Del: 9 Settembre 2021 Di: Michele Pinto Commenti: 0

Il direttore del Foglio Claudio Cerasa ha scritto che per chi ha «a cuore il futuro dell’Italia, la sua stabilità, la sua ambizione, la sua centralità in Europa, potrebbe apparire maldestro non tifare per un bis del tandem Mattarella-Draghi». Il direttore de Linkiesta Christian Rocca ha risposto pochi giorni dopo che «a sperare che Draghi lasci Palazzo Chigi per traslocare al Quirinale sono tutti coloro che hanno subìto la nomina dell’ex banchiere centrale a capo del governo per salvare il paese dalla pandemia e dal disastro economico creati dal coronavirus e dal Conte due».

Può sembrare paradossale, ma il punto verso cui convergono tutte le discussioni e tutte le scelte dei partiti e dei leader politici è l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, programmata per il gennaio 2022. Ancor più paradossale è il dibattito che si è sviluppato intorno all’opportunità che il premier Mario Draghi possa essere eletto al Quirinale.

Nel gennaio 2022 il governo Draghi non avrà compiuto nemmeno un anno. Il presidente del Consiglio ha impostato tutta la sua azione di governo sulla base di una impalcatura di riforme sostanziali che si sta costruendo di mese in mese. La riforma della giustizia è stata approvata dal Consiglio dei Ministri in luglio; la riforma fiscale è tuttora oggetto del lavoro del Ministero dell’economia. Quasi tutto è a metà percorso, a partire dall’attuazione del Piano di ripresa richiesto dall’Unione europea per l’erogazione dei fondi post pandemici.

Nonostante queste premesse non è poco diffusa l’idea che l’attuale esecutivo possa presto terminare la sua corsa perché privato della sua guida. 

Da una parte c’è chi, come Cerasa, vuole far eleggere Draghi presidente della Repubblica. Per i successivi sette anni rappresenterebbe una ideale assicurazione (sulle finanze e sulla stabilità), in particolare nel caso in cui i partiti sovranisti dovessero vincere le elezioni. Di conseguenza l’azione del governo Draghi si fermerebbe già nel gennaio del prossimo anno, perché la maggioranza che sostiene l’esecutivo sarebbe privata dell’unico elemento possibile di equilibrio e si frantumerebbe in un battibaleno.

Dall’altra parte, invece, c’è chi, come Rocca, ritiene più saggio tenere Draghi a Palazzo Chigi, lasciando al Parlamento la libertà di eleggere chiunque altro al Quirinale. Draghi resterebbe in carica fino alle elezioni, previste nel 2023, quando centro-sinistra e centro-destra torneranno a confrontarsi nelle urne.

Entrambe le posizioni partono dal presupposto che l’Italia sia incapace di stare in piedi senza Draghi. Entrambe trasmettono costernazione. La smania di muovere Draghi come un segnaposto del gioco dell’oca descrive perfettamente la grande anomalia rappresentata dall’ex banchiere centrale: talmente estraneo alle dinamiche partitiche e talmente diverso rispetto agli altri politici (in positivo, sotto molti aspetti) da essere percepito come indispensabile, irrinunciabile. La maggioranza politica che lo sostiene si azzuffa regolarmente sulle più piccole inezie, mentre l’intera azione di governo è delegata, in bianco, proprio a Draghi. Nessuno sembra avere la volontà di metterlo in discussione e nelle poche occasioni in cui Letta o Salvini hanno provato ad alzare la voce, il premier li ha prontamente rimessi al loro posto.

Del resto, fondare il sostegno a Draghi sul suo ruolo di argine alla destra rappresenta un aspetto tutto particolare di questa anomalia.

Si riassume in un teorema: per contrastare Salvini, la maggioranza di governo – che si vuole quanto più europeista e liberale possibile – non può non includere Salvini. È questo un vero paradosso nell’anomalia, la dimostrazione dell’eccezionale forza magnetica che la figura di Draghi ha generato in pochi mesi. Oppure, seguendo la seconda tesi: per contrastare efficacemente Salvini e Meloni è necessario che Draghi faccia il presidente della Repubblica. E questa è un’anomalia nell’anomalia: avere come unico scopo quello di impedire che i sovranisti, domani o dopodomani, facciano danni.

Il clima che accompagna il governo Draghi è un clima nel quale si preannunciano in ogni momento tremendi epiloghi: al termine dell’esperienza pubblica del premier tutto appare destinato a volgere al peggio. È una visione apocalittica del potere (e delle istituzioni), in nome della quale si vuole negare a ogni altra soluzione politica la possibilità di prendere corpo. Davvero non si può fare a meno dell’attuale Presidente del Consiglio? Davvero la sua competenza merita una tale frenetica ricerca del modo migliore per utilizzarlo?

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

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