Del: 6 Ottobre 2021 Di: Francesco Pio Calabretta Commenti: 0
Jean-Paul Belmondo, un'icona del cinema francese

Ormai un mese fa, proprio il 6 settembre del 2021, veniva annunciata al mondo la scomparsa di uno dei divi, se non “il divo” del cinema francese tra gli anni ’60 ed’80: Jean-Paul Belmondo. In occasione del suo addio, la Cineteca di Bologna lo omaggia portando nelle sale italiane dal 4 ottobre la versione restaurata di À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro), dando un’occasione imperdibile sia a coloro che vorrebbero rivederlo sul grande schermo, sia a quelli che hanno la possibilità di avvicinarsi a un capolavoro del cinema, non avendo mai visto l’opera prima.

Nato a Nuilly-sur-Seine (Parigi) nel 1933, Belmondo viene ammesso al Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique e contemporaneamente, a soli 19 anni, frequenta già palcoscenici e set fotografici. Divenuto celebre dapprima in Francia e poi nel mondo intero, è chiaro ormai che definire Belmondo semplicemente un attore è riduttivo. E lo è perché fu proprio lui a definire i canoni dei del divo francese insieme a un’altra celebrità, Alain Delon. Infatti, se Delon era il classico “bello del cinema”: sottile, delicato e oggettivamente attraente, Belmondo era invece al vertice opposto: fisico, arrogante e dall’aria da cattivo ragazzo (celebre il suo naso da pugile).

A segnare per sempre la carriera di Belmondo e la storia del cinema francese e mondiale fu però Jean-Luc- Godard, proprio nel 1960 con l’opera rivoluzionaria che è stata poi definita il manifesto della generazione della Nouvelle Vague: À bout de souffle, che rese Belmondo e Godard immortali.

Nel film il regista scelse la via della provocazione e dell’innovazione in un cinema fino ad allora “statico e classico”: riprese con macchina a mano, tagli di montaggio irregolari, scavalcamenti di campo, jump cuts, tutte tecniche che erano considerate fino ad allora veri e propri errori di raccordo. La macchina da presa segue i personaggi, che sono nel complesso reali e sinceri, come in un documentario.

L’aria da cattivo ragazzo che accompagnerà Belmondo nel corso della sua carriera, è estremamente evidenziata nel corso di tutto il film attraverso gesti e movimenti. Dal vestiario (con la celebre cravatta in disordine e la sigaretta sempre al lato della bocca) alle occhiate, dallo sguardo in macchina ai lunghi monologhi ad alta voce, fino ad arrivare al gesto del passaggio del pollice sulle labbra, citando in modo esplicito Humprey Bogart, mito del cinema hollywoodiano degli anni ’30 e ’40 e rimandando al modello del duro gangster americano.

La trama del film, che può sembrare molto semplice, non nasconde l’anarchismo di Godard, che come già citato sta invece tutto nella tecnica e nella forma più che nel contenuto. Nell’opera Belmondo interpreta un giovane Michel Poiccard nella Francia degli anni ’50. Dopo aver rubato un’auto per recarsi in Italia, viene inseguito da due agenti e dopo averne ucciso uno si dà alla fuga arrivando a Parigi.

Qui chiede aiuto a Patricia, giovane americana per cui prova un sentimento che non è ricambiato dalla donna, che non ci pensa due volte a farsi corteggiare da un collega al giornale dove lavora. Tutta l’opera, in cui si alternano lunghi piani sequenza e brevi inquadrature, segue la ricerca di Michel del denaro necessario per fuggire e le indagini della polizia per trovare l’assassino. Il finale è perfetto per un film che in sé è tutta una denuncia: più si cerca libertà più si è guidati dal destino. E nonostante si cerchi una soluzione, si arriva a un momento in cui, come Michel, non si ha più la voglia di lottare.

Dopo À bout de souffle, Belmondo confermerà la propria forza attoriale in altre opere storiche del periodo d’oro del cinema francese: da ricordare e vedere sono sicuramente: Lo spione e Lo sciacallo (regia di J.P. Melville) o ancora Pierrot le fou, in cui lavorerà nuovamente al fianco di Godard, e La sirène du Mississipi di Truffaut. Pochi film citati di una carriera composta da centinaia di opere, per cui riceverà infine, cinque anni fa, il Leone alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia, nello stesso periodo in cui ha deciso di dire addio alle scene diventando definitivamente immortale.

Francesco Pio Calabretta
Classe 2000, studio Scienze dei beni culturali. Mi godo il momento ma penso al futuro. Per adesso invece imparo, esploro e bevo birra.

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