Modern Love è una serie televisiva antologica in cui la trama di ogni episodio è tratta da una storia vera. Le puntate si basano sui saggi mandati dal pubblico del New York Times all’omonima rubrica, che dal 2004 raccoglie storie d’amore. Amore “moderno”: coppie, sentimenti, ma anche adozione, poliamore, amicizia, relazioni familiari, il tutto preferibilmente immerso in un contesto di attualità. Negli anni la rubrica si è espansa in un podcast e in un libro, e dal 2019 alcune storie selezionate sono diventate gli episodi della serie sviluppata da John Carney.
Complice il cast stellare (tra gli interpreti Anne Hathaway, Dev Patel, Andrew Scott e Tina Fey), la prima stagione, di produzione Amazon Prime, ha avuto un grande successo di pubblico.
Non c’è niente di straordinario in ciò che viene raccontato; la chiave sta infatti nella semplicità dei sentimenti dei personaggi, che difficilmente non risvegliano qualcosa in chi guarda. Il tutto funziona proprio grazie al filtro di leggerezza e ingenuità che si sovrappone a ogni storia.
Alcuni episodi spiccano nettamente, come il primo, When the Doorman Is Your Main Man, in cui vediamo Cristin Milioti affrontare una gravidanza indesiderata con l’aiuto del premuroso portiere del suo palazzo, o Take Me As I Am, Whoever I Am (Modern Love ama i titoli prolissi) in cui vediamo Anne Hathaway cimentarsi nel ruolo di una giovane donna bipolare in un surreale ma toccante episodio musical.
Altri sono semplice intrattenimento, ma in generale è confortante, una pausa molto luminosa (gli episodi durano mezz’ora ciascuno) in cui ci si immerge in una New York fresca, stravagante, sognante, e ci si dimentica un po’ dei propri problemi. Il messaggio principale, cioè che l’amore può assumere innumerevoli forme diverse tutte valide e preziose, arriva.
Purtroppo la seconda stagione, uscita il 13 agosto di quest’anno, risulta molto deludente rispetto alla prima.
Il format rimane lo stesso, e lo spazio e le tematiche si amplificano: non siamo più solo nella Grande Mela, ma anche in Inghilterra, in Irlanda e in altre zone degli USA, e vediamo una più ampia diversità di etnie e orientamenti sessuali. Eppure gli otto episodi scivolano via l’uno dopo l’altro senza colpire troppo, anzi spesso cadendo senza carattere in cliché tipici delle commedie romantiche; A Life Plan for Two, Followed by One è letteralmente un film romantico adolescenziale in miniatura. Lo spettatore, se prima desiderava le puntate durassero di più, si trova ora a domandarsi quando finiranno i 30 minuti.
In altri episodi meno cliché l’errore è all’estremo opposto: i soggetti sono decisamente troppo complessi per un tempo così ridotto, approdando a risultati bizzarri e mediocri, come nel trattamento del disturbo da stress post-traumatico del protagonista di In the Waiting Room of Estranged Spouses. Tutto è troppo melenso, strappalacrime, visto e rivisto, la maggior parte delle storie non ha un finale, e soprattutto quasi nessuna delle coppie ha chimica – elemento piuttosto grave in una serie romantica – e, quando ce l’ha, non è accompagnata da una trama convincente.
È il caso dell’ultimo capitolo, Second Embrace, With Hearts and Eyes Open, il cui twist melodrammatico distrugge l’inizio promettente dato dalle ottime performances di Tobias Menzies e Sophie Okonedo. Nemmeno volti conosciuti e amati dal piccolo schermo come Kit Harington e Lucy Boynton riescono a convincere: Strangers on a (Dublin) Train, ambientato agli inizi dell’era Covid nel fatidico marzo 2020 non lascia nulla, se non amaro in bocca.
Gli episodi risentono anche di meno cura nella produzione; nel secondo episodio, A Life Plan for Two, Followed By One, il green screen con cui viene realizzata la New York sullo sfondo è evidente. Non troviamo qui neanche il tentativo di ricongiungere i tasselli nell’episodio conclusivo, come era successo per la prima stagione, il cui finale corale riunente i vari personaggi non era un granché, ma era simpatico. La scelta è sicuramente motivata – forse si cercava di dare il messaggio che nella vita vera non esiste un finale? – ma sembra solo una noncurante dimenticanza.
Insomma, la seconda stagione è una copia insipida di quella di debutto; ricalca gli stessi schemi, ma concede pochissimi barlumi del calore e dell’emozione regalati con dolcezza dalla prima.
Immagine di copertina: Anne Hathaway e Gary Carr nell’episodio “Take Me As I Am, Whoever I Am”.