
Seppur pochi ne parlino, in Turchia è in corso una rivoluzione. Ad esserne protagonisti sono gli universitari che, dal quattro gennaio scorso, protestano contro la nomina, avvenuta il primo gennaio, di Melih Bulu, fedelissimo del presidente Erdogan e già candidato del partito conservatore e islamista AKP, quale rettore dell’Università del Bosforo di Istanbul.
Lo sdegno degli studenti dell’Università più liberale e progressista di tutta la Turchia non si è fatto attendere, raggiungendo rapidamente tutti gli atenei dello Stato.
In pochi giorni, migliaia di studenti hanno animato le piazze della capitale turca e di altre 38 città al grido di “Melih, dimettiti” e “AKP, giù le mani dalla nostra università”, chiedendo il diritto di poter eleggere il loro rettore. A tal proposito, è bene sapere che Bulu è il primo rettore dal colpo di Stato del 1980 completamente estraneo alla comunità universitaria e da essa non eletto. Ciò non significa che la sua nomina sia illegittima. Dal 2018, Erdogan ha infatti assunto il potere di nominare direttamente i rettori delle università pubbliche. Forte di questo, Melih Bulu ha dichiarato di non voler cedere alle pressioni degli studenti e di non volersi dimettere perché la sua nomina «rispetta gli standard globali».
Con la nomina diretta di Melih Bulu da parte di Erdogan ad essere in gioco è la libertà di migliaia di studenti, se non della Turchia stessa. L’imposizione quale capo di uno dei più prestigiosi atenei turchi di un uomo politico legato a doppio filo con il governo di Erdogan manifesta la chiara volontà di porre sotto il controllo diretto del governo l’attività accademica. Come ha efficacemente osservato Hugh Williamson, direttore della divisione Europa e Asia centrale dell’Osservatorio sui diritti umani, ciò dimostra «una mancanza di rispetto per la libertà accademica e l’autonomia delle università in Turchia».
Ciò è ancor più evidente se si guarda alla brutalità con cui il governo turco ha risposto alle manifestazioni studentesche. Si registrano numerosi episodi di violenza contro i manifestanti, un costante utilizzo eccessivo della forza da parte della polizia e decine di raid mirati nelle abitazioni degli studenti, cui si aggiungono oltre 700 arresti, almeno 30 persone in detenzione domiciliare e 9 in custodia cautelare accusate di incitamento all’odio, violazione della legge sulle manifestazioni e di resistenza agli ordini della polizia.
Ad essere presi di mira sono soprattutto le donne ed esponenti della comunità LGBT, primi sostenitori delle proteste studentesche e da sempre oggetto di odio da parte del governo turco.
A darne testimonianza sono le stesse vittime, come Cihat Parilti che in un’intervista al quotidiano online TPI racconta: «Eravamo oltre cento persone. Quando siamo stati portati in cella, abbiamo visto condizioni disumane: escrementi ovunque, i bagni non erano agibili, c’era vomito dappertutto. Credevamo e speravamo di essere rilasciati in breve tempo, invece siamo rimasti lì due giorni», continuando poi a riferire di umiliazioni e violenze continue, come quella subita da una donna che i poliziotti hanno cercato di denudare mentre la perquisivano. La Turchia risponde alle accuse che le sono rivolte, definendo i manifestanti come terroristi da reprimere.
Ad aggravare la difficile situazione turca vi è la quasi totale indifferenza delle università straniere e, in particolare, italiane. Come denuncia all’agenzia di stampa DIRE Hazal Korkmaz, studentessa dell’Università di Firenze e di origine turca, «nessuna università in Italia ha ancora preso posizione sugli attacchi che gli universitari turchi stanno subendo», specificando come ciò che sta accedendo «non si tratta di una faccenda privata della Turchia, ma riguarda tutte le università del mondo. Quando si attaccano gli universitari e la libertà di studio, si aggrediscono valori universali. Quegli stessi valori e diritti umani su cui è stata fondata l’Unione europea». Che sia venuta l’ora anche per noi di prendere posizione?
Ieri su Vulcano abbiamo parlato anche delle proteste degli universitari greci contro l’istituzione di un corpo di polizia universitaria con il compito di controllare gli atenei. A questo link l’articolo di Giulia Ariti.