Il 17 giugno è stata avviata una raccolta firme per giungere a un referendum sull’eutanasia legale tramite l’Associazione Luca Coscioni, che è stata fondata nel 2002 e persegue fin d’allora una promozione sociale no profit. Gli obbiettivi principali prevedono una difesa dei diritti umani con una particolare attenzione al campo scientifico.
L’associazione prende il nome da Luca Coscioni, nato a Orvieto nel 1967. Diviene insegnante di Economia ambientale a Viterbo quando si ammala di sclerosi laterale amiotrofica. Si candida alle elezioni per il rinnovo del Comitato Nazionale dei Radicali Italiani, noto per le sue battaglie per la laicità e i diritti civili, promuovendo una campagna contro il proibizionismo sulla ricerca scientifica. Viene eletto, e i radicali fanno della battaglia per la libertà di ricerca sulle cellule staminali il tema centrale della loro campagna per le elezioni politiche del 2001. Nel 2002 viene fondata l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica con «lo scopo di promuovere la libertà di cura e di ricerca scientifica, l’assistenza personale autogestita e affermare i diritti umani, civili e politici delle persone malate e disabili».
Le battaglie di Luca continuano fino al 2006 anno della sua morte, ma l’Associazione continua i progetti del suo fondatore.
L’Associazione ha ottenuto l’aiuto dei Radicali italiani e di vari parlamentari, tra cui Valeria Fedeli (Pd), Nicola Fratoianni (Sinistra italiana) e Roberto Giachetti (Italia viva) e più esponenti dei 5 Stelle. L’obiettivo è di depositare in Cassazione, entro il 30 settembre, 500.000 firme. La raccolta firme si è svolta a Milano (angolo tra Corso Garibaldi e via Statuto) e Roma (Largo Argentina), mentre entro il 30 giugno saranno organizzate delle postazioni in tutta Italia.
Il progetto è quello di giungere a una parziale abrogazione dell’articolo 579 del codice penale, inerente l’ “omicidio del consenziente” ed evitare possibili pene in caso di eutanasia “attiva”, che si ha quando vengono somministrati farmaci che provocano la morte di chi la richiede e non, come nel caso dell’eutanasia “passiva”, quando si interrompono le cure necessarie alla sopravvivenza (come, ad esempio, l’alimentazione artificiale).
Il citato articolo afferma che «chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni» e si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso contro un minore, una persona inferma di mente o il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o inganno. Lo scopo sarebbe revocare una parte dell’articolo e dunque punire chi provoca la morte in caso di minorenni, infermi mentali o tramite minacce e inganno e reciterebbe:
Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.
Nel 2018 si era giunti alla legge sul testamento biologico e adesso la successiva sfida consiste nel legalizzare l’eutanasia, ma i rinvii continuano a esserci e sono molteplici le persone che soffrono in quanto non hanno un capitale sufficiente per spostarsi all’estero.
Intanto in Italia si procede lentamente, una sentenza alla volta come nel caso di Marco Cappato o quello di Mina Welby. Secondo i dati di diversi Paesi in cui è legale l’eutanasia in Olanda, nel 2019, il 4% dei decessi è riportato in seguito a richiesta di eutanasia, tra questi l’86% è nella fascia d’età 60-100 anni, con affezioni come tumori in stadio avanzato o sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Lo stesso vale per il Belgio, i cui dati evidenziano che il 94% delle richieste di eutanasia avviene a causa di dolori fisici insopportabili, in alcuni casi unitamente alle ricadute psichiche che essi comportano se prolungati nel tempo.
Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e promotore di Eutanasia legale, ha aperto a Massa Carrara la raccolta di firme a favore dell’eutanasia. Massa Carrara risulta inoltre una meta simbolica in quanto era la città d’origine di Davide Trentini, malato di sclerosi multipla morto a 53 anni in Svizzera dopo aver contattato l’associazione Luca Coscioni, per poter porre fine volontariamente alla sua vita attraverso il suicidio assistito. Evento che aveva comportato sia per Marco Cappato che per Mina Welby una serie di conseguenze. Quest’ultimi erano stati processati e poi assolti per il reato di aiuto al suicidio. Per centrare l’obiettivo hanno già aderito oltre 6000 volontari in tutta Italia e una rete di Sindaci, avvocati e autenticatori. Per Marco Cappato si tratta di:
Una risposta iniziale sorprendente, visto il silenzio della politica “ufficiale”, che ci consente di partire ma che deve crescere a 10.000 persone per raccogliere le 500.000 firme da consegnare in Corte di Cassazione il 30 settembre. Siamo incoraggiati dall’entusiasmo di si sta registrando per concorrere alla raccolta firme ai tavoli. Una rete in continua crescita che vuole garantire il diritto al referendum su un tema come quello dell’eutanasia. Chiamiamo dunque a raccolta le persone che vogliono aiutare, oltre agli avvocati, sindaci e amministratori locali, parlamentari e consiglieri regionali che possono autenticare le firme e offrire un’adeguata informazione intorno a questa opportunità.
La speranza è quella di arrivare a questo grande obiettivo che potrebbe cambiare totalmente la situazione di numerose persone.
Articolo di Gaia Iamundo.