Del: 17 Luglio 2021 Di: Redazione Commenti: 0
Infuria la battaglia tra Polonia e Unione Europea

«A nostro avviso la legge polacca mina l’indipendenza dei giudici e la sezione disciplinare, la cui indipendenza non è garantita, dovrebbe smettere di prendere decisioni con impatto diretto sui giudici fino alla sentenza finale della Corte di giustizia europea». Così la commissaria UE Vera Jourova ha supportato la misura ad interim emessa mercoledì dalla Corte di giustizia europea, la quale, accogliendo le ragioni della Commissione europea, ha imposto la sospensione dell’operato della sezione disciplinare della Corte suprema polacca.

Tale organo, istituito nel 2017, aveva la funzione di controllare i magistrati e accertare l’eventuale esistenza di errori giudiziari all’interno dell’ordinamento polacco. Il fine pare in linea con l’idea di evitare un arbitrario abuso di potere da parte dei giudici, eppure la sezione, i cui giudici venivano nominati (pur indirettamente) dal Parlamento di Varsavia, è stata investita di poteri estremamente ampi, tra i quali la possibilità di avviare procedimenti penali contro giudici polacchi.

Si sono susseguite di conseguenza numerose condanne arbitrarie da parte della sezione nei confronti di giudici non apprezzati dalla maggioranza del governo polacco.

Un simile potere appare come un’evidente violazione dei principi di imparzialità e indipendenza del potere giudiziario, cardine di ogni ordinamento democratico. Ma si tratta anche e soprattutto di una violazione del diritto dell’Unione Europea: nel suo comunicato stampa, infatti, la Commissione Europea ha invocato l’articolo 2 del Trattato UE, scrivendo che «il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani» sono valori fondamentali, e faranno qualsiasi cosa risulti necessaria a difenderli.

Ma il conflitto non comincia qui, trattandosi di una lotta che va avanti da anni, e nemmeno si risolve qui, anzi: poco dopo il Tribunale costituzionale della Polonia ha emesso una sentenza dichiarando incostituzionali le misure imposte dalla Corte, violando il principio di supremazia della Corte di giustizia sui tribunali nazionali e dando vita così a un profondo conflitto con la legge dell’Unione, da cui la Polonia potrebbe aver deciso di uscire, iniziando la cosiddetta “Polexit”.

Lo stesso governo polacco ha poi domandato al Tribunale costituzionale di valutare l’eventuale incostituzionalità di altri trattati europei, per «stabilire la supremazia della costituzione polacca sulla legge europea».

Lo scontro tra Polonia e Unione europea poi, nei giorni successivi, non ha fatto che inasprirsi: la Corte infatti ha dichiarato incompatibile con la legge europea l’intero sistema disciplinare polacco utilizzato per controllare i giudici, imponendone l’immediato smantellamento.

Non si tratta però di un caso isolato: anche la Corte suprema tedesca aveva infatti messo in discussione la supremazia della Corte di giustizia europea l’anno scorso, e persino l’Ungheria, insieme alla stessa Polonia, è al momento in conflitto con l’Unione, che ha aperto una procedura di infrazione nei suoi confronti a causa dell’ampiamente contestata legge anti-Lgbtqi+.

Stiamo assistendo a una generale rivolta verso la rule of law europea, che, se non fermata in tempo, potrebbe produrre gravi conseguenze rispetto ai fondamenti democratici dei Paesi dell’Unione e alla vincolatività dei Trattati su di essi, sempre più contestata.

Articolo di Sofia Carra.

Immagine in copertina di Külli Kittus, via Unsplash.

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