Radici racconta fatti, personaggi e umori della storia della Prima Repubblica italiana, dal 1946 al 1994. Oggi rintracciamo le origini della moderna UE tornando indietro fino agli anni della guerra fredda, quando la fondazione di CECA e CEE segnò di fatto il primo tentativo di integrare i diversi Stati europei. A questo link, invece, trovate gli articoli precedenti della rubrica.
L’Europa uscita dal secondo conflitto mondiale non era certo un continente conscio dei propri sbagli e pronto a rimediarvi tramite l’avvio di un progetto verso un’unione politica, com’è invece raccontato nelle narrazioni storiche con una prospettiva teleologica.
L’idea dell’integrazione europea nacque con il profilarsi della divisione del mondo in due blocchi e il contestuale scoppio della guerra fredda.
I paesi dell’Europa occidentale iniziarono a cooperare tra di loro per diversi motivi, innanzitutto per la ricostruzione economica, ma anche per le aspirazioni personali al fine di guadagnare un posto rilevante all’interno dello scacchiere internazionale e infine, per alcuni paesi, la cooperazione era vista come una garanzia del rispetto dei propri confini.
La paura di un’influenza russa sul vecchio continente portò gli Stati Uniti a farsi promotori di un progetto di integrazione tra gli Stati europei, tramite il Piano Marshall. Infatti, per accedere ai fondi del piano era necessario un coordinamento europeo, affinché la distribuzione fosse efficace. Il processo continuò negli anni successivi, ma non fu lineare e progressivo: ci furono passi avanti e passi indietro, iniziative andate a buon fine e tentativi naufragati.
Uno slancio importante verso l’unità lo diedero sicuramente tre politici europei di spicco: Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio italiano, Konrad Adenauer, cancelliere della Germania Ovest e Robert Schumann, ministro degli Esteri francese. Considerati padri fondatori dell’Europa, tutti e tre provenivano da territori di confine e grazie al loro intervento si arrivò alla formazione, nel 1952, della CECA, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio.
Il piano che sancì la nascita della CECA, il cosiddetto Piano Schumann, si prefiggeva come obiettivo principale la generazione di benessere tra i paesi contraenti, tramite la cooperazione economica in settori specifici, quello del carbone e dell’acciaio. Ma in realtà era molto più ambizioso, perché si pensava che a fronte di risultati positivi la cooperazione avrebbe potuto allargarsi anche ai principali ambiti dell’economia e successivamente sul piano politico.
In questo senso, un’altra data fondamentale nel processo di integrazione fu il 25 marzo 1957, giorno in cui vennero firmati i Trattati di Roma in base ai quali si formò la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM).
Gli stessi sei paesi che avevano aderito alla CECA: Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, si impegnavano alla creazione di un’unione doganale, tramite l’eliminazione dei dazi interni e l’adozione di una tariffa doganale comune per le importazioni dall’estero, oltre che all’armonizzazione delle politiche economiche e la libera circolazione dei lavoratori.
A livello politico gran parte dei partiti europei furono favorevoli all’accordo, tranne i partiti più a sinistra, contrari a un’integrazione economica perché vista come un rafforzamento del blocco occidentale e quindi un passo ulteriore verso la sudditanza al sistema capitalistico a guida USA. Nel nostro paese lo scetticismo della sinistra nei confronti dei Trattati è evidente da come ne diede notizia l’Unità, l’organo stampa del Partito Comunista Italiano, che il giorno seguente all’approvazione scrisse: «La cerimonia nella Sala degli Orazi e Curiazi è stata una delle più tediose e stanche che la diplomazia abbia mai conosciuto. Nelle parole di ognuno dei sei si sono monotonamente ripetuti i luoghi comuni dell’europeismo ma anche sono affiorati accenti di preoccupazione per il groviglio di problemi e il contrasto di interessi che il Mercato comune e l’Euratom lasciano insoluti sotto la farragine dei loro oltre 400 articoli».
La stampa tradizionale invece diede molto rilievo alla notizia, sulle pagine del Corriere della Sera si leggeva che la firma dei Trattati di Roma:
Costituisce un momento di fondamentale importanza nel lungo e faticoso processo di unificazione economica, e quindi anche politica, del nostro continente […] la firma dei due trattati costituisce un punto di partenza e non d’arrivo nel processo d’integrazione economica dei sei Paesi della piccola Europa […] Solo i comunisti hanno assunto, dopo la nota sovietica sui due trattati atteggiamento contrario; tutti gli altri partiti dal PSI al MSI accettano invece, in linea di principio, l’integrazione economica europea: variano le accentuazioni, le preoccupazioni e le riserve sui punti particolari.
I più ferventi europeisti di sponda federalista invece criticarono la struttura della CEE perché il suo organismo sovranazionale, la Commissione, aveva poteri limitati rispetto all’Alta autorità, l’organismo sovranazionale della CECA e, per questo, i Trattati di Roma erano visti come un passo indietro. Nonostante queste critiche è innegabile che la formazione della Comunità economica europea apportò grandi risultati all’integrazione europea, aprendo le porte all’espansione del potere economico e politico dell’Europa occidentale.
Bibliografia:
- Leonardo Rapone, Storia dell’integrazione europea.
- L’Unità, 26 marzo 1957.
- Il Corriere della Sera, 26 marzo 1957.