
Lo scorso 28 maggio, il quotidiano Il Foglio ha pubblicato una lettera di scuse firmata dal Ministro degli esteri Luigi Di Maio e rivolta all’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, assolto in appello dall’accusa di turbativa d’asta (“il fatto non sussiste”) due anni e mezzo dopo essere stato condannato in primo grado. L’ex capo politico del Movimento cinque stelle si è sentito in dovere di chiedere scusa per «l’utilizzo della gogna come strumento di campagna elettorale».
Il caso Di Maio-Uggetti ha acceso il dibattito pubblico per molte ragioni.
In primo luogo, politici, giornalisti e giuristi sono tornati a dividersi tra giustizialisti e garantisti: da una parte, chi sostiene che non c’è bisogno di aspettare il pronunciamento della magistratura per capire se le dimissioni di un politico indagato sono necessarie, dall’altra i difensori della teoria secondo cui bisogna aspettare la sentenza, in linea con il principio costituzionale che afferma che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» (art. 27 Cost.). Mettendo momentaneamente da parte la specifica vicenda giudiziaria che ha letteralmente travolto il sindaco di Lodi (il suo arresto fu raccontato con un eccezionale clamore mediatico), occorre innanzitutto riconoscere che nessuna semplificazione può aiutare a capire quale atteggiamento sia giusto tenere nei confronti di un politico indagato.
È piuttosto frustrante dover ancora ascoltare le accuse di chi sostiene che i giustizialisti siano dei barbari manettari, dimenticando che la stessa Costituzione a cui i garantisti si appellano nella difesa dell’imputato innocente fino a prova contraria afferma anche che «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore» (art. 54 Cost.). La pretesa dei padri costituenti, dunque, va oltre il semplice rispetto della legge, e la cosa non dovrebbe stupire se si tenesse a mente che i cittadini che ricoprono cariche pubbliche rappresentano altri cittadini. Queste considerazioni generali dovrebbero essere il presupposto da tenere a mente nell’analisi dei casi singoli, tra cui quello di Uggetti.
L’ex sindaco è stato accusato di aver manipolato il bando di una gara per favorire la vittoria della società Sporting Lodi, partecipata dal Comune. Secondo l’accusa, tale manipolazione avrebbe permesso a Uggetti di ottenere vantaggi in termini di consenso politico e di guadagno economico. Dopo l’arresto disposto dalla GIP per evitare il pericolo di inquinamento delle prove e quello di reiterazione del reato, il sindaco aveva pronunciato delle frasi particolarmente controverse: «sono molto rammaricato, ho sofferto molto in questi giorni, gli sbagli che ho fatto sono stati fatti per il bene della mia città». Alcuni giornali, in prima linea Il Fatto Quotidiano, sostengono che questa non sia altro che una confessione, altri controbattono sottolineando l’assenza di un chiaro riferimento al reato che veniva contestato al sindaco, e ricordano che la stessa accusa ha rifiutato di servirsi di quella che è considerata la principale prova contro Uggetti.
Si tratta della registrazione di una conversazione tra l’allora sindaco e la dipendente del comune Caterina Uggè, la quale sostiene di aver subito pressioni indebite finalizzate a costringerla a modificare il bando. Di certo le intercettazioni effettuate dalla procura in seguito all’esposto presentato dalla Uggè non supportano la tesi della difesa: «facciamo le cose che possiamo fare, che è formattare il pc…» aveva detto il sindaco al consigliere della Sporting Lodi Cristiano Marini, anche lui condannato in primo grado per aver collaborato con Uggetti alla realizzazione del bando su misura e poi assolto in appello con formula piena. Oggi il sindaco spiega di aver deciso di cancellare alcune parti della conversazione con Marini perché, essendo consapevole della possibilità che le sue parole fossero oggetto di intercettazione, temeva che qualcuno potesse decontestualizzarle e travisarne i contenuti.
I dubbi sul caso Uggetti sono legittimi, tanto più che persino i magistrati hanno dato interpretazioni antitetiche ai medesimi fatti. La questione sollevata dalle scuse di Di Maio, però, non ha a che fare con la colpevolezza o l’innocenza di Uggetti.
Il problema su cui occorre concentrarsi riguarda, infatti, la tempestività di una lettera di scuse inviata all’indomani di una sentenza di assoluzione. In altre parole, come fa notare il direttore de Il Post Luca Sofri, viene da domandarsi se Di Maio avrebbe chiesto scusa anche qualora la condanna fosse stata confermata in appello. Non solo: i toni usati dal Movimento cinque stelle, che Di Maio oggi definisce – a ragione – grotteschi e disdicevoli (Grillo aveva twittato: «anche oggi un sindaco #arrestatopd»), sono stati tenuti anche dall’allora Lega Nord. Il partito ha, infatti, organizzato sit-in piazza durante i quali, tra l’altro, Salvini ha fatto il gesto delle manette. Oggi, sempre in seguito all’assoluzione, il leader del carroccio esprime la sua solidarietà «a tutti coloro che sono ingiustamente carcerati». Gli attacchi a Uggetti sono arrivati anche da alcuni membri del suo partito, nonostante il PD abbia usato toni più pacati: l’attuale sindaco di Milano Giuseppe Sala, ad esempio, ha genericamente affermato che “la questione morale è di tutti”.
C’è da dire, inoltre, che, in questo caso come ormai in molti altri, l’unanimità tra i pentastellati non è pervenuta: mentre Giuseppe Conte ha elogiato la capacità di ammetterei i propri errori, infatti, altri grillini tra cui Danilo Toninelli hanno dichiarato di voler leggere le motivazioni dell’assoluzione prima di decidere se le scuse sono doverose o meno. Le parole di Toninelli non fanno altro che dimostrare che il problema esposto qualche riga fa meriterebbe una seria riflessione: se la gogna è sbagliata, dovrebbe esserlo indipendentemente dalla sentenza di assoluzione e a maggior ragione indipendentemente dalle sue motivazioni.
Insomma, al di là della specifica vicenda giudiziaria il caso Uggetti fa riaffiorare il problema della coerenza, spesso sacrificata sull’altare della campagna elettorale, oltre a evidenziare ancora una volta la difficoltà di trovare quella via di mezzo che sta tra il tifo da stadio e il silenzio colpevole.