Del: 23 Giugno 2021 Di: Cristina delli Carri Commenti: 2

Nel 1946 durante una conferenza a Zurigo, Wiston Churchill esclamava appassionatamente «Let Europe Arise!». In quegli anni, nell’Europa stroncata dalla guerra si ponevano le basi per quella che oggi è l’Unione Europea: un’organizzazione internazionale del tutto peculiare, che permette alle persone che si trovano nei territori dell’UE di godere degli stessi diritti in modo uniforme, agli Stati membri di crescere all’unisono culturalmente ed economicamente, ai Governi di mettere in comune le risorse per fronteggiare il mercato globale con una forza maggiore. Non per niente il motto dell’Unione è «United in diversity».  

Nonostante l’interesse mostrato fin da subito da Churchill, il Regno Unito non si fece subito coinvolgere nel percorso di integrazione europea. Bisognò aspettare il 1973 perché i Brits entrassero finalmente nella famiglia delle Comunità Europee, che cercarono di abbandonare soltanto due anni dopo con un primo referendum.

Soprattutto durante il mandato di Margaret Tatcher, il Regno Unito tentò di affrancarsi sempre di più dall’ordinamento europeo: con una serie di accordi di opt out, Westminster riuscì ad ottenere uno status particolare rispetto a quello degli altri membri dell’UE, che permetteva di applicare soltanto alcuni settori dell’ordinamento europeo: già allora gli UK rivendicavano più ampi margini di libertà rispetto a quelli normalmente concessi.

Nel 2015 il Premier Cameron indisse il secondo referendum per uscire dall’Unione. L’intendo del  Prime Minister era ben diverso da quello che si può immaginare: Cameron era assolutamente convinto della vittoria del remain, essendo uscito vittorioso soltanto un anno prima da nuove trattative con l’UE per concedere al Regno Unito ulteriori margini di autonomia. Avendo dimostrato la sua capacità contrattuale ai cittadini, Cameron si aspettava di mettere a tacere le voci degli anti-europeisti attraverso un referendum che rafforzasse il suo Governo: nessuno si sarebbe immaginato che il 23 giugno 2016 il fronte del leave avrebbe trionfato con il 51,9% dei voti.

Sono passati 5 anni dal giorno in cui i cittadini del Regno Unito hanno decretato la loro uscita dall’Unione Europea: 5 anni di trattative incessanti, complesse, sofferte, condotte per l’UE dal commissario Michel Barnier insieme ai 3 governi che si sono susseguiti a Londra.

Da allora non poche sono state le questioni da sciogliere: il Regno Unito ha infatti dovuto affrontare le conseguenze dell’uscita dal mercato unico europeo sul fronte economico, sostituire la totalità degli accordi internazionali stipulati dall’UE in suo nome negli ultimi 40 anni, occupandosi tra l’altro dello status dei cittadini europei domiciliati in UK e delle nuove relazioni diplomatiche con tutti i Paesi del mondo.

Dopo il Referendum, e soprattutto negli ultimi mesi, si sono riaccesi violentemente i fuochi delle autonomie: dalla Scozia che minaccia di indire un nuovo referendum separatista per rientrare come Stato sovrano in Europa, all’Irlanda del Nord, dove la difficoltà di trovare un accordo sulle frontiere con l’Irlanda (ancora membro dell’UE) ha fatto riemergere vecchi rancori, portando anche a scontri violenti. Oltretutto le trattative per l’accordo di recesso, già complesse di per sé, si sono svolte in gran parte all’ombra di una crisi sanitaria senza precedenti.

Il 30 gennaio 2020 a seguito del voto del Parlamento Europeo per approvare l’accordo di recesso, i funzionari britannici a Bruxelles sono stati salutati con un commuovente canto scozzese : da quel giorno il Regno Unito è ufficialmente uno Stato terzo agli occhi dell’UE. Il 24 dicembre 2020 poi è stato raggiunto anche l’accordo definitivo sulle future relazioni tra Unione Europea e Westminster, i c.d. ”accordi di Natale”.

Le conseguenze del recesso ufficiale non hanno tardato a palesarsi: l’apparato burocratico creato per regolare import\export ha provocato già dallo scorso gennaio dei grossi ritardi nella consegna dei beni, comportando un danno ingente soprattutto al mercato ittico. Clamorosi anche i ritardi nelle consegne dei vaccini Astrazeneca in Europa, ritardi che il Regno Unito non ha subìto grazie apparentemente al rapporto privilegiato che intercorre tra il Paese e la casa farmaceutica.

Sebbene si sia finalmente conclusa la fase più tesa della negoziazione dell’accordo di recesso, il Regno Unito sta scoprendo, giorno dopo giorno, le conseguenze della dipartita dall’Unione. Tanti sono ancora i punti interrogativi: dalle relazioni con gli Stati Uniti all’andamento del turismo, specialmente in tempi di Covid dove il Green Pass agevola di molto la circolazione entro i confini europei. Non resta che rimanere in attesa di nuovi sviluppi: quale sarà il nuovo ruolo del Paese nella geopolitica?

Cristina delli Carri
Vegetariana, giramondo, studio giurisprudenza ma niente di serio. Se fossi un oggetto sarei una penna stilografica.

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