Del: 11 Marzo 2021 Di: Giulia Ariti Commenti: 2

Manganelli, lacrimogeni e spray rivolti contro gli studenti universitari greci, che dallo scorso 12 febbraio stanno protestando contro la proposta di riforma dell’istruzione da parte del governo conservatore di Nea Demokratia. 
Per la prima volta nella storia dell’Unione Europea, infatti, un governo – quello greco – ha proposto e fatto approvare dal Parlamento una legge per l’istituzione di un corpo di “polizia universitaria”: mille agenti muniti di manganelli e gas anestetici dovrebbero presidiare gli atenei al fine di controllare gli accessi e arrestare gli studenti che dovessero turbare l’ordine. Si tratta di una legge, però, non nuova nelle università greche: durante il regime dittatoriale dei colonnelli, tra il 1967 e il 1974, la polizia occupava gli atenei, provocando già allora proteste da parte degli universitari che nel 1973 presero il controllo del Politecnico di Atene strappandolo all’autorità della dittatura. I carri armati del governo reagirono all’occupazione provocando 24 vittime. 

20 novembre 1973. Un carro armato si posiziona in una delle strade principali di Atene durante gli scontri

Figlia di questi eventi è stata la legge del così detto “asilo universitario” del 1982: l’ingresso della polizia all’interno degli atenei era vietato se non in casi di particolare eccezionalità, su richiesta del rettore o del senato accademico. Questa legge, pensata per la circolazione di idee e libertà di pensiero, ebbe tra le sue conseguenze l’aumento della microcriminalità all’interno delle università. Di conseguenza, nel luglio 2019, il primo ministro conservatore Kyriakos Mitsotakis ne ha annunciato l’abrogazione. 

 «La violenza nei campus è un problema cronico della Grecia – riporta Euronews in un’intervista al portavoce del Ministero per la Protezione dei cittadini – La polizia si occuperà di tenere lontani gruppi politici estremisti e anarchici che ostacolano lo svolgimento dell’attività universitaria».

Non è insolita, infatti, l’attività dei gruppi politici estremisti: dal vandalismo e il danneggiamento delle attrezzature scolastiche, fino ad atti violenti – come quando, negli anni Novanta, un professore rimase ucciso negli scontri contro alcuni militanti di Nea Demokratia. Nell’ottobre scorso, invece, studenti anarchici hanno preso ostaggio il rettore dell’Università di Economia di Atene: le foto degli individui incappucciati che manifestavano solidarietà al gruppo anarchico “Squat” hanno scosso l’opinione pubblica.

«È vero, si verificano episodi in cui gruppi politici occupano le aule per protesta o danneggiano le attrezzature – Maria Kalkoni, una delle studentesse manifestanti, ha dichiarato sempre a Euronews – Tuttavia, non sono fenomeni endemici e non ostacolano il regolare svolgimento dell’attività universitaria, al contrario di quello che vorrebbe far credere il governo». Nikos Fllis, uno dei portavoce di Syriza ha detto al Guardian che «Il governo sta portando il suo progetto dispotico ad un nuovo livello. Perché non ripristinare le guardie della sicurezza licenziate durante la crisi economica? La polizia aggiungerebbe semplicemente benzina al fuoco. Nessun Paese ha la polizia nelle università».

Di diverso avviso è il primo ministro Kyriakos Mitsotakis che, secondo Ansamed, definisce il provvedimento come «un modo per chiudere le porte alla violenza e aprire la strada alla libertà». La ministra dell’Istruzione Niki Kerameus ha invece detto al Guardian: «Non è una misura orizzontale e nel tempo il corpo potrebbe anche essere rimosso se non ce n’è più bisogno. Detto questo, è semplicemente falso dire che la polizia non interviene quando capitano incidenti nei campus, perché lo fanno». «Il problema degli atenei greci non è la mancanza di sicurezza, ma la mancanza di fondi – ribatte Dimitris Kaltsonis, professore di Diritto all’università Panteion di Atene – Abbiamo bisogno di più aule e più professori. Inoltre, per proteggere le infrastrutture servono custodi, non poliziotti».

Sono in molti a temere una svolta autoritaria da parte del governo di Nea Demokratia.

Preoccupanti sono state le reazioni della polizia rispetto alle migliaia di studenti, ma anche professori e accademici, che hanno manifestato di fronte al parlamento greco ad Atene, ma anche a Salonicco e Patrasso. Davanti agli slogan “No alla polizia nelle università”, gli agenti in tenuta antisommossa hanno reagito con manganelli e violenza: ad uno studente è stata rotta la mandibola a colpi di estintore, molti altri sono stati arrestati e multati. Violenta la reazione anche nei confronti di giornalisti e fotografi: secondo l’agenzia di stampa internazionale Pressenza, il sindacato greco dei giornalisti ha condannato le azioni della polizia, che ha impedito con la forza ai reporter di filmare le proteste, accerchiando e picchiando: «Questa pratica di malmenare i giornalisti in Grecia sta diventando un’abitudine. Il governo ci deve informare se la libertà di stampa esiste ancora». La giornalista greca Alexandra Tanka racconta come una studentessa di fotografia di soli 21 anni sia stata accerchiata dagli agenti e isolata dai suoi colleghi.

Ma la Grecia è davvero l’unico Paese al mondo a vedere presidi di polizia nelle università? Per trovare la risposta basta guardare alla vicina Turchia, dove la nomina a rettore universitario dell’Università Boğaziçi è toccata a Melih Bulu, fedelissimo di Erdogan. La nomina è stata interpretata, ancora una volta, come una violazione da parte del governo delle libertà accademiche e della libertà di pensiero. La risposta di studenti e professori è stata immediata: le proteste hanno avuto inizio il 4 gennaio e hanno visto l’arresto e la condanna di decine di studenti; non sono mancati, inoltre,  commenti omofobi e transfobici da parte del presidente turco e degli ufficiali nel denunciare le manifestazioni.  Le Nazioni Unite, con un tweet, hanno condannato gli avvenimenti e le posizioni anti-LGBT+, chiedendo il rilascio immediato dei protestanti. 


Intanto, le proteste proseguono con violenza e arresti. Svariati gli attestati di solidarietà e supporto ai protestanti, che, in una lettera aperta, accusano il primo ministro: «Tu non sei il nostro sultano, noi non siamo i tuoi sudditi».

Giulia Ariti
Studentessa di Filosofia che insegue il sogno del giornalismo. Sempre con gli occhi sulla realtà di oggi e la mente verso il domani.

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