Siamo nel 10191, gli uomini dei vari mondi si riuniscono sotto un Imperium, guidato da un Imperatore misterioso della casata dei Corrino. Sono passati ormai migliaia di anni dalla guerra tra umani e macchine, e Frank Herbert apre il primo libro del Ciclo di Dune proprio in questa ambientazione post-apocalittica. In particolare, Dune (o Arrakis) è il nome del pianeta su cui si svolge la maggior parte della vicenda.
Siamo ora nel marzo 2019, Denis Villeneuve, regista di fama mondiale per film di successo come Arrival e Blade Runner 2049, è spaventato, emozionato e allo stesso tempo incredulo. Si trova agli Origo Film Studios di Budapest e sta per cominciare a girare Dune, la trasposizione maledetta del capolavoro di Frank Herbert che ha già visto due flop produttivi (Jodorowsky e Lynch). Villeneuve è però convinto che riuscirà a fare un ottimo lavoro: davanti a sé ha la sfida di trasporre un film fedele al libro e che riesca a dare la stessa esperienza estetica che si prova leggendo; quanto è vero che, pensa Villeneuve, il libro è un film ancora non visto che aspetta solo di essere diretto.
Frank Herbert, d’altronde, è un fervido visionario che, attraverso le descrizioni accurate dei mondi di Dune e dei suoi personaggi, riesce già a imprimere nel pensiero dei lettori immagini lucide. Obiettivo, dunque, è realizzare quelle stesse immagini nel film.
Villeneuve, inutile dirlo, colpisce nel segno e riesce nell’intento. Il film è probabilmente la trasposizione più chiara e giusta del libro: non è per forza surrealista come nei piani di Jodorowsky, ma non è nemmeno banale come in quelli di Lynch, o meglio, del produttore De Laurentis. Come in Arrival, Villeneuve dirige un film fantascientifico di alta fattura, con un comparto tecnico formidabile che regala un estetismo impareggiabile, e che intrattiene per una storia non semplice, ma ben riportata.
Parliamoci chiaro: il Ciclo di Dune di Frank Herbert, un po’ come Il Signore degli Anelli di Tolkien, è criptico e intricato. Quando bisogna scrivere di fantascienza o fantasy, il problema maggiore sta nel riuscire a costruire un mondo totalmente sconosciuto a noi, su cui però si rifletta l’attualità della nostra realtà: la fantascienza, infatti, ha sempre ragionato sulle problematiche contemporanee trasponendole però lontano, esasperandole o al contrario riducendole, portando a far ragionare il lettore/spettatore su quanto raccontato possa in qualche modo accadere anche da lui. Ma il problema, e la difficoltà maggiore, sta proprio nel costruire quell’universo inesistente, fatto di una logica sua che deve però avere un senso, e deve evitare di confondere il pubblico.
È oltremodo difficile entrare nella testa dello scrittore per riportarne un’immagine fedele al cinema, cosa che Lynch non è riuscito a fare, ma che a Villeneuve, invece, riesce eccome, non rinunciando, come Peter Jackson per la suddetta saga de Il Signore degli Anelli, alla propria impronta autoriale.
Se c’è una cosa in cui il Villeneuve regista è abile, infatti, è proprio il descrivere la politica e la cultura delle varie casate che costituiscono il Landsraad, ovvero l’organizzazione immaginaria feudale dell’Imperium, attraverso il proprio occhio che, prima di tutto, è stato lettore del libro di Frank Herbert.
La Casata Atreides, da cui vengono Paul Atreides (Timothée Chalamet) e il Duca Leto Atreides (Oscar Isaacs), ha come valori la fedeltà e l’onore, non solo per la parola data, ma anche sul campo di battaglia. Tuttavia, prediligono la diplomazia e difficilmente impugnano la spada per attaccare; non a caso saranno i primi a voler costruire un rapporto pacifico con i Fremen, la popolazione indigena di Arrakis. Sono, nonostante tutto, ottimi guerrieri e consci del pericolo che aleggia intorno a Dune: la geopolitica sul pianeta della Spezia (o Melange) è estremamente fragile, e quando la Casata Atreides è chiamata a guidarne l’estrazione della preziosa polvere, il Duca insiste nel seguire con cautela le mosse dell’Imperium, costringendo il figlio Paul ad allenarsi duramente nel caso le cose si mettano male.
Gli Atreides sono presentati dal regista canadese come un popolo minoritario, non così ricco, ma comunque pretenzioso e capace di far valere la propria parola: ricordano quindi molto gli scozzesi indipendentisti (la loro marcia è tra l’altro accompagnata da cornamuse).
Se la Casa Atreides è la Scozia, allora la Casa Harkonnen può essere l’equivalente del Regno d’Inghilterra: storicamente sono rivali degli Atreides, il loro capo è il Barone Vladimir Harkonnen, e per ottant’anni hanno governato su Dune diventando ricchissimi con l’estrazione della Spezia. Al contrario degli Atreides, dunque, sono spietati imperialisti e tiranni che imponevano un forte regime ai Fremen, costretti a seguire regole ferree anche di orazione nei confronti dei conquistatori. Sono violenti, cospiratori, doppiogiochisti e uccidono a sangue freddo; Villeneuve ce li presenta proprio come Herbert voleva: ovvero dei nazisti spietati.
E i Sardaukar, che compongono l’esercito segreto dell’Imperatore, non ricordano forse gli antichi Vichinghi? Con il loro principio purificatore della guerra come ascesa al regno degli Dei, ligi alla lotta, abilissimi con la spada, fedelissimi all’Imperatore (Dio) e abitudinari nel compiere sacrifici umani per i loro riti prebellici (gli stessi riti religiosi, i Blót, compiuti dai Vichinghi).
I Fremen, infine, vengono mostrati come un popolo oppresso, dipinto dagli Harkonnen come retrogradi e inutili, piccoli avversari da domare per lasciare libero il campo agli interessi economici degli invasori; al contrario, però, i Fremen sono un’infinità – non se ne riesce a stimare un numero complessivo –, vivono in gallerie, sono guerrieri impareggiabili e per questo fanno paura agli Harkonnen. Sono bestie da domare in quanto, direttamente, razza inferiore, ma soprattutto, indirettamente, pericolo numero uno per la raccolta della Spezia.
Denis Villeneuve porta, in conclusione, un’opera attuale capace di catturare le influenze di Frank Herbert e a renderle in parte sue. Non c’è da sorprendersi se molti hanno paragonato la situazione Afghana con Dune, non ingiustamente, ma magari con fin troppa inconsapevolezza, dato che l’intento di Herbert, raccolto efficacemente da Villeneuve, è quello di narrare complessivamente quel tipico comportamento colonialista liberale che l’Occidente ha nei confronti di tutto il Medio Oriente. La Spezia è il petrolio dell’Imperium, e i Fremen sono le popolazioni arabe di Arrakis, dove una potenza accecata dai propri interessi schiaccia e annienta il territorio e i suoi abitanti. In questo sta tutta la riflessione sociopolitica di Dune, finalmente anche al cinema.