Del: 24 Luglio 2021 Di: Angela Perego Commenti: 0

«L’Europa non consentirà mai che parti della nostra società siano stigmatizzate, che sia a causa di chi amano, dell’età, dell’appartenenza etnica, delle opinioni politiche o del credo religioso»

Si apre con questa frase, pronunciata dalla presidente della Commissione Europea Von der Leyen, il comunicato stampa diramato dalla Commissione stessa il 15 luglio scorso, nel quale viene resa nota la decisione di avviare delle procedure di infrazione nei confronti di Ungheria e Polonia «per motivi connessi a uguaglianza e tutela dei diritti fondamentali». Questo ha comportato l’invio, da parte dell’Unione, di lettere di costituzione in mora, cui i governi dei paesi interessati avranno due mesi di tempo per rispondere in maniera soddisfacente: in caso contrario, sarà possibile inviare a Budapest e Varsavia un parere motivato e, successivamente, procedere al deferimento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

A preoccupare l’UE sono state alcune misure introdotte da questi due stati membri, chiaramente discriminatorie nei confronti della comunità LGBTQ+: il 15 giugno 2021 l’Ungheria ha approvato una legge volta a limitare o vietare del tutto l’accesso, per i minori di 18 anni, a contenuti riguardanti la «divergenza tra la propria identità e il sesso attribuito alla nascita, il cambiamento di sesso o l’omosessualità». Approvata con 152 voti favorevoli su 199, essa era stata proposta da Fidesz, il partito del primo ministro Orbán, e descritta come necessaria al fine di tutelare i bambini dalla pedofilia. Alcune associazioni erano inoltre state accusate da Fidesz di voler «influenzare lo sviluppo sessuale dei bambini» attraverso i propri programmi di sensibilizzazione e le campagne anti-discriminazione.

L’UE ha sottolineato come l’Ungheria non abbia adeguatamente giustificato la decisione di adottare una simile misura, astenendosi dall’indicare per quale ragione «l’esposizione dei bambini a contenuti LGBTIQ sarebbe in sé dannosa per il loro benessere o non sarebbe consona all’interesse superiore del minore». La Commissione ha ritenuto anche che la disposizione ungherese fosse lesiva della dignità umana, della libertà di espressione e di informazione, del diritto al rispetto della vita privata e del diritto alla non discriminazione, sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dell’art. 2 del TUE

Il premier ungherese ha risposto alle critiche provenienti dall’Unione e all’avviamento della procedura descritta annunciando l’indizione di un referendum sulla legge in questione, probabilmente strutturato in cinque quesiti.

Questo modo di agire da parte del governo appare molto simile a quello adottato nel 2016, quando venne organizzato un referendum contro l’ingresso dei migranti nel Paese secondo le regole stabilite dall’UE. È stato lo stesso Orbán, in effetti, a richiamare questo episodio, utilizzando queste parole: «Cinque anni fa c’è stato un referendum. E c’è stata la volontà comune del popolo di impedire a Bruxelles di obbligarci ad accogliere i migranti. Li abbiamo fermati allora, possiamo fermarli ora». 

Per quanto riguarda la Polonia, invece, è stato rilevato come non siano state fornite risposte adeguate in seguito alla richiesta, da parte della Commissione, di ricevere maggiori informazioni circa la natura e l’impatto della creazione di “zone esenti dalla ideologia LGBT” in alcuni comuni polacchi. Simili misure erano state fortemente sostenute dal partito al governo, Diritto e Giustizia, che nel 2019 si era scagliato duramente contro le persone omosessuali: uno dei suoi leader, Jaroslaw Kazynski, era arrivato a definirle come un nemico da combattere per la difesa della famiglia polacca. Molte città avevano allora assunto l’impegno di mantenere la cosiddetta ideologia LGBT, colpevole di mettere a rischio i valori cristiani del Paese, al di fuori dei propri confini. Nel settembre 2020, Ursula von der Leyen aveva descritto le zone libere dalla ideologia LGBTIQ come “zone prive di umanità”; la stessa UE era stata poi definita dal Parlamento europeo, in modo provocatorio e pochi mesi più tardi, come “zona di libertà LGBTIQ”. 

La necessità di ricorrere ad uno strumento quale quello della procedura di infrazione è sintomatica di uno stato delle cose – il difficile rapporto tra Bruxelles da un lato e Ungheria e Polonia dall’altro, con la volontà, da parte di questi ultimi, di dare vita a degli stati “illiberali”, come annunciato da Orbán in un discorso risalente al luglio 2014 – che si protrae ormai da lungo tempo. In Ungheria, Viktor Orbán è al potere senza soluzione di continuità dal 2010 (precedentemente era stato capo del governo dal 1998 al 2002): in questo lasso di tempo sono state approvate leggi spesso in contrasto con i valori dell’Unione, motivazione per la quale, nel settembre del 2018, il Parlamento europeo era arrivato a manifestare l’intenzione di attuare le procedure previste dall’art. 7 del TUE (che possono portare sino alla sospensione del diritto di voto per il Paese in questione in sede comunitaria).

Venendo a tempi più recenti, la pandemia non ha certo contribuito affinché venisse registrato un cambio di rotta.

Al contrario, la necessità di adottare misure straordinarie per far fronte all’emergenza sanitaria ha spianato la strada alla possibilità di costituire uno stato sempre più autoritario, come testimonia il fatto che, a fine marzo 2020, fosse stato adottato un provvedimento che permetteva ad Orbán di gestire la crisi sanitaria per decreto, con la possibilità di sospendere l’attività parlamentare. Va ricordato anche un altro momento di forte tensione, che si ebbe in seguito all’approvazione, nel luglio 2020, del Recovery Fund, quando si trattò di definire quali caratteristiche uno stato dovesse possedere per avere accesso ai fondi: tra queste, infatti, fu menzionato il rispetto dello stato di diritto, fatto che avrebbe potuto determinare, in considerazione delle forme di governo da essi adottate, una riduzione dei fondi destinati a paesi quali quello ungherese e quello polacco. 

Tuttavia, dopo aver ripercorso alcune tappe di questo cammino verso la costituzione di uno stato illiberale soprattutto per quanto attiene l’Ungheria, è importante sottolineare come l’atteggiamento del suo primo ministro non sia sempre stato quello che abbiamo appena descritto: un articolo dello storico Nicholas Mulder per il quotidiano britannico The Guardian, riproposto recentemente dal settimanale Internazionale, descrive accuratamente come il Viktor Orbán del 1989 – studente ad Oxford, apprezzato da Bill Clinton, sostenitore del libero mercato, della NATO  e dell’UE – si sia tramutato nel leader che conosciamo oggi.

Una delle ipotesi vagliate a questo proposito (utile anche per poter cercare di comprendere ciò che, in maniera simile, è accaduto in Polonia) è definita come “ipotesi della ribellione”: dopo aver adottato i costumi, le norme e le istituzioni del mondo occidentale, desiderosi di conquistare la sua stessa ricchezza e libertà, gli europei dell’est si sarebbero resi conto di non aver raggiunto un risultato all’altezza delle loro aspettative, decidendo dunque di sfruttare la crisi economica del 2008 e quella migratoria del 2015 «come alibi per respingere il liberalismo occidentale e promuovere un’alternativa illiberale».

Le politiche, molto simili, adottate dai partiti attualmente al governo in Ungheria e Polonia (rispettivamente, Fidesz e Diritto e Giustizia), sono state così riassunte da Mulder:

(…) Hanno messo persone di fiducia nei tribunali e alla guida dei mezzi di informazione, hanno soffocato ong, istituzioni culturali e università progressiste e hanno calpestato la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, negando l’accesso all’interruzione di gravidanza legale e il riconoscimento giuridico delle persone transgender (…). In Polonia e Ungheria, tuttavia, quattro cittadini su cinque restano convinti che il loro Paese debba far parte dell’Unione Europea. Per gli illiberali di Budapest e Varsavia, l’obiettivo è avere più autonomia all’interno dell’Unione, non uscirne. 

E infatti, nel descrivere il rapporto intercorrente tra questi due Paesi e Bruxelles, va sottolineato come l’ostilità ai valori dell’Unione Europea non si sia accompagnata ad un corrispondente desiderio di sovranità economica, anche in considerazione della grande importanza che i fondi europei rivestono per questi due Stati. 

Angela Perego
Matricola presso la facoltà di Giurisprudenza, “da grande” non voglio fare l’avvocato. Nel tempo libero amo leggere e provare a fissare i miei pensieri sulla carta.

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