I protagonisti accusano i professori di concentrarsi solo sul programma, trascurando la relazione con gli alunni e la loro necessità di comunicare.

Essi ricercano una didattica diversa, che non miri a infarcirli di informazioni come dei tacchini, che non prediliga solo istruzione e prestazione, ma che faciliti la comunicazione con sé stessi e con gli altri. Senza relazione, la scuola è puro addestramento, rende gli studenti apatici e annoiati: studiare per ricevere un voto è una pratica sterile e passiva, annulla l’amabilità dell’apprendimento, non spiega il perché delle cose, ma solo il come.

Spesso si pensa che chi vuole una scuola diversa non abbia voglia di studiare; in realtà, spesso si vuole studiare meglio, se non di più, purché si metta davvero al centro lo studente. La “mancanza di voglia di studiare” – che enuncia il disagio di chi non si sente spronato ad apprendere – porta al conformismo e alla superficialità delle idee, lama a doppio taglio in una società come la nostra: solo la conoscenza permette di farsi un’idea propria e di approcciarsi al mondo con consapevolezza, formando il proprio senso critico arrivando alla “maturità” seguendo un percorso scolastico che punti davvero alla cultura che non miri unicamente a scaldare un banco.

Laura Cecchetto
Scopro il mondo e me stessa con il naso dentro a un libro, rifletto su ciò che mi circonda e prendo appunti. Narro ciò che leggo, e di conseguenza ciò che provo, per relazionarmi con ciò che mi sta attorno, possibilmente con una tazza di tè sulla scrivania.

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