Del: 20 Aprile 2021 Di: Martina Di Paolantonio Commenti: 0
Pillole di economia. La stagflazione

Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.


L’intervento degli Stati o delle banche centrali nei mercati con misure volte a stimolare l’economia portano sempre con loro il timore di un aumento troppo elevato dell’inflazione e quindi di possibile stagflazione.

Sappiamo cos’è l’inflazione, ma la stagflazione? Come sono correlati i due concetti? Dobbiamo temerla?

Il termine “stagflazione” è costituito dall’unione di “inflazione” e “stagnazione”. Il primo concetto rimanda all’aumento del livello generale dei prezzi, il secondo a una condizione di rallentamento del sistema economico.

Fino agli anni ‘70 era impossibile concepire una situazione in cui si verificassero contemporaneamente. Il riferimento era infatti la teoria economica keynesiana, secondo la quale l’inflazione apparteneva a un periodo di crescita economica, mentre la stagnazione era appunto un periodo di crisi. L’inflazione veniva concepita come legata a un aumento di domanda derivante dalla possibilità di spendere del denaro frutto di un’occupazione efficiente, in pratica prezzi e redditi variano nello stesso senso. La diretta conseguenza è che una diminuzione dei redditi in una situazione di stagnazione porta a una diminuzione dei prezzi quindi alla deflazione. La concezione dell’inflazione come collegata a periodi di espansione economica trova ulteriore conferma nella curva di Phillips che concepisce tasso di disoccupazione e tasso di inflazione in relazione negativa.

Nel 1973 la crisi energetica cambiò le carte in tavola. Gli Stati dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) decisero di tagliare le esportazioni verso i paesi occidentali per manifestare la loro contrarietà all’appoggio che questi avevano fornito a Israele durante la guerra del Kippur. All’epoca l’economia di Europa e Stati Uniti era fortemente legata al petrolio, fondamentale per la produzione energetica e industriale, per cui un simile blocco poteva avere solamente conseguenze disastrose. E così fu: il prezzo del petrolio aumentò in maniera spropositata a causa della diminuzione di offerta, l’inflazione fu quindi provocata da uno shock esterno. Si trovarono così a convivere il concetto di inflazione e quello di stagnazione dato che la disoccupazione era diffusa, mentre l’attività produttiva non stava crescendo.

Da allora si è sempre avuto un certo timore per le misure prese dagli Stati per incentivare la circolazione di denaro in momenti di uscita da grandi crisi perché si temeva appunto un aumento dell’inflazione fuori controllo. Timore che a volte si è rivelato infondato (come ad esempio per il quantitative easing europeo), altre volte è stato incrementato dall’esempio pratico di alcuni Stati che hanno proposto politiche di bilancio fin troppo espansive, le quali hanno condotto a un’inflazione esagerata (come in Venezuela).

Oggi questa è una paura particolarmente attuale: i governi stanno studiando e cominciando ad applicare programmi per rilanciare l’economia, le banche centrali stanno immettendo denaro per tamponare gli effetti della crisi pandemica, tutte misure che potrebbero causare un aumento dell’inflazione.

Ci sono dei fattori che potrebbero far sembrare la stagflazione come un evento in avvicinamento inesorabile.

Fino a questo momento uno dei fattori che ha contribuito a mantenere bassa l’inflazione è stata la globalizzazione. Infatti, la diminuzione dei costi del lavoro tramite la delocalizzazione in Paesi con costo della manodopera più basso ha certamente giocato la sua parte nel diminuire i costi di produzione e quindi il prezzo finale. Questa situazione però potrebbe presto cambiare a causa di processi di delocalizzazione legati alla pandemia, e poi collegarsi a una diminuzione dell’attività produttiva, conseguenza necessaria dell’interruzione nei periodi di lockdown.

A questo bisogna aggiungere il fatto che all’orizzonte potrebbero prospettarsi diversi tipi di shock dell’offerta, legati al fatto che la crisi potrebbe portare a richieste di aumenti salariali o a un aumento dei prezzi per sopperire ai costi sostenuti dalle aziende per adeguarsi alle nuove norme sul luogo di lavoro. D’altronde, l’inflazione potrebbe aumentare anche perché le persone potrebbero voler anticipare le spese ritenendo proprio che in futuro ci sarà inflazione, quindi preferiscono acquistare ora prima che i prezzi aumentino.

La situazione sembrerebbe quantomeno grigia considerando queste prospettive. In realtà ci sono altri fattori che bisogna considerare, i quali potrebbero rendere la stagflazione un pericolo meno imminente.

Osservando degli aumenti di inflazione bisogna infatti fare una distinzione: da un lato c’è l’aumento dei prezzi di beni, dall’altro l’aumento del prezzo del lavoro. I cambiamenti che riguardano i beni, come per esempio quelli alimentari, sono molto rapidi, aumenti e diminuzioni del prezzo sono molto frequenti. I cambiamenti nei salari, invece, cambiano meno spesso, circa una volta l’anno.

Quindi se le aziende propongono un determinato prezzo perché prevedono un aumento generale, l’inflazione diventa certamente più probabile, ma questa variazione dei prezzi in realtà di per sé non conduce automaticamente alla stagflazione, per cui sono più rilevanti le variazioni nel costo del lavoro, essendo strettamente collegata al concetto di occupazione.

Insomma, è sicuramente troppo presto per determinare con certezza se le misure in atto condurranno a una combinazione di inflazione e stagnazione. I dati sull’aumento di inflazione nel prossimo futuro sono da interpretare con cautela e tenendo sotto controllo l’andamento dei salari, in quanto non necessariamente questi aumenti condurranno agli effetti sperimentati negli anni Settanta, potrebbero invece trattarsi di un allarme che si traduce in un nulla di fatto, come già avvenuto dopo la crisi del 2008.

Martina Di Paolantonio
Dal 1999 faccio concorrenza all'agenzia di promozione turistica abruzzese, nel tempo libero mi lamento per qualsiasi cosa.

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