Del: 8 Luglio 2021 Di: Erica Ravarelli Commenti: 0
Francia e Italia, due modelli di laicità alla prova dei fatti

Dopo due anni di dibattiti in parlamento e manifestazioni in piazza, lo scorso 29 giugno l’assemblea legislativa francese ha approvato una legge che permette alle donne single e alle coppie lesbiche di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (Pma), a patto che la gestante non abbia più di 43 anni e che la coppia o la donna accetti di portare a termine un periodo di riflessione della durata di uno o due mesi, a seconda dei casi.

Si tratta di una proposta che era stata avanzata già sotto la presidenza Hollande, e che aveva da subito provocato la reazione indignata di partiti cattolici e conservatori, oltre che delle associazioni pro famiglia tradizionale.

La legge recentemente approvata, inoltre, prevede che, una volta raggiunta la maggiore età, il figlio possa chiedere di essere informato circa l’identità del donatore, anche se a livello legale tra i due non viene riconosciuto alcun tipo di legame. Infine, dal 29 giugno 2021 le donne fertili ma che momentaneamente non desiderano essere madri, potranno crioconservare i propri ovociti (cioè, in sostanza, i propri ovuli), in modo che, se lo vorranno, potranno diventarlo in futuro.

Stando ai dati raccolti e pubblicati dal giornale cattolico La Croix, saranno almeno 2400 ogni anno le donne single o le coppie lesbiche che potranno trarre vantaggio dall’approvazione di questa legge, la quale porrà fine alle emigrazioni in Spagna o in Belgio e darà anche alle meno abbienti la possibilità di ricorrere alla Pma (il cui costo va dai 400 agli 11.000 euro, escluse le spese da sostenere per il viaggio, il vitto e l’alloggio all’estero). Sarà, infatti, il servizio sanitario nazionale a farsi carico di tutte le spese necessarie.

L’approvazione della legge non ha messo a tacere la voce della Chiesa cattolica francese, le cui obiezioni sono state sintetizzate da Pierre d’Ornellas, arcivescovo di Rennes e responsabile del gruppo di bioetica dell’episcopato francese, il quale ha chiesto una moratoria che «dia il tempo di riflettere collettivamente, ascoltando e soppesando gli argomenti di ciascuno».

Al di là del fatto che, per il momento, le obiezioni avanzate dalla Chiesa cattolica sono rimaste inascoltate, la vicenda transalpina fin qui descritta presenta delle evidenti somiglianze con quella della Nota Verbale inviata dal Vaticano sul ddl Zan. In entrambi i casi, infatti, ciò che viene (ri)portato al centro del dibattito pubblico è la questione del rapporto tra uno Stato laico e la religione più diffusa all’interno dei suoi confini: fino a che punto la Chiesa cattolica è in grado di rappresentare l’opinione pubblica? Le sue prese di posizione interferiscono illegittimamente con l’autonomia degli organi legislativi nazionali?

Quella del rapporto tra Stato e Chiesa è una questione che ha radici profonde e che è stata affrontata dai diversi Stati europei attraverso l’adozione di approcci spesso molto diversi tra loro.

È questo il caso della Francia e dell’Italia, due Stati in cui il concetto di “laicità” viene declinato seguendo strade parallele e raramente sovrapponibili. In Francia, infatti, la legge di separazione tra Stato e Chiesa in vigore dal 1905 tutela la libertà di culto ma stabilisce anche che lo Stato non è fonte di finanziamento per nessuno di essi. Significativo, inoltre, è il divieto di esporre nelle scuole statali simboli religiosi come il crocifisso, oltre alla legge che proibisce di indossare il burqa integrale negli spazi pubblici. Quello francese, in sostanza, è un approccio che cerca di eliminare dalla sfera pubblica le differenze culturali e religiose dei cittadini, in linea con un’idea di laicità piuttosto rigida, le cui applicazioni pratiche sono state spesso criticate anche da organizzazioni internazionali come l’Onu.

In Italia, invece, i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dall’accordo di Villa Madama del 1984, che ha modificato i Patti Lateranensi risalenti al periodo fascista (in particolare, al 1929). Le novità introdotte dal concordato sono numerose, ma per comprendere il significato complessivo dell’accordo basta citarne alcune: da una parte, quella cattolica non viene più riconosciuta come “religione di stato” e l’ora di religione obbligatoria diventa facoltativa, dall’altra vengono introdotti alcuni privilegi di cui la Chiesa cattolica gode ancora oggi, come il diritto di ricevere l’8xmille (un metodo di finanziamento non previsto per altri culti religiosi) e alcune agevolazioni fiscali.

Il punto su cui il Vaticano ha fatto leva per chiedere una revisione del ddl Zan, tuttavia, non riguarda l’ora di religione nelle scuole, né l’8xmille, bensì la libertà di “organizzazione” e di “esercizio del magistero” che l’accordo del 1984 riconosce alla Chiesa, a cui si aggiunge la libertà, per i cattolici, di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo. Secondo il Segretario dello Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, il problema del ddl Zan risiede nei suoi contenuti “vaghi e incerti”. «Il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago», ha affermato Parolin intervistato da Vatican News, aggiungendo che la decisione di usare lo strumento della Nota Verbale è stata dettata proprio dalla volontà di evitare che l’intervento dell’autorità religiosa fosse visto come un’”indebita ingerenza” nei confronti dello Stato italiano.

Nel momento in cui parla di necessità di definire il concetto di discriminazione, Parolin sembra trascurare il fatto che il ddl Zan non fa altro che estendere l’applicabilità delle pene già previste per reati d’odio fondati su motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o linguistici a quelli fondati sull’omolesbobitransfobia, sulla misoginia e sull’abilismo (ne avevamo parlato qui). Non c’è nulla di rivoluzionario, insomma, né tantomeno si può parlare di ambiguità dal momento che il legislatore ha dedicato un intero articolo alla tutela della libertà di opinione. È, anzi, particolarmente preoccupante che il cardinale parli di una presunta limitazione della libertà di espressione, poiché in questo modo sembra che i cattolici rivendichino la libertà di discriminare quel prossimo che dovrebbero amare come loro stessi.

Non è necessario addentrarsi ulteriormente nel merito della questione Vaticano-ddl Zan per notare che quello tra la Chiesa cattolica e lo stato laico (Italia o Francia che sia) continua ancora oggi a essere un equilibrio precario, i cui presupposti vengono periodicamente rimessi in discussione. Com’era facile immaginare, dunque, l’applicazione di diversi modelli di laicità non sembra aver messo fine al tentativo di rivendicare privilegi e prerogative, ancora oggi portato avanti dai cattolici francesi e – soprattutto – italiani.

Erica Ravarelli
Studio scienze politiche a Milano ma vengo da Ancona. Mi piace scrivere e bere tisane, non mi piacciono le semplificazioni e i pregiudizi. Ascolto tutti i pareri ma poi faccio di testa mia.

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