
Sono nata il ventuno a primavera
Sono nata il ventuno a primavera, Diario e nuoce poesie (Manni Editore, 2005 )
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta
L’altra verità (BUR Rizzoli, 2013) è il “diario di una diversa”, nel quale la poetessa milanese racconta, in maniera diretta e lucida, della sua decennale esperienza in manicomio per un disturbo bipolare. Con spontaneità ed innocenza, questo spirito inquieto e dolente narra i propri mori dell’animo, il proprio vissuto e i propri sentimenti accostando immagini oniriche e visionarie.
La sua poesia è caratterizzata da una forte intensità e da una particolare tensione erotica, frutto di un’anima sofferente. Con stile pungente e preciso la poetessa dei Navigli riflette sia suo mondo esteriore che su quello interiore, affidando alla poesia i suoi tormenti, senza artifici retorici. Descrive il manicomio come un girone dantesco atto ad azzerare completamente la personalità del paziente, comportando sofferenze fisiche e mentali ai malati, sia da parte delle cure, che dei medici, che dagli altri internati.
Ma il vero manicomio è fuori, nella vita di tutti i giorni, a contatto con le persone. L’essere internati porta alla ricerca d’evasione, di un luogo alternativo, innestando un circolo vizioso nel quale si odia il manicomio e lo si rifugge con qualsiasi mezzo, ma quando si è lontani da esso si viene esclusi in quanto considerati pazzi, diversi, addirittura pericolosi. Il paziente tenta in ogni modo di evadere da quella dimensione claustrofobica e degradante per poi non riuscire a trovare un posto in cui si sente a proprio agio nella società, arrivando a odiarla e a invocare di nuovo il manicomio per sfuggire a una vita peggiore di quella precedente, fatta di giudizi e di incomprensioni.
Alda Merini ha fatto della sua pazzia una poesia. Ha accettato il male che sentiva dentro di sé, l’ha rielaborato e l’ha trasformato in qualcosa di indelebile, in arte.
La poesia si fa così balsamo per il dolore, un’arma di denuncia nei confronti delle barbarie subite. Non ritenendosi malata, non si riconosce affatto nelle persone che la circondano e, chiudendosi in sé stessa, rende la poesia un’ancora di salvezza: «più bella della poesia è stata la mia vita è la mia vita è stata un inferno dei sensi». Il manicomio non è stato in grado di ledere il binomio genio-follia che caratteristico della poetessa, anzi, l’ha ampliato ancora di più, ha reso incendio il fuoco che covava sotto la cenere. Da un lato è possibile leggere la lucidità razionale e la chiarezza della personalità di Alda Merini, mentre dall’altro emerge una realtà che si fonde con la follia stessa, con il delirio. Fragile e possente allo stesso tempo, Alda Merini rende il suo dolore parte integrante e caratterizzante della sua esistenza.
È difficile vivere la vita con la stessa intensità che caratterizza la poetessa. Al contrario, spesso la vita ci porta a percepire ciò che ci circonda “a bassa intensità”, in modo apatico, incolore. L’altra verità ci spinge la lasciarci scuotere dagli eventi che ci riguardano e dalle persone che ci toccano, tanti piccoli elettroshock che ci diano la carica per assaporare una vita degna di essere vissuta.