Del: 12 Luglio 2021 Di: Elena Gentina Commenti: 0

La terza prova narrativa di Lalla Romano è intrisa di delicatezza e mistero, la lettura evoca quella sensazione di silenzio durante una nevicata, in cui gli unici rumori percepiti sono lo scricchiolo dei passi sopra la neve e il leggero posarsi dei fiocchi che cadono. Ed è proprio la neve che copre le strade di Tetto Murato a rendere il tutto ancora più sfuggente, 

Quando lasciammo Tetto Murato la mattina dopo, pareva di non allontanarsi, di aggirarsi in un labirinto. Non si vedeva altro che bianco: fastoso, sfavillante. Ogni ramo, ogni sterpo era incrostato di aghi candidissimi, e la luce stessa, diffusa, era candida. E l’impressione era – nell’insieme – enigmatica, ermetica.


Questa percezione evocata dall’io narrante, Giulia, una dei quattro protagonisti attorno a cui gira il romanzo, è la stessa che si crea proprio tra lei, suo marito Stefano e un’altra coppia, Ada e Paolo, costretti in isolamento a causa della guerra e dell’inverno in uno sperduto gruppo di case. Dall’incipit del romanzo, attraverso lo sguardo di Giulia, siamo portati ad osservare e conoscere per la prima volta Ada e Paolo, inizialmente due sconosciuti, ma con i quali ben presto si instaurerà un legame profondo: «Avevo sentito parlare di loro, come si parla in provincia dei forestieri: con sospetto, se non proprio con scandalo. Lui, professore, mandato nella piccola città di frontiera come in una specie di confino; lei superba, aristocratica.» 

Nel corso dei capitoli brevi e spezzati ma equilibrati dalla prosa essenziale e intensa di Lalla Romano, affiorerà un intreccio di affinità elettive tra i personaggi che non verrà mai comunque completamente a galla.

Giulia, particolarmente introspettiva, è attratta da Paolo, dalla sua intellettualità e dalla sua fragilità dovuta alla malattia, che è l’opposto di Stefano, uomo forte e risoluto con un carattere molto più simile alla moglie di Paolo, Ada, una donna luminosa ed entusiasta. Quattro termini di una proporzione che non arriverà mai a risolversi. Tra i quattro non accadrà mai nulla di concreto, l’evidenza del tema goethiano delle affinità elettive tra Giulia e Paolo come tra Stefano e Ada si tradurrà solo in una tensione destinata a rimanere in sospeso, nel non detto. Come fa notare Cesare Segre nell’Introduzione alle Opere di Romano, la scrittrice «ha perfezionato il suo modo di osservare senza sollecitare» e «le conversazioni […] sono cariche di verità inespresse, balenanti nel buio».

Tetto Murato, edito da Einaudi nel 1957, è un libro così caratterizzato dalle visioni, dalle apparizioni, da ciò che circonda i personaggi, verrebbe da dire che è lo sguardo a delineare la narrazione, anche se è stata la stessa Romano a puntualizzare che i suoi scritti non sono “dello sguardo”, «le immagini sono un mezzo (un gusto), non un fine», e inoltre le sue opere privilegiano proprio una certa immobilità, tipica della fotografia, anche se si inseriscono fortemente nel tempo, nello svolgersi della vicenda, scandito dai giorni e dalle stagioni. 

Un romanzo breve che venne accolto favorevolmente da tutta la critica, portando con sé un seguito di recensioni appassionate e acute analisi interpretative, tra le quali spicca sicuramente quella di Eugenio Montale che valutò centrale nel romanzo le scelte. Le scelte che la vita pone quotidianamente e che talvolta si possono trasformare in «maschere» indossate, accettate o subite «non senza rimpianto per tutte le vite che potevano essere nostre e che abbiamo escluse da noi».

Bibliografia: 
L. Romano, Tetto Murato, Torino, La Stampa, 2005.
C. Segre, Introduzione a L. Romano, in Opere, Milano, Mondadori, 1991, vol. I, pp. XXV-XXVI.

Elena Gentina
Studentessa di lettere moderne. Amo la musica, la letteratura e il cinema. Vivo tra le nuvole ma cerco di capire quello che sta a terra.

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