Del: 13 Maggio 2021 Di: Redazione Commenti: 0
Milano, un albero per ogni Giusto nello Sport

Girando per Milano ci si può imbattere in un giardino speciale. Gli alberi, in questo spazio verde distaccato dalla frenetica città metropolitana, non sono piantati a caso: ognuno ha la sua storia, il suo motivo, esprime da solo valori di cambiamento, bene, giustizia. Si tratta, appunto, del Giardino dei Giusti.

Quando si pensa ai Giusti tornano immediatamente in mente gli eroi che rischiando la propria vita hanno salvato ebrei dal genocidio nazista, eppure al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano non si trovano solo quelli. Camminando per il parco si incontrano anche i dissidenti dell’est Europa, i testimoni di verità, coloro che hanno lottato contro la mafia o contro il fondamentalismo, e così via: come dice lo stesso slogan del Giardino, “un albero per ogni uomo che ha scelto il Bene”.

Ed è lì, tra le tante categorie e battaglie, tra i tanti nomi, che saltano all’occhio anche loro: i Giusti nello sport.

A prima vista potrebbe sembrare strano, quasi forzato, accostare la sensibile tematica dei diritti umani a un ambito così commerciale come lo sport, ma nella realtà questo binomio è tutt’altro che astruso. L’attività sportiva, anche grazie alla sua alta popolarità e capacità di unire tutte le Nazioni, si ritrova soprattutto in tempi come questi a essere un potente mezzo di denuncia di violazioni di diritti fondamentali in tutto il mondo.

Tra i tanti alberi che crescono in quella che diventerà una vera e propria foresta dei Giusti vi è per esempio quello di Věra Čáslavská, atleta ceca costretta a fuggire e vivere nascosta a causa della sua adesione al Manifesto delle Duemila parole, dichiarazione di dissenso nei confronti del Partito socialista. Věra pose fine alla fuga solamente per partecipare alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 dove, per la prima volta nella storia dei giochi olimpici, vinse l’oro in tutte le specialità individuali.

I giudici però, sotto la pressione dei russi, modificarono il voto dell’atleta russa seconda classificata, la quale venne posta a pari merito con Věra. Quest’ultima non accettò l’ingiustizia e al momento dell’inno nazionale russo abbassò la testa, rifiutandosi di guardare la bandiera dello Stato che stava sistematicamente violando i diritti di un’intera nazione, della sua nazione.

Věra Čáslavská (a sinistra) durante la premiazione.

Una volta a Praga, avendo rifiutato di scusarsi per il suo gesto, venne bandita da tutte le competizioni e allenamenti, finendo a pulire le scale per guadagnarsi da vivere.

Vanno ricordati inoltre, tra i tanti atleti Giusti, Tommie Smith e John Carlos, due velocisti statunitensi di colore che salirono sul podio delle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 a testa bassa, scalzi, per ricordare le condizioni di povertà in cui vivono numerosi afroamericani, con al petto la spilla dell’Olympic Project for Human Rights e con il pugno chiuso alzato, simbolo della battaglia per i diritti degli afroamericani.

Al primo gradino del podio Tommie Smith, al terzo John Carlos.

Ci sono storie di aperta battaglia così come anche storie di pura e semplice solidarietà tra popoli: è questo il valore che incarna Ludwig “Luz” Long, il quale durante le Olimpiadi di Berlino del 1936, volute da Hitler per dimostrare la supremazia della “razza ariana”, suggerì all’avversario afroamericano Jesse Owen di anticipare lo stacco nel salto in lungo, permettendogli di batterlo e di vincere la sua quarta medaglia d’oro ai Giochi di quell’anno. Proprio per tale gesto nel 1943 venne inviato da Hitler al fronte in Sicilia, dove morì.

Ludwig Long e Jessie Owens.

Quest’importante tradizione è tutt’ora portata avanti da sportivi dei giorni d’oggi che, seguendo le orme dei grandi del passato, combattono per rendere il mondo un posto migliore, che sia con gesti pubblici eclatanti, con raccolte benefiche o grazie al potere dei social media. Si tratta ad esempio di Roger Federer e della sua Fondazione, oppure di Andres Iniesta, che ha donato la sua maglia per farla vendere a un’asta il cui ricavato è stato utilizzato per acquistare pannelli solari per i campi profughi del popolo Saharawi.

È questa la forza, il vero valore della fama: il poter sfruttare la propria visibilità per rendere visibile qualcos’altro.

Articolo di Sofia Carra.

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