Del: 8 Maggio 2021 Di: Letizia Bonetti Commenti: 0

“Solo comprendendo ce ne interesseremo.
Solo interessandocene aiuteremo.
Solo aiutando tutto potrà salvarsi.”
Jane Goodall

La vita di Jane Goodall è una storia importante e avventurosa che vale la pena essere raccontata. Una scienziata straordinaria che non si è mai arresa e che con la sua tenacia ha rivoluzionato il campo dell’antropologia e dell’etologia grazie alla lunga attività di ricerca sugli scimpanzé. Oggi, a distanza di sessant’anni, il suo è lo studio più duraturo mai condotto sugli scimpanzé selvatici.

Jane Goodall nasce il 3 aprile 1934 e fin da piccola mostra una grande passione verso gli animali. All’età di un anno, suo padre le regala uno scimpanzé peluche: gli amici dei genitori dicono che quel giocattolo le farà venire gli incubi, ma Jane dimostra subito di che stoffa è fatta. Il regalo le piace moltissimo e si porta il suo scimpanzé Jubilee ovunque.

Jane Goodall da piccola

Goodall sogna di vivere in Africa per guardare e scrivere del comportamento degli animali ma si scontra presto con la realtà. La sua famiglia non può sostenere i costi dell’università e trova lavoro a Londra come segretaria. Ma nel 1956, il colpo di fortuna. L’amica Clo Mange la invita a trascorrere qualche tempo presso la fattoria di famiglia in Africa e così l’anno dopo, all’età di 23 anni, Jane Goodall naviga fino in Kenya. Qui conosce il famoso antropologo e paleontologo Louis Leakey, un incontro che cambierà la sua vita.

Insieme iniziano uno studio sugli scimpanzé con l’intenzione di condurlo sulle sponde del lago Tanganyika, in Tanzania. Tuttavia, le autorità inglesi non sono dell’idea di lasciare una giovane donna a vivere in Africa tra animali selvatici e acconsentono solo dopo che la madre di Jane si offre di accompagnarla per tre mesi. Inizia così l’avventura di Jane nel Parco Nazionale di Gombe: l’obiettivo è quello di studiare le scimmie attraverso un approccio non convenzionale, entrando in relazione diretta con loro per studiarli da vicino e sul campo.

Goodall si accorge subito che le scimmie sono più simili agli uomini di quanto si credesse al tempo.

Scopre che tra di loro si formano relazioni di natura sociale molto simili a quelle umane. Ognuno è dotato di una sensibilità, un’intelligenza e una personalità che lo distinguono dagli altri, tanto che la scienziata attribuisce nomi propri ai primati. Avvicinarsi agli scimpanzé però non è facile. Le scimmie hanno paura e non si fidano, ma la pazienza dell’etologa paga e dopo alcune settimane lo scimpanzé David Greybeard le permette di avvicinarsi, aumentando la fiducia dei compagni nei confronti dell’intrusa.

La scoperta più importate arriva però nel novembre del 1960. Jane sta osservando David Greybeard e nota che utilizza uno stelo d’erba per mangiare: lo infila in un nido di termiti e lo usa per estrarre gli insetti. Pochi giorni dopo accade una cosa ancora più sorprendente: il primate sceglie lo stelo più adatto alla sua caccia e lo pulisce delle foglie, per renderlo più efficace nella raccolta delle termiti. Non solo lo scimpanzé aveva utilizzato un utensile, ma lo aveva pure realizzato con le sue stesse mani. Fino a quel momento l’uomo era stato ritenuto l’unico animale in grado di creare e utilizzare attrezzi. L’aspetto più sorprendente del comportamento era la tranquillità e la concentrazione degli scimpanzé, in netto contrasto con il comportamento abituale dell’animale, vivace e rumoroso.

Da lì in poi emergono altre scoperte, da cui si ricava che in realtà sono tanti gli animali in grado di creare e utilizzare utensili di vario genere e natura. Alla fine degli anni Settanta, alcuni ricercatori scoprono che le capacità degli scimpanzé della Costa d’Avorio di usare gli utensili è altamente specializzata. Cercano sistematicamente il tipo di superficie più adeguato e una pietra per spaccare particolari varietà di noci. Da una ricerca del 2003 emerge che le cornacchie della Nuova Caledonia sono abili nel fabbricare, selezionare e utilizzare semplici utensili, tra cui bastoni che possono servire da pala per catturare alimenti inaccessibili.

Insomma, la scoperta di Jane Goodall è uno dei momenti in cui l’uomo è obbligato a riconsiderare la sua unicità e superiorità, in favore di un atteggiamento di maggiore rispetto e convivenza con le altre specie animali. L’uomo non è che questo: un animale tra tanti animali.

Può anche sopraffare il mondo animale e vegetale, può far estinguere le specie e distruggere l’ambiente, in nome della sua superiorità. Ma alla fine di questo percorso rimarrà ben poco.

All’inizio, vengono mosse molte critiche al lavoro di Jane Goodall, giovane e donna. Ma le scoperte successive non fanno altro che confermare i suoi studi. Nel 1962 Goodall ha la possibilità di frequentare i corsi di etologia dell’università di Cambridge, dove nel 1965 conseguirà il dottorato, per poi proseguire la sua attività di ricerca. Nel 1977, fonda il Jane Goodall Institute per sostenere la ricerca a Gombe e per proteggere gli scimpanzé nei loro habitat. Oggi Jane Goodall ha ottantasette anni, è Messaggero di Pace delle Nazioni Unite ed è ancora molto attiva.

Non solo si batte per sensibilizzare l’opinione pubblica sul declino delle popolazioni di scimpanzé ma anche sui temi a esso connessi, come la drastica riduzione delle foreste e l’importanza delle popolazioni che le abitano. Sul sito janegoodall.it si legge: «Sapendo che le comunità locali sono fondamentali per proteggere gli scimpanzé, Jane Goodall ha ridefinito il concetto tradizionale di conservazione, secondo un approccio che riconosce il ruolo centrale che le persone svolgono per il benessere degli animali e dell’habitat». 

Letizia Bonetti
Sono Letizia e studio giurisprudenza a Milano, anche se dall'accento bergamasco non si direbbe. Nel tempo libero mi piace nuotare, mangiare gelati e scrivere per Vulcano Statale.

Commenta