Del: 2 Giugno 2021 Di: Arianna Locatelli Commenti: 1

Viaggi, esplorazioni, vagabondaggi. In questa rubrica, un’indagine intorno al movimento e al desiderio di spostarsi e cercare altri luoghi.


Intorno al 1600 si diffonde tra i giovani figli dell’aristocrazia inglese un’usanza che di lì a pochi anni sarebbe stata denominata “Grand Tour”: come dice il nome, il Grand Tour consisteva in un viaggio di formazione che tutti i giovani rampolli compivano presso le più importanti città dell’Europa centro meridionale, il cui asse portante era proprio l’Italia, tappa fondamentale se non meta finale dell’intero viaggio.

Questo tipo di esperienza vide il suo apice nel XVIII secolo, diventando una vera e propria moda.

I giovani partivano dal Nord Europa, spesso accompagnati da un precettore, per acquisire conoscenze in diversi ambiti, culturale, artistico, letterario, politico. Le città italiane da questo punto di vista acquisivano un ruolo di primaria importanza: l’interesse delle classi nobiliari settecentesche per l’arte classica e la cultura degli antichi attraeva i grand turisti verso il nostro paese per le antiche bellezze romane, il patrimonio artistico di città come Venezia o Firenze e i paesaggi del centro Italia o della Sicilia. Attraverso questo viaggio i giovani, per la maggior parte inglesi, si confrontavano con un passato che solo l’Italia poteva offrire. Entravano così in contatto due mondi: quello del nord Europa, orientato al moderno nel pensiero e nelle tecnologie incontrava il fascino delle rovine, dell’arte pittorica, delle grandi civiltà del passato e della cultura rinascimentale. Prima esclusivamente maschile poi intrapreso anche dalle donne spesso accompagnate dalla zia materna, il Grand Tour divenne presto una “prova” che non poteva mancare nella formazione culturale delle future classi dirigenti.

Sono moltissimi gli intellettuali illustri che negli anni hanno compiuto questa esperienza: Montesquieu, Stendhal, Ruskin, Mary Shelley. I due autori che hanno lasciato il maggior numero di testimonianze e descrizioni dell’esperienza del Grand Tour furono però il celebre scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe e il poeta inglese George Gordon Bryon. Un paragone tra questi due intellettuali torna utile: ogni percorso era infatti costruito ad hoc sul viaggiatore che si accingeva a partire, andando incontro alle diverse esigenze e ai diversi desideri dei giovani. Per Goethe il viaggio diventerà un lungo soggiorno in Italia, a causa dell’estremo interesse nella scoperta di bellezze artistiche e paesaggistiche; Lord Byron invece, animo più tormentato, intraprenderà un turbolento percorso che dal Portogallo lo porterà fino a Costantinopoli e poi nella meravigliosa Grecia, territori all’epoca sotto l’influenza dell’impero ottomano: proprio qui il giovane poeta perderà la vita dopo aver aderito alla lotta per l’indipendenza greca.

Il Grand Tour fu occasione per la pubblicazione di numerosi libri guida a partire dall’opera di Richard Lassels il primo a coniare questa espressione, neologismo che sarebbe stato poi universalmente accolto. Oltre a lui ovviamente fondamentale fu l’opera che descrive il viaggio intrapreso da Goethe dal 1786 al 1788 Italienische Reise, Viaggio in Italia.

Il viaggio cominciava tendenzialmente con l’attraversamento della Manica e lo sbarco a Calais in terra francese.

La tappa di Parigi apriva le porte del percorso attraverso l’Europa continentale. Il giovane nobile andava incontro a una sorta di “metamorfosi”: abbandonava le tracce esteriori dell’estrazione britannica grazie a un nuovo guardaroba alla francese, patria della raffinatezza, con cui era pronto a entrare in società.

Si accedeva poi al territorio italiano: la preparazione dei diversi itinerari richiedeva mesi, anche a causa della lunghezza del Grand Tour che poteva durare interi anni. Gli spostamenti non erano inoltre privi di pericoli: brigantaggi, imprevisti e alloggi di fortuna caratterizzavano tutto il viaggio. in molti diari dei grand turisti si leggono numerose annotazioni sulla qualità delle locande incontrate sul percorso o sull’ospitalità delle famiglie che accoglievano i viaggiatori. Da questi diari emerge un altro elemento: il Grand Tour diviene il primo esempio di viaggio come lo intendiamo ancora noi oggi, precursore del turismo di massa che caratterizza gli anni contemporanei, un viaggiare fine a se stesso, motivato dal desiderio della scoperta, della curiosità e dello scambio di opinioni. tappe obbligate erano Venezia, Firenze, ovviamente Roma, Napoli e, per i più avventurosi, anche la Sicilia.

Viaggio sicuramente in primo luogo culturale, i giovani europei partivano però anche alla ricerca di emozioni forti. Proprio per questo una delle prime tappe era Venezia: la Serenissima era infatti all’epoca famosa per i suoi postriboli, per il gioco d’azzardo e per tutta una serie di attrazioni che attiravano i giovani avidi di vita. Sono numerose le descrizione della Venezia del Grand Tour proprio di Lord Byron, famoso dongiovanni che visse qui tra il 1816 e il 1819 e che coniò il nome “Ponte dei sospiri” per il ponte coperto che collega il palazzo ducale alle Prigioni Nuove.

In Viaggio in Italia Goethe ammette di aver voluto accelerare il viaggio per giungere prima possibile nella città eterna: tutto ciò che aveva visto in disegni, riproduzioni o dipinti si stagliava finalmente davanti ai suoi occhi, l’imponenza dei monumenti antichi, la bellezza dei dipinti di Michelangelo e delle sale affrescate da Raffaello, le meraviglie di mondi lontani che solo a Roma si sprigionavano con tutta la loro forza. Usanza praticata durante il Grand Tour era quella di farsi fare un ritratto dai famosi pittori con cui si entrava in contatto: e proprio a Roma Goethe incontrerà Tischbein che farà il più famoso ritratto dello scrittore tedesco.

L’artista sarà suo compagno fino a Napoli, famosa per i Campi Flegrei, punto di estremo interesse sia per i siti archeologici che per i fenomeni naturali, per la vicinanza a Pompei ed Ercolano, e per la presenza dello spettacolare Vesuvio.

Come detto in precedenza, una delle ultime tappe per i viaggiatori più avventurosi era la Sicilia: «La Sicilia è il puntino sulla i dell’Italia, […] il resto d’Italia mi par soltanto un gambo posto a sorreggere un simil fiore», scriveva Friedrich Maximilian Hessemer nelle sue Lettere dalla Sicilia all’inizio dell’800. L’isola suscitava un incredibile fascino su tutti coloro che passavano per le sue terre, grazie alla bellezza dei paesaggi, alle spettacolari eruzioni dell’Etna e alla possibilità di avere un assaggio di arte e storia greca, fondamentale per tutti gli artisti e i pittori europei, difficile da fruire a causa della dominazione turca che rendeva pericoloso un viaggio in Grecia. Per comprendere l’impatto dell’isola italiana sui viaggiatori del nord Europa basti una frase sempre di Goethe «L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto».

Arianna Locatelli
Da piccola cercavo l’origine del mio nome perché mi affascinava la storia che c’era dietro. Ancora oggi mi piace conoscere e scoprire storie di cui poi racconto e scrivo. Intanto corro, bevo caffè e pianifico viaggi.

Commenta