Del: 3 Maggio 2021 Di: Cristina delli Carri Commenti: 0

A cosa pensiamo quando sentiamo la parola legge? Probabilmente le prime immagini che ci vengono in mente sono collegate all’ordinamento e al processo penale, quelli che tanto spesso vediamo in televisione o di cui abbiamo letto nei libri: da Agatha Christie ad Andrea Camilleri, dal Commissario Poirot ad Annalise Keating, il diritto penale ha accompagnato ed intrattenuto intere generazioni, appassionato centinaia di lettori e spettatori.

Ma anche al di fuori della fiction, il diritto penale è sempre sulla bocca di tutti: soltanto negli ultimi giorni il dibattito sul Ddl Zan ha incrociato quello sull’arresto di numerosi ex brigatisti che avevano trovato asilo in Francia; per mesi abbiamo parlato e sentito parlare di riforme sulla prescrizione e sulla legittima difesa; per non parlare della cronaca nera, che riempie giornali e telegiornali in tutte le edizioni. Il diritto penale, potremmo dire, appare come il diritto per antonomasia, sebbene sia solo una branca degli ordinamenti giuridici, quella che dovrebbe essere meno esposta.  

Abbiamo parlato con Francesco D’Errico, presidente dell’associazione Extrema Ratio, per (ri)scoprire i limiti del diritto penale e il suo vero ruolo nell’ordinamento giuridico.

[L’intervista è stata editata per brevità e chiarezza]


Cos’è Extrema Ratio? Perché è nata?

L’associazione culturale Extrema Ratio è nata due anni fa. È composta prevalentemente da studenti, praticanti, giovani avvocati, e ha lo scopo di promuovere il pensiero garantista e in particolare una concezione di diritto penale liberale, costituzionale e quindi minimo. Liberale perché il diritto penale dovrebbe legittimare l’intervento punitivo solo quando è strettamente necessario e proporzionato alle esigenze di tutela, oltre che rispettoso della persona che lo subisce. La libertà personale è un diritto che appartiene a tutti, un diritto naturale di ogni individuo, che lo Stato non può non riconoscere. Per questo l’aggettivo “costituzionale”. La Costituzione funge al tempo stesso da fondamento e da argine all’intervento punitivo dello Stato. Il diritto penale andrebbe utilizzato in maniera residuale, appunto come extrema ratio, per tutelare la libertà personale.

Quando pensiamo al diritto penale, generalmente pensiamo al carcere. Voi però parlate di diritto penale minimo. 

Lo Stato deve garantire e tutelare il più debole contro il più forte: nel delitto il più debole è la vittima, subito dopo invece è il reo, minacciato dalla vendetta. Per minimizzare la violenza nella società, il diritto penale deve essere minimo nelle proibizioni e nelle pene, per assicurare il massimo benessere dei non devianti e insieme il minimo malessere dei devianti. Il costo sociale delle pene non può essere superiore al costo delle violenze che il diritto penale vuole prevenire. 

Eppure il concetto di vendetta è molto radicato nell’opinione comune. Sentiamo tanto parlare di pene esemplari, di marcire in galera, siamo pieni di mostri sbattuti in prima pagina. Perché dovremmo abbandonare il concetto di vendetta, anche per i reati più cruenti?

Ci sono una serie di principi che noi diamo per scontati, ma che oggi sono fortemente sotto attacco. Fra tutti i principi a rischio, il primo è quello della presunzione di innocenza, eroso quotidianamente dal  fenomeno della gogna mediatica. In questo clima non conta più lo svolgimento del processo e il merito dello stesso, è tutto spostato sulla percezione: il rischio è di rimanere percepiti come colpevoli, per il solo fatto di essere identificati come tali dalla stampa. È un rischio che ci riguarda tutti, innocenti e non. 

Una vendetta pubblica che dovremmo abbandonare, nell’interesse di tutti, è quella del carcere.

Per come è strutturato oggi, il carcere è diventato una “vendetta pubblica”, perché concentrato sull’aspetto afflittivo piuttosto che sul principio di rieducazione, un principio di rilievo costituzionale. Eppure è interesse di tutti avere un carcere orientato alla risocializzazione, rispettoso della dignità dell’individuo: in carcere si entra ma dal carcere si esce anche, e spesso si esce peggiori di prima, segnati da un’esperienza puramente afflittiva e più esclusi dal consesso sociale. Lo scopo del carcere è limitare la libertà personale degli individui per rieducarli, quindi non dovrebbe limitare anche altri diritti fondamentali. 

Puoi fare un esempio?

Un taboo è quello del diritto alla sessualità: la sessualità non è un privilegio, ma una funzione fisiologica che non dovrebbe essere impedita ai detenuti, se vogliamo limitare solo la libertà personale. Altro esempio è quello dell’altissimo tasso di contagi da Covid all’interno delle carceri, dovuto anche alla mancanza di spazi adeguati per assicurare il distanziamento sociale. Purtroppo ancora troppe persone considerano i detenuti come non umani, come entità biologiche prive di dignità. 

Si potrebbe quasi dire che tu sia dalla parte dei delinquenti.

I valori che noi proponiamo sono previsti dalla Costituzione, non sono inventati da una lobby di invasati a difesa dei “criminali”. La verità è che l’apparato di garanzie costituzionali del diritto penale è profondamente in crisi, una crisi iniziata per una serie di ragioni storiche e politiche difficili da riassumere. Il diritto penale ha acquistato una centralità nel dibattito pubblico che prima non c’era, e che ha portato con sé interventi spesso difficilmente compatibili con la Costituzione e più in generale sempre meno attenti al rispetto dei diritti individuali.

Uno Stato civile, serio ed autorevole non priverebbe nessun detenuto della sua dignità, qualunque sia la sua identità, qualsiasi sia la sua colpa.

Per non parlare del fatto che nelle nostre carceri, notoriamente sovraffollate, non ci sono solo mafiosi e assassini.

Un terzo dei nostri detenuti è in carcere per reati legati agli stupefacenti. Inoltre, in carcere troviamo tanti, troppi imputati – ancora formalmente innocenti – soggetti a detenzione cautelare, un numero assolutamente non in linea con gli altri Paesi occidentali. Per risolvere questi problemi gli interventi necessari sono la depenalizzazione dei reati bagatellari e soprattutto una seria riforma dell’esecuzione penale, nella direzione di un notevole ampliamento dell’utilizzabilità delle alternative alla detenzione. Il carcere deve diventare davvero l’extrema ratio. Nei fatti e non solo sulla carta.

Ci hai parlato di depenalizzazione, ma al centro del dibattito pubblico attuale c’è l’ampliamento di una fattispecie di reato. Come si pone Extrema Ratio sul tema del Ddl Zan? 

Non siamo contrari al ddl Zan nel suo complesso. Il ddl Zan da un lato propone una serie di politiche attive volte alla lotta contro le discriminazioni, con cui siamo più che in linea; dall’altro amplia il contenuto degli articoli 604 bis e 604 ter del codice penale, introdotti dalla legge Mancino. La nostra critica è rivolta alla legge Mancino nel suo complesso, alla struttura in sé della fattispecie di reato. Il diritto penale è una risorsa scarsa; le risorse da attivare, per un serio cambio di prospettiva, sono di tipo educativo, formativo, culturale e sociale. Anche perché, nel caso di specie, il diritto penale offre già gli strumenti adeguati a tutelarsi da condotte aggressive e lesive di beni giuridici fondamentali. L’intervento della parte penale del ddl Zan in questo senso è puramente simbolica e noi, dal nostro punto di vista, non crediamo che il diritto penale possa o debba avere una funzione pedagogica.

Per approfondire le posizioni di Extrema Ratio sul ddl Zan, nonché su tutti gli altri temi toccati, rimandiamo ai loro siti. Inoltre, Francesco D’Errico consiglia a chi sia interessato le seguenti letture e opere cinematografiche, adatte a cultori della materia e non.  

Libri:
“Per il tuo bene ti mozzerò la testa. Contro il giustizialismo morale”, Luigi Manconi e Federica Graziani, Einaudi.
“Vendetta Pubblica: il carcere in Italia” , Marcello Bortolato e Edoardo Vigna, Laterza.
“L’enigma penale. L’affermazione dei populismi nelle democrazie liberali”, Enrico Amati, Giappichelli
“Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa”, Filippo Sgubbi, Il Mulino
“Declino e caduta del diritto penale liberale”, Gaetano Insolera, ETS Edizioni
“Il circo mediatico-giudiziario”, Daniel Soulèz Lariviere, Liberilibri

Film:
Infernale Quinlan, Orson Welles, USA, 1958
Il sospetto, Thomas Vinterberg, Danimarca, 2012
Minority Report, Steven Spielberg, USA, 2002
La parola ai giurati, Sidney Lumet, USA, 1957
Il dubbio – Un caso di coscienza, Vahid Jalilvand, Iran, 2018
La fuga, Dalmer Daves, USA, 1947
La conversazione, Francis Ford Coppola, USA, 1974

Cristina delli Carri
Vegetariana, giramondo, studio giurisprudenza ma niente di serio. Se fossi un oggetto sarei una penna stilografica.

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