Del: 28 Febbraio 2021 Di: Silvia Bonanomi Commenti: 1
Malcolm & Marie troppo vuole, (quasi) nulla stringe

La prima voce che apre la sequenza iniziale di Malcolm & Marie è quella di James Brown. Down and Out in New York City gironzola nella testa di Malcolm ancora prima di aprire la porta di casa, la canticchia, la cerca nella libreria musicale del telefono e la fa partire a tutto volume. Malcolm (John David Washington) e Marie (Zendaya) non sono nella New York anni ’70 di James Brown, ma sulle colline di Los Angeles, ai giorni nostri, nella labirintica Caterpillar House che li accoglie dopo una serata tutta lustrini, tuxedo e premi cinematografici.

Malcolm è un regista afroamericano che è appena stato premiato per il suo nuovo film dal titolo a noi sconosciuto, ma che sappiamo essere parzialmente ispirato a Marie, giovane ventenne, e alla sua storia di tossicodipendenza. Sam Levinson, che è invece il regista di Malcolm & Marie (e anche quello di Euphoria, sempre con Zendaya) mette così il primo tassello di questa pellicola girata in un bianco e nero tattile, che da solo, forse, riuscirebbe a fare (e di fatto fa) più del risultato finale.

Entrambi i protagonisti sono adirati: Malcolm tenta confusamente di mettere ordine tra i propri pensieri quando legge una recensione di una giornalista bianca – recensione positiva – che però, a sua detta, politicizza la sua arte perché afroamericano. Levinson però non riesce a donare alla questione l’interesse che dovrebbe suscitare, soprattutto in un pubblico come il suo, abituato alla ventata di aria fresca di Euphoria. Quelli che mette in bocca a Malcolm, infatti, sembrano essere i suoi capricci e arrovellamenti di regista bianco, mentre tenta di giocare con noi spettatori e farci credere che sia il nostro, di sguardo, a essere politicizzato e sprezzante nei confronti di un’arte della quale potremmo semplicemente godere, senza ragionare. 

Marie, anche lei afroamericana e anche lei con ambizioni attoriali alle spalle, non sembra essere contemplata in questo lungo soliloquio che Levinson affida a Malcolm: la ragazza deve semplicemente ricordargli che lui invece ama il politico, mentre Levinson non le concede la grazia di farla esprimere più di tanto rispetto alla rinuncia della propria carriera. Bizzarro, anche, come il personaggio di Zendaya debba avere un passato, proprio come Rue in Euphoria, difficile e travagliato, segnato dalla tossicodipendenza. Forse le finissime capacità mimiche di Zendaya avrebbero meritato di più di un ruolo così strategicamente fragile.

La rabbia di Marie è tutta diretta verso il mancato ringraziamento pubblico di Malcolm nei suoi confronti alla cerimonia di premiazione: motivo per il quale i due si muoveranno come in un flipper impazzito per tutta la casa, calpestandosi emotivamente a vicenda rispetto a episodi accaduti nell’arco della loro relazione. Se Levinson si fosse limitato a questo, avrebbe potuto farla franca grazie alle due interpretazioni di Zendaya e Washington, che si lasciano guardare e ascoltare, dando vita anche a un copione che sembra aver sbirciato qualche diario adolescenziale (lei non vede che lui la ama, è troppo autolesionista!).

Invece, come si suol dire, ha voluto strafare, rischiando di ridicolizzare un discorso che necessita di più punti di vista, non solo del suo: ma soprattutto un discorso che forse a lui, in questo momento, non spetta scrivere (o che magari avrebbe potuto scrivere non da solo, come per lo speciale di “Euphoria” sul personaggio di Jules scritto proprio insieme a Hunter Schafer).

Avremmo potuto guardare tutto senza le lenti politiche, e apprezzare la camera fissa che unita al bianco e nero ci fa sentire la barba di Malcolm che sfrega contro la vasca da bagno; oppure avremmo solo potuto (e lo facciamo) apprezzare come Zendaya si muova in canottiera e slip (una mise che ha reso giustizia a quella iconica di Nicole Kidman in Eyes Wide Shut) sdraiandosi sul divano, giocherellando con i piedi e mordendosi il labbro. Avremmo apprezzato come i due si vogliano goffamente parlare con la musica, lui con I Forgot To Be Your Lover e lei con Get Rid of Him. Invece Levinson ha voluto metterci la pulce nell’orecchio: quella sbagliata, però.

La Caterpillar House progettata da Feldman Architecture a Carmel, California (USA)
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Silvia Bonanomi
Mi chiamo Silvia virgola Marisa, sono qui per rispondere a chi mi chiede cosa voglio fare dopo l'università.

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