E’ al campo di Lipa che in questo momento si ferma la rotta balcanica, a oggi la principale via della migrazione attraverso cui si accede all’Europa. Si arena qui perché lo scorso 23 dicembre questo campo provvisorio presso la cittadina di Bihać, in Bosnia Erzegovina, a pochi chilometri dal confine croato, è stato distrutto da un incendio le cui cause sono ancora ignote, lasciando circa 1500 migranti, già in condizioni precarie, in una situazione disumana.
«È l’inferno» ha dichiarato uno dei giovanissimi rifugiati a un giornalista de Il Fatto Quotidiano.
Un inferno nel cuore della Vecchia Europa, a poca, pochissima distanza dai confini dell’Unione Europea che però proprio a questo punto si rivela più lontana che mai. Le violenze della polizia croata di confine impediscono ai migranti di proseguire, e spingersi verso il cuore dell’UE passando per i boschi è fuori discussione in questa stagione: nelle scorse settimane le temperature hanno toccato i meno 20 gradi accompagnate da giorni di neve fitta.
Questa rotta è diventata una delle più affollate in seguito all’apertura dei confini tra stati balcanici e Unione Europea ma, in seguito agli accordi del 2016 tra quest’ultima e la Turchia, quei confini si sono chiusi, lasciando migliaia di migranti bloccati nei campi sparsi tra Grecia, Macedonia, Albania, Serbia e Bosnia, sempre più affollati, sempre più precari. Il campo di Lipa era sorto nello scorso aprile per gestire temporaneamente la situazione dei migranti anche in periodo di pandemia. Sarebbe dovuto durare giusto il tempo dell’estate dato che è collocato in una zona poco adatta alle rigide temperature invernali. Già in autunno l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, aveva dichiarato chiuso questo campo perché giudicato inadeguato a ospitare persone, ma nonostante ciò nessuno dei migranti è stato ricollocato in altre strutture.
Dopo l’incendio di dicembre i migranti hanno tentato di accamparsi nei boschi limitrofi o nelle strutture che rimanevano in piedi, disponibili solo per poche centinaia di persone. Le Ong hanno cercato di trasferirne una parte in un’ex caserma di Sarajevo o nel centro di Bira (altro campo profughi per cui erano stati stanziati 3,5 milioni di euro dall’Ue ma ancora vuoto e inutilizzato), sempre presso la cittadina di Bihać, ma in questo caso a opporsi sono state le autorità e le popolazioni locali: lo smistamento si è risolto in un nulla di fatto. Ad aggravare la situazione infatti collaborano anche le gravi divisioni interne allo stato bosniaco, privo tra l’altro di strutture adeguate all’accoglienza.
Ma la situazione sfiora l’inimmaginabile. Le foto del campo rimbalzano da giorni sulle prime pagine dei giornali e sui social, centinaia di persone sotto la neve, prive degli adeguati ripari, di vestiti e cibo. Le file per riscuotere la razione giornaliera sono chilometriche, le poche associazioni di volontari provano a sopperire alla scarsità di beni ma, una volta finite le scorte disponibili, sono ancora tantissime le persone che rimangono prive di qualsiasi tipo di aiuto. Gli scheletri delle tende si stagliano nella neve, prive di allaccio alla corrente elettrica, prive di acqua calda, esposte alle gelide intemperie dell’inverno balcanico.
Sono numerosi gli eurodeputati che si sono pronunciati sulla questione, chiedendo collaborazione ai governi bosniaco e croato e sostegno dall’Unione europea. Ma non bisogna cadere nell’errore di pensare che il problema della rotta balcanica sia legato esclusivamente al campo di Lipa che, come ogni notizia, nel giro di poco tempo si sgonfierà perdendo risonanza, abbandonerà le prime pagine dei giornali e i discorsi dei politici.
Le storie drammatiche sulla rotta balcanica sono numerose e la situazione in Bosnia è la stessa da tempo.
Valerio Nicolosi, reporter e videomaker che lavora in queste zone da anni ha parlato di un dato piuttosto eloquente: nel campo di Lipa erano presenti circa un migliaio di migranti, ma in base a statistiche approssimative dovrebbero essere circa 5/6mila quelli presenti in territorio bosniaco. Dove sono collocate queste persone? Chi garantisce loro i fondamentali diritti alla vita umana per evitare condizioni che sfiorino appunto l’inferno? Tantissimi si arrangiano come possono, occupando palazzi abbandonati e casolari dismessi, ammassati in poche stanze senza fognature, costretti a vivere in condizioni igieniche precarie se non del tutto assenti. Alcune famiglie sono ospitate in strutture provvisorie ma tutti gli altri, soprattutto i “single men” tra cui tantissimi minorenni, sono lasciati a vivere all’addiaccio, senza aiuti medici e alimentari.
La maggior parte provengono da Afghanistan, Iraq e Pakistan e prima della costruzione del muro tentavano l’accesso all’Unione europea attraverso l’Ungheria: ora provano la via della Slovenia, arrivando in Albania o in Grecia dalla Turchia o attraverso isole come Samo o Lesbo (dove tra l’altro recentemente è bruciato un altro campo profughi). Fuggono dalla guerra e dalla fame, percorrono migliaia di chilometri affidandosi alle mani dei trafficanti in viaggi disumani che spesso durano anni. E se tutto questo può accadere a poco dai nostri Paesi, è perché l’Europa stessa ha deciso di chiudersi entro i propri confini: Slovenia, Croazia e la stessa Italia respingono infatti illegalmente questi migranti ammassati ai bordi di quella terra promessa che è l’Unione Europea.
Esiste un accordo bilaterale che risale al 1996 firmato da Italia e Slovenia per il quale se dei migranti vengono fermati entro 10 km dal confine le autorità possono respingerli: tale accordo risulta illegittimo perché in contraddizione in primis con il sistema costituzionale italiano, in secondo luogo perché superato dal diritto europeo. Nonostante ciò è stato recentemente rimesso in campo dallo stesso ministro degli interni italiano Luciana Lamorgese: questo permette alle autorità di consegnare i profughi nelle mani prima della polizia slovena e poi di quella croata, nota per i numerosi abusi e le numerose violenze inflitte su queste persone inermi. Camuffati sotto il nome di “riammissioni”, altro non sono che respingimenti al confine, in un silenzioso e vergognoso passaggio di migranti tra le polizie dei vari stati.
Alcuni giornalisti sono riusciti a fatica a raccogliere testimonianze di ragazzi che sono stati selvaggiamente picchiati dalla polizia croata per poi essere lasciati senza cure mediche, in quello che è un “abisso dell’umanità”. Un testimone racconta: «Ci hanno preso i soldi, le scarpe, i vestiti, le cinture, lo zaino e ci hanno picchiati. Ci hanno portati fin qui. Ora sta nevicando, fa freddo, non abbiamo soldi, cibo, vestiti. Si sono tutti dimenticati di noi». E questo è l’errore che non si può più compiere: fermarsi al campo di Lipa, voltare le spalle a una situazione che si replicherà uguale negli anni se l’Europa continuerà a mostrarsi sorda a queste disperate richieste di aiuto.