Del: 14 Settembre 2021 Di: Carlo Codini Commenti: 0

Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra. Peccato che tu non possa sedere su una nuvola.

Con queste parole, rimaste famose, il poeta libanese Khalil Gibran mostrò al mondo la sua indole aperta a una realtà fatta di condivisione, dove non vi fossero più confini tra un popolo e l’altro, dove culture ed etnie avrebbero saputo convivere nel rispetto reciproco. Un modo di vedere le cose, questo, che sembra sia stato caratteristico del Libano. Poi c’è stata la guerra civile, seguita da una faticosa ripresa e dal 2019 il paese è sprofondato in una crisi pericolosa che non è più possibile ignorare.

L’esplosione del porto di Beirut, il 4 agosto 2020, non è stata tanto un segno della crisi quanto una spia rossa che si è accesa come per dire al mondo che qualcosa, nel paese dei Cedri confinante con Siria e Israele, non funziona. I dati più aggiornati parlano di collasso economico, con una disoccupazione ormai oltre il 33% mentre il prezzo dei generi alimentari è aumentato del 55% su base annua. In più c’è la crisi siriana, che vede ancora quasi più di un milione di rifugiati sul territorio libanese, oltre al fattore Pandemia e all’instabilità politica ormai cronica.

Dopo ben 13 mesi di negoziati e conflitti, pochi giorni fa, il 10 settembre, si è finalmente formato un nuovo governo, come annunciato dal capo dello stato Michel Aoun e dal primo ministro designato Najib Mikati. Il precedente esecutivo, guidato da Hassan Diab, era caduto in seguito a violente proteste dopo una catastrofica crisi bancaria e la riduzione del valore reale della lira libanese del 50% rispetto al dollaro. In pratica si dichiarò default con un debito di oltre novanta miliardi di dollari pari al 170% del PIL. Ma com’era il Libano prima di quest’ultima crisi?

Prima possedimento ottomano, poi sotto la dominazione francese, il Libano dopo alterne vicende dichiarò l’indipendenza nel 1943 ma solo nel 1946 le truppe francesi abbandonarono il territorio. Fin da subito i libanesi scelsero di cooperare tra loro nonostante le differenze, firmando il Patto Nazionale. Mai formalizzato per iscritto ma tuttora ritenuto valido, prevede un presidente cattolico maronita, un primo ministro musulmano sunnita, il presidente del parlamento sciita e poi nelle altre cariche anche greco-ortodossi, drusi ecc. ecc.

Un ideale di equilibrio, disegnato secondo quella che era allora la popolazione del paese, basato su quote, che investe anche tutto l’apparato amministrativo.

Dopo l’armistizio firmato nel 1949 con Israele, il Libano non ha partecipato più a conflitti. Ha però accolto nel corso degli anni moltissimi profughi. Drammatico l’arrivo, in particolare dopo la Guerra dei sei giorni, di mezzo milione di palestinesi che ha spezzato i fragili equilibri tra i gruppi. Dopo un periodo di sviluppo economico, tra 1975 e 1990 il paese ha conosciuto una drammatica guerra civile che ha spaccato in due anche la capitale Beirut. Da una parte milizie cristiano maronite, dall’altra una coalizione di palestinesi alleati a libanesi musulmani sunniti, sciiti e drusi. Una guerra civile accompagnata da invasioni da parte di Israele e della Siria.

Negli ultimi anni, chiusa la fase della guerra civile, sembrava potesse iniziare per il Libano una nuova fase di pace e sviluppo, con un incremento significativo di turismo e un miglioramento economico. Ma le spaccature non sono state davvero superate. Le differenze cultural-religiose sembrano inconciliabili. Anche perché il vecchio duopolio maronita-sunnita con gli sciiti, più poveri, in posizione marginale insieme agli altri gruppi, sancito dal Patto Nazionale, si fondava su un assetto della popolazione che dinamiche interne e flussi migratori hanno sconvolto. Maroniti e sunniti rappresentavano insieme più dei due terzi della popolazione, ma negli anni oltre a quello dei palestinesi è assai cresciuto il peso degli sciiti, oltretutto rappresentati da un gruppo politico come Hezbollah. 

L’esito è stata una sorta di paralisi del potere, oltretutto contrassegnata da una dilagante corruzione.

Fino allo scontro politico che ha visto affrontarsi, negli scorsi mesi, il leader sunnita Hariri e il leader cristiano maronita Aoun fino alla nascita dell’ultimo governo. Mentre il paese sprofonda. I pronostici sul futuro sono sempre più negativi. Il consenso dell’opinione pubblica per il sistema di governo-amministrazione dello Stato de cedri, è in caduta libera.

Quello che prima sembrava un modello di coesione riuscita, nonostante la complessità storica e religiosa, oggi sembra un ammasso caotico e conflittuale di forze, apparentemente incapaci di gestire la crisi.

Certo, la recente formazione di un governo permetterà forse di acquisire la stabilità necessaria per accedere agli aiuti internazionali di cui il paese ha estremo bisogno. Ma la nuova squadra sarà in grado di salvare il Libano dalla bancarotta e riportarlo sulla via della convivenza pacifica? Ad oggi, sembra che i capi politici non siano in grado di “sedere sulle nuvole”, come avrebbe voluto Gibran.

Carlo Codini
Nato nel 2000, sono uno studente di lettere. Appassionato anche di storia e filosofia, non mi nego mai letture e approfondimenti in tali ambiti, convinto che la varietà sia ricchezza, sempre.

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