L’8 Marzo è per noi tutte simbolo non solo di mimose, ma anche di femminismo, di lotta e sacrificio, come chi nel 1914 in Germania rivendicò il diritto di voto e nel 1917 a Pietroburgo manifestò per il ritorno degli uomini dal fronte e per il pane, e che nel corso della storia ha faticosamente conquistato i diritti di cui oggi possiamo godere. Diritto di voto, allo studio, all’indipendenza, a mostrare il proprio volto al sole, all’integrità fisica e morale. Nel proprio piccolo, ciascuna di noi può contribuire a non arrendersi mai, a far sì che il rispetto e la parità di diritti non vengano mai meno nella nostra società, nel plasmare un mondo più equo e solidale, perché «un solo chicco di riso può squilibrare la bilancia».
Otto redattrici di Vulcano ci raccontano cosa significa per loro questa data densa di significato, supportate da letture in tema, augurando a tutte che possa essere sempre l’otto marzo.
BEATRICE
L’otto marzo la mia casa si riempie di mimose belle gialle, come i post-it. Vorrei che mi regalassero più post-it e meno mimose durante questa giornata. Perché il mio otto marzo ha la funzione di ricordarmi, proprio come farebbe un post-it appicciato sul frigorifero, che non mi devo accontentare. Non è necessario arrivare alla violenza perché manchi il rispetto, non è solo lo stipendio più basso a dimostrare la discriminazione, non serve che ci sia lo stupro perché io mi senta molestata. Basta un commento, un’occhiata di troppo, un divieto in più o il timore di tornare a casa da sola la sera tardi per svelare che la parità di genere non è ancora stata raggiunta. “Esagerata!”, mi ha detto qualcuno, con l’espressione di sufficienza che si rivolge a chi vuole vedere qualcosa che non va ad ogni costo. Ebbene l’otto marzo è il mio post-it: mi ricorda che non mi devo accontentare, che devo esprimermi se c’è qualcosa che non va ai miei occhi, che ogni forma di autocensura rispetto a bisogni e paure indotte dalla società in cui vivo è un sabotaggio rispetto all’affermazione di qualsiasi donna.
Abbiamo solo noi stesse, un monito a volerci bene a e rispettarci, è il titolo di uno dei racconti collezionati da Annalena Benini nel suo libro I racconti delle donne. 19 brani tratti dalle opere di altrettante famosissime autrici, da Elsa Morante a Marguerite Yourcenar, che accompagnano in una visione del mondo (quasi) tutta al femminile. Il commento di Annalena Benini segue ciascun racconto e, con una penna dagli accenti frizzanti ma sempre molto toccante, aiuta a tirare le fila delle esperienze delle protagoniste, portando in superficie tutte le sfumature dell’essere una donna.
COSTANZA
L’otto marzo non è una festa, l’otto marzo è la data simbolo di una lotta che va avanti da secoli. Una lotta che si spiega anche guardando come si è aperto il 2021 in Italia, a partire da due dati: con un governo composto solo al 35% da donne e con un femminicidio ogni 5 giorni. Ciò ci consente di comprendere come continuare a lottare, muovendoci su due direttrici: dando spazio e voce a noi donne – e, in generale, alle categorie marginalizzate – nei luoghi che ci appartengono; ed educando al rispetto di una diversità che non va utilizzata come pretesto per la discriminazione, ma come valore da esaltare per costruire un mondo alla portata di tutti. L’attuale società maschilista e patriarcale necessita di essere ricostruita pezzo per pezzo e per compiere ciò è necessario il contributo di chiunque, non della sola – ma fondamentale – componente femminile.
Reputo, inoltre, che per progredire e conquistare determinati obiettivi nel futuro, sia necessario partire dalla conoscenza del passato: il libro Le filosofie femministe di Adriano Cavarero e Franco Restaino, che ripercorre la storia del femminismo dal Settecento agli inizi del Duemila, è un ottimo punto di partenza per chi, magari proprio nella giornata di oggi, decide di avvicinarsi alle tematiche femministe, venendo a conoscenza di una storia di successi, talvolta di fallimenti e di complessità. Non è mai troppo tardi per iniziare ad intraprendere questo percorso di formazione personale ed estremamente politico.
CRISTINA
“Femminismo!” esclamava ella. – Organizzazione d’operaie, legislazione del lavoro, emancipazione legale, divorzio, voto amministrativo e politico… tutto questo sì, è un compito immenso, eppure non è che la superficie: bisogna riformare la coscienza dell’uomo, creare quella della donna!”. Così scriveva Sibilla Aleramo nella sua autobiografia del 1906. Sposata giovanissima con un matrimonio riparatore, l’autrice divenne sempre più insofferente alla vita matrimoniale, contornata da litigi, percosse e abusi psicologici. Neanche la nascita del primo figlio, amatissimo dalla donna, riuscì a portare quiete in quella casa, così nel 1902 Sibilla trova la forza di lasciarsi indietro la casa, il marito e anche l’adorato figlio, di abbandonare tutto ciò che, secondo gli insegnamenti materni, costituiva il senso di vita di una donna, per arrivare a Milano, dove finalmente trovò la sua dimensione. Sono passati 119 anni da quanto Sibilla Aleramo lasciò le Marche per arrivare nel capoluogo lombardo e da allora, anche grazie alla sua forza visionaria, molto è cambiato: l’emancipazione legale della donna arrivò nel 1919, il voto nel 1945, il divorzio nel 1970. Eppure quel riforma delle coscienze, quella “donna” che l’autrice evoca, sembra essere ancora lontana.
JESSICA
Per me 8 Marzo significa dare un nome ad una celebrazione che non dovrebbe essere tale. Mi infastidisco sentendo le retoriche facili del “festeggiamo oggi le donne”, davvero serve ancora un giorno per festeggiare le donne? Siamo così poco considerate da aver bisogno di un giorno per ricordare al mondo che esistiamo, abbiamo dei diritti e dobbiamo essere considerate al pari degli uomini? A quanto pare sì. Non so voi, ma non mi sono mai piaciute le associazioni semplicistiche che ancora oggi si portano avanti, come la donna che è naturalmente gentile, emotiva, che ha il desiderio di diventare madre, che è una brava donna di casa e che mette la famiglia al primo posto. Essere donna oggi non è ancora facile, siamo arrivati a buon punto, ma non siamo ancora giunte alla fine della lotta. Abbiamo però delle notizie positive: una di queste si chiama Amanda Gorman, poetessa ed attivista 22enne che ha recitato la poesia The hills we climb alla cerimonia di inaugurazione del neopresidente Biden, il 20 gennaio 2021. Amanda si definisce come una «skinny Black girl descended from slaves and raised by a single mother that can dream of becoming president only to find herself reciting for one»: per me queste parole hanno una potenza enorme. Sono parole che vengono recitate davanti al nuovo presidente, davanti a milioni di persone e che con molta probabilità resteranno nella storia.
LAURA
Il giorno dell’otto marzo (ma anche in tutti gli altri giorni dell’anno) vorrei poter prendere il treno a qualsiasi ora, senza il timore di essere da sola. Poter passeggiare in minigonna senza attirare sguardi indiscreti, affamati, giudicanti. Essere nervosa, agitata, elettrizzata o in lacrime, senza che mi si chieda “ma hai il ciclo?”, o altre sterili frasi stereotipate, come se provare emozioni fosse una cosa sbagliata. Come se essere donna fosse sbagliato. Voglio poter decidere per me stessa e per il mio corpo, dalle scarpe che indosso alla ceretta che posso non voler fare, dal volermi truccare la mattina all’avere o meno un compagno di vita e dei figli. Avere lo stesso stipendio di un uomo, un lavoro gratificante senza accuse di essere raccomandata, stessi diritti, stesse opportunità, stesso rispetto. Piuttosto che l’otto marzo, preferirei un “lotto marzo”, dove al necessario momento di riflessione per capire dove siamo arrivate e dove stiamo andando, si affianca una presa di coscienza, non soltanto da parte del gentil sesso. La strada è ancora lunga, non può ridursi all’azione di un giorno isolato, ma dalla somma di tanti gesti quotidiani. Non bisogna mai accontentarsi quando si parla di diritti e di parità, lo dobbiamo a noi stesse, alle donne che hanno già vissuto e a quelle che verranno.
Per decidere dove andare, consiglio la lettura di Via Libera: 50 donne che si sono fatte strada di Romana Rimondi, Valentina Ricci e Viola Afrifa. È un viaggio attraverso le (troppo poche) strade dedicate alle Italiane, per conoscere alcune delle donne che ci hanno spianato la strada.
MARTINA
Cos’è la giornata internazionale della donna? Un promemoria annuale del fatto che ogni giorno devo impegnarmi di più, dimostrare (a chi poi?) di essere di più, per potermi permettere di essere ambiziosa, per non accontentarmi. L’otto marzo nasconde dietro un mazzo di mimose l’ipocrisia di un mondo che non vuol vedere quanto il tarlo della discriminazione di genere si sia insinuato in profondità. Si illude di aver fatto la sua parte: ora le donne possono votare, possono studiare, possono lavorare (omettendo accuratamente alla propria coscienza che in troppe regioni della Terra questo non sia ancora possibile), ma nel raccontarsi questa versione della favola sta bene attento a non dire che, sebbene possiamo fare tutte queste cose, per arrivare ai vertici di qualsiasi professione, per guadagnare quanto ci spetta, non importano la nostra preparazione e il nostro talento, partiamo sempre un passo indietro. L’otto marzo mi ricorda che ancora non esiste un merito, che ogni giorno da qualche parte c’è una donna si sveglia e pensa che sarebbe stato tutto più facile se solo fosse nata uomo. Virginia Woolf nel 1938 già vedeva tutto questo e ne Le tre ghinee esponeva l’ingiustizia legata al relegare le donne al ruolo di sottoposte, alla schiavitù alla quale la dipendenza economica le piegava. L’otto marzo mi ricorda che queste ingiustizie valgono ancora, che anche quest’anno nulla è cambiato.
SILVIA
La Giornata internazionale della donna è un’ulteriore presa di consapevolezza di come i miei privilegi non siano accessibili a tutte. Della necessità di educarmi, condividere, ma soprattutto restare in ascolto. La lettura che più mi ha aiutata e che credo possa aiutare chiunque è The Bluest Eye (L’occhio più azzurro), di Toni Morrison. La storia di Pecola, una ragazzina nera nata a Lorain (Ohio) negli anni ’40: Morrison la pubblicherà negli anni ’70, nel pieno della seconda ondata femminista. In un momento in cui il femminismo era prevalentemente bianco, Morrison scriverà una storia – quella di Pecola, Claudia e Frieda – con la quale per la prima volta potevano confrontarsi bambine, ragazze e donne nere. Oggi siamo alla quarta ondata femminista e con i social dalla nostra parte; non possiamo permetterci di trasformare questa battaglia – la nostra, di tutte – in frivolezze e rivincite personali.
VALENTINA
We are bad feminists. Siamo femministe cattive.
Lo dice Fleabag alla sorella quando ammettono di voler avere il “corpo perfetto”. Siamo femministe cattive perché non siamo buone a fare quello che ci è richiesto, magari perché ci piace quando ci aprono la portiera della macchina oppure perché chiamiamo l’8 marzo “Festa” della donna e non “Giornata internazionale” della donna.
Poi ci dicono anche che siamo femministe cattive perché siamo arrabbiate, perché non siamo “buone e brave”, perché reclamiamo degli spazi di parola che siano solo delle donne. Cattive allora, in questo senso, perché siamo troppo brave a fare quello che ci è richiesto.
8 marzo è memoria ed è celebrazione ed è lotta.
Siamo femministe cattive.
Siamo femministe.
Consiglio di lettura (e di visione): Fleabag – the Scriptures, screenplay dell’omonima serie tv Fleabag, scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge