Del: 4 Ottobre 2021 Di: Daniele Di Bella Commenti: 0

L’opinione pubblica sta progressivamente rendendosi conto dell’esistenza e della vastità dell’impatto che la specie umana esercita sull’ambiente in cui vive. Grazie alla nascita di movimenti studenteschi come i Fridays For Future, i discorsi riguardo all’ambiente scuotono le giovani generazioni e lentamente penetrano quelle più anziane, anche se, soprattutto fra queste ultime, ha spesso credito la narrazione che associa la parola “inquinamento” a problemi lontani, sia nel tempo che nello spazio. Eppure, basta individuare una molecola prodotta dalla nostra specie e seguirne la storia, per rendersi conto di quanto gli spazi e i tempi siano contratti. 

Il p,p’-DDT, o più semplicemente DDT, al momento della sua comparsa sul mercato pareva un miracolo.

Efficiente pesticida, consentiva di combattere sia specie dannose per il raccolto che insetti pericolosi per l’uomo, inoltre si rivelò un ottimo alleato per ridurre i casi di malaria, per questo motivo nel 1968 le industrie statunitensi ne produssero 168.000 tonnellate. L’anno successivo, mentre il DDT veniva sintetizzato e commercializzazato a pieno ritmo, ebbe luogo una riduzione nella pololazione di pellicani apparentemente inspiegabile nei pressi dell’isola Anacapa (California). La causa di questo tragico evento fu successivamente individuata nell’ampio impiego di p,p’-DDT in prossimità dell’isola: la molecola, adoperata a scopo agricolo, entrava nell’ecosistema sospinta dal vento e mediante l’azione delle piogge, e giungeva ai pellicani tramite la rete tofica. Conseguenzialmente, le femmine della specie non riuscivano a formare delle uova con uno spessore sufficiente a sopportare il peso dei genitori, che quindi le rompevano durante la covata. Il DDT è infatti un composto che inficia il buon funzionamento dell’enzima anidrasi carbonica, necessario per la corretta produzione delle uova. 

A partire da questo episodio, le indagini sulla pericolosità dell DDT sono continuate ed hanno evidenziato l’enorme impatto che questa molecola ha sull’ambiente naturale: nel 1996, le autorità svizzere e italiane rilevarono nel lago Maggiore concentrazioni talmente elevate di p,p’-DDT da divenire un rischio per la salute umana. La causa di tale anomalia era l’industria chimica Syndial, sul fiume Toce, che produceva DDT per venderlo al mercato della floricoltura francese; l’azienda fu chiusa, la pesca interrotta e furono avviati lunghi processi di monitoraggio che durarono per circa 16 anni. 

Ad oggi il lago Maggiore non può dirsi ancora fuori pericolo, pertanto è stato attivato il Progetto CIPAIS (Commissione Internazionale Protezione delle Acque Italo-Svizzere) che conduce studi atti a monitorare le concentrazioni di DDT nell’ecosistema lacustre. Rispetto al 1996 si riscontra un generale trend di diminuzione delle concentrazioni di DDT in tutti i siti di campionamento tuttavia, permangono alcuni effetti negativi sulla riproduzione degli organismi: le gonadi di cozze del genere Dreissena osservate a Baveno non si sviluppano in maniera corretta. 

A differenza dell’isola di Anacapa, l’avifauna non presenta uova danneggiate tuttavia, ciò può essere dovuto al fatto che i germani reali e gli svassi (dei quali sono state osservate le uova) non si nutrono solo degli animali del lago Maggiore, che hanno accumulato DDT, e non sono presenti nel bacino tutto l’anno. Il continuo monitoraggio delle contaminazioni ambientali, che la comunità scientifica opera a molti livelli, mostra dunque come l’inquinamento sia qualcosa di capillare, da non relegare a spazi e tempi che ci illudiamo di possedere. 

Daniele Di Bella
Sono Daniele, da grande voglio fare il biofisico, esplorare l'Artide e lavorare in Antartide. Al momento studio Quantitative Biology, leggo, mi interesso di ambiente e scrivo per Vulcano.

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