Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
Per parlare delle conseguenze della crisi del 2008 venne coniato il termine “Man-cession”, in quanto colpì maggiormente i settori manifatturiero ed edilizio, con un’alta presenza maschile, causando quindi un calo dell’occupazione principalmente per gli uomini.
La crisi del 2020 provocata dalla pandemia ha invece portato alla “she-cession”, una recessione che ha condotto a una perdita maggiore di posti di lavoro per le donne.
Un’analisi condotta da Vox.eu descrive il fenomeno prendendo come riferimento gli Stati Uniti: comparando la disoccupazione di uomini e donne in tutte le fasi recessive dell’economia dal 1949, emerge che quella del 2020 ha provocato un aumento della disoccupazione femminile maggiore di ben 2,9 punti percentuali rispetto a quella maschile, un gap molto maggiore in valore assoluto di quello che si è potuto osservare nelle crisi precedenti.
L’analisi rileva le due cause primarie di questa she-cession: i settori di impiego e la chiusura delle scuole. Le donne, infatti, trovano maggior lavoro nelle aree che sono state maggiormente intaccate dalla crisi, ossia il commercio, il turismo, la ristorazione. A questo bisogna aggiungere la chiusura delle scuole e in generale dei servizi per l’infanzia che da un lato ha provocato un’ulteriore perdita di lavoro a maggioranza femminile, dall’altra ha impedito la ricerca di nuovi impieghi o ha condotto le donne a dover rinunciare spontaneamente al loro lavoro per dedicarsi alle cure parentali.
Questa recessione principalmente femminile preoccupa anche il World Economic Forum che rileva come in diciassette su ventiquattro Paesi ricchi nel quale la disoccupazione è aumentata nel corso dello scorso anno, le donne hanno più probabilità di perdere il lavoro, in più hanno speso in media 7,7 ore in più a settimana rispetto a un uomo in lavoro non retribuito per la cura dei bambini.
Guardando al fenomeno in Italia, i dati Istat riportano 470 mila occupate in meno rispetto al secondo trimestre del 2019 (di cui 323 mila in meno con contratto a tempo determinato). L’economista Marcella Corsi, coordinatrice di Minerva – Laboratorio di studi sulla diversità e le diseguaglianze di genere alla Sapienza – Università di Roma dichiara che la crisi che stiamo vivendo è una crisi di genere per diversi punti di vista, compreso quello occupazionale.
Questa crisi non solo economica ma anche sociale si inserisce in uno scenario più ampio, dove le donne sono non solo meno pagate degli uomini (ricordiamo il gender pay gap), ma hanno anche minore accesso alla protezione sociale.
Come spiega Magdalena Sepulveda per la rivista InGenere: «Non si tratta solo di occupazione e di reddito, la crisi da Covid19 riunisce tutti gli ingredienti di un coctail devastante che potrebbe allargare le disuguaglianze e mettere a repentaglio i guadagni che le donne hanno ottenuto dopo aver combattuto faticosamente per decenni».
Bisogna dire che per quanto riguarda le rilevazioni statistiche nel caso italiano, ci sono osservazioni contrastanti sull’effettiva rilevanza della perdita di lavoro femminile rispetto a quella maschile, legati al fatto che la situazione dell’occupazione femminile è sempre stata critica. La Prof.ssa Paola Profeta, docente di Scienza delle finanze all’università Bocconi di Milano e direttrice dell’Axa Research Lab on Gender Equality ha infatti spiegato che in Italia:« Se guardiamo al tasso di occupazione femminile per la popolazione tra i 15 e i 64 in Italia è sempre stato al di sotto del 50% […] quindi meno di una donna su due lavora nel nostro Paese».
In ogni caso, anche riflettendo in maniera differente sui dati, appare chiara una problematica di base legata alla crescita del lavoro non retribuito, quindi quello domestico, per le donne. Per questo il fenomeno della she-cession andrà valutato con estrema attenzione nei programmi di ripresa da adottare. Il fatto che si tratti di una recessione che ha modificato in maniera rilevante il mondo dell’occupazione femminile si potrebbe tradurre in un cambiamento permanente nel mercato del lavoro, rendendo più diffuse le opzioni lavorative da casa e aumentando la flessibilità. Misure che tuttavia aggirano il problema, dando per scontato che il lavoro di cura sia prerogativa esclusiva femminile, aumentando il carico lavorativo complessivo e non intaccando il gap attualmente esistente tra le condizioni lavorative tra uomini e donne.
Per il momento in Italia la legge di bilancio 2021 prevede un bonus assunzioni per giovani e donne, dove l’idoneità sarà concessa solo per l’assunzione di donne prive di lavoro regolarmente retribuito da almeno sei mesi. Bisognerà valutare l’impatto delle misure che verranno adottate per l’utilizzo dei fondi provenienti dal Recovery Fund, tenendo presente che potrebbero aumentare ulteriormente la disparità se non gestiti in maniera ottimale, come sta accadendo negli Stati Uniti dove le prime fasi della ripresa hanno portato maggiori benefici per l’occupazione degli uomini rispetto alle donne.