Del: 12 Febbraio 2021 Di: Beatrice Balbinot Commenti: 0
Scuola e studenti: relazione complicata, non impossibile

Da qualche settimana Tik Tok e Instagram si sono popolati di un nuovo trend: brevi video in cui giovani studenti argomentano il loro disappunto rispetto al sistema scolastico italiano, sulle note di Too much del Pagante. Attraverso alcune loro esperienze negative tra i banchi, i ragazzi tentano di dimostrare le zone d’ombra della scuola: i compiti troppo onerosi, le verifiche troppo difficili, i ritmi insostenibili. La scuola italiana dunque è stressante e non piace.

Oltre che nelle denunce dei ragazzi sui social, questa affermazione trova conferma anche nei dati ufficiali di Ocse Pisa, il programma per la valutazione internazionale dell’allievo. Lo studio condotto sugli adolescenti di 58 Stati diversi ha messo in luce come gli studenti italiani abbiano grandi difficoltà ad approcciarsi all’istruzione scolastica con serenità. Uno stress diffuso, che tra l’altro non sembra portare da nessuna parte: i risultati ottenuti dai quindicenni italiani nelle famigerate prove INVALSI si attestano ben al di sotto della media dei cugini d’oltralpe. A far riflettere sono soprattutto i punteggi i ottenuti dai nostri studenti nei test di lettura e scienze, mentre dignitoso è il confronto con gli altri paesi Ocse per quanto riguarda la matematica.

Davanti a tanta impreparazione, il sistema scolastico italiano è stato chiamato a rispondere delle sue colpe, accusato di insegnare a studiare e non a capire. Il torto però non è mai tutto da una parte sola: gli italiani stentano a comprendere il senso di un testo di media lunghezza, ma sono anche quelli che leggono meno in Europa; i nostri adolescenti sono stressati dai ritmi della scuola, ma i dati di Ocse dimostrano che passano più ore al telefono rispetto alla media degli altri paesi. Tenendo in considerazione tutte queste classifiche, l’unica deduzione a cui si approda senza troppe difficoltà è che l’Italia si colloca sempre nelle posizioni peggiori.

Molto più complesso invece è determinare da dove nasca l’impreparazione della maggior parte degli adolescenti nel nostro paese e le motivazioni del loro cattivo rapporto con la scuola. Negli ultimi anni si è tentato in tutto il mondo di sostituire gli annosi metodi di insegnamento  tradizionali con soluzioni innovative che possano spingere gli studenti ad un approccio più sereno e creativo all’universo della scuola. Uno su tutti è il progetto pedagogico del geniale Elon Musk che nel 2014 ha fondato insieme all’ex insegnante della scuola per bambini plusdotati Mirman di Los Angeles, Joshua Dahn, Ad Astra, un’esclusiva e innovativa scuola per alunni che vanno dagli 8 ai 14 anni, poi evoluta nell’altrettanto rivoluzionario progetto di Astra Nova.

Tra problem solving, dibattiti sulle grandi questioni dell’attualità, matematica pura, neuroscienze e molto altro ancora i bambini sono spinti ad un apprendimento fondato prima di tutto sul lavoro di squadra e il ragionamento creativo. La grande sfida lanciata da Elon Musk è quella di proporre una didattica alternativa, dove non esistono divisioni in classi e il vero fulcro del sistema è lo studente. Purtroppo però il progetto rimane altamente esclusivo: solo pochissimi bambini sono ammessi alle classi di Astra Nova, previa una selezione basata sulla capacità di problem solving del piccolo candidato. Insomma, Astra Nova per il momento propone il suo innovativo approccio all’insegnamento a pochi, geniali eletti. Ma la genialità ha il vizio antipatico di essere una qualità estremamente rara e chissà se la soluzione proposta da Musk e Dahn possa adattarsi con successo ad una platea più ampia di studenti, con tutta la varietà nella propensione all’apprendimento che i grandi numeri comportano.

In ogni caso nulla vieta al sistema scolastico italiano di sbirciare tra le innovazioni oltreoceano e farsi alunno di qualche suggerimento rivoluzionario lanciato dalle scuole straniere.

A ben vedere le materie studiate in gran parte degli istituti italiani risentono di una certa astrattezza, di una scarsa praticità che rischia di renderle noiose e lontane dai reali interessi degli studenti. La vita di tutti i giorni, le problematiche sociali e culturali dei nostri tempi, le questioni più pratiche sono spesso escluse dalle lezioni, condannando la scuola ad essere percepita come una realtà lontana dal contatto con il mondo, una bolla di sapone che insegna a memorizzare tante nozioni e poco a vivere. Il grido d’aiuto degli studenti si prolunga già da qualche anno, prima ancora dei balletti di Tik Tok, nell’attesa speranzosa e ormai un po’ indignata che le cose cambino.

Ma, mentre porta avanti la lunga e legittima lotta per affermare una nuova e più soddisfacente organizzazione della didattica, cosa può fare lo studente italiano per rendere più sostenibile il suo rapporto con la scuola? Semplicemente: venirle incontro. Davanti a tanti aspetti che potrebbero essere migliorati, lo studente medio approccia all’insegnamento scolastico con la sfrontatezza del rifiuto, con la rabbia di un obbligo indigesto. Ma questa scuola sgangherata, per quanto certamente non perfetta, rappresenta la culla ignorata di molti sogni, di ambizioni, di promesse e di sfide. Se invece di osservarla con il distacco di uno scontento incolmabile il ragazzo guardasse alla scuola come il luogo delle occasioni, allo studio come il mezzo per accedere alla bellezza del sapere, all’impegno come il modo più efficace di conoscere sé stesso, magari le lezioni sarebbero un po’ meno pesanti e i compiti a casa una tortura più sopportabile. L’amore per la scuola è in via d’estinzione: troppo spesso imparare è soltanto un dovere e non un’opportunità.

Sistema scolastico e studenti dovrebbero venirsi incontro reciprocamente, l’uno innovandosi e ascoltando le proposte di cambiamento, gli altri riscoprendo il piacere dell’imparare, che la scuola così comodamente mette loro a disposizione tramite le parole dei professori. Siamo dunque approdati al grande perno su cui ruota tutto il sistema scolastico, il mediatore tra l’educazione e i singoli studenti: il corpo docente. Scrisse Daniel Pennac nel suo Diario di Scuola: «È sufficiente un professore — uno solo! — per salvarci da noi stessi». Un professore dunque può fare la differenza abbracciando con dedizione l’enorme responsabilità di ispirare i ragazzi, di far nascere le passioni che si porteranno dentro per tutta la vita. Nelle mani sapienti di un bravo insegnante l’alunno si plasma e si tempra, cresce come persona prima ancora che nell’apprendimento di una materia.

Il sistema scolastico, i professori, gli alunni. Ecco i tre pilastri che, se solidamente cooperanti, possono arrivare alla formulazione di un’esperienza educativa piacevole e davvero utile. La scuola può essere il luogo dell’incontro costruttivo tra le generazioni, può diventare un momento di reale crescita serena e anche nel brutto voto, anche nel fallimento, può insegnare qualcosa. Il patto però è che tutte le sue componenti partecipino al miglioramento, che ogni sua parte sia attivamente ricettiva agli stimoli che riceve dalle altre. Il rischio della generalizzazione non costruttiva è sempre dietro l’angolo: dare la colpa al famigerato sistema non è cercare una soluzione. Suonano un po’ ipocriti e retorici i fiumi di inchiostro che giornalisti e professoroni spargono a irriducibile difesa degli studenti e ad altrettanto fervida accusa di un sistema scolastico da cestinare in toto.

Non è pensabile che un miglioramento avvenga se la maggior parte degli studenti si ostina nelle sue posizioni di vittimistica insofferenza.

Dal 2003, grazie all’istituzione dell’Alternanza Scuola Lavoro, gli studenti hanno la possibilità di fare un’esperienza preziosa nel campo lavorativo di loro interesse; da pochi anni l’insegnamento del diritto dell’educazione civica è stato introdotto anche nei licei; è dalle scuole che spesso partono progetti di viaggio all’estero anche di lunga durata. Tutti questi passi in avanti non sempre vengono accolti con entusiasmo dagli alunni, probabilmente più impegnati a lamentarsi delle troppe verifiche. Il malfunzionamento di un sistema è la conseguenza di singoli impegni mancati. Che questa consapevolezza possa spingere tutti i grandi attori dell’educazione scolastica, alunni compresi, a farsi un bell’esame di coscienza e a trasformare il malcontento in un impegno edificante.

Beatrice Balbinot
Mi chiamo Beatrice, ma preferisco Bea. Amo scrivere, dire la mia, avere ragione e mangiare tanti macarons.

Commenta