Trasgressiva e provocatoria la regina che dal 15 al 17 ottobre ha dominato il teatro della Triennale di Milano. Valter Malosti, regista, attore e artista visivo, mette sulla scena uno degli ultimi lavori dell’autore milanese Giovanni Testori (1923-1993) e per farlo stravolge i parametri shakespeariani pur conservando un costante ma sottile dialogo con la tradizione.
La Cleopatràs di Testori, interpretata dalla straordinaria Anna Della Rosa, piange il suo Tugnàs e vede arrivare la tragica conclusione di una vita trascorsa all’insegna dell’amore, del denaro e del potere.
Energico e incalzante, il monologo appare come un libero flusso di coscienza ma nasconde in realtà un attentissimo lavoro di ricerca del suono, del ritmo e della musicalità interna, il tutto in uno stravagante dialetto lombardo che abilmente gioca con italiano antico, francese e latino. La lingua di Testori, insieme immaginifica e sciocca, alta e bassa, profonda e superficiale, viene definita dallo storico e critico d’arte Giovanni Agosti un «intruglio manierista che pur sembra arrivare al fulcro di un sapere universale» e crea di fatto un teatro popolare estremamente colto.
Anche la musica esegue un audace viaggio: dalle atmosfere d’Egitto a Puccini, dall’opera lirica all’elettronica e questa bizzarra combinazione si incastra perfettamente con le parole della donna creando un incantante gioco tra suono, parola e gestualità.
L’Egitto shakespeariano cede il posto all’ambientazione lombarda: decontestualizzazione che, se all’inizio potrà apparire destabilizzante e forse deludente, si rivelerà poi fattore essenziale per il profondo coinvolgimento di un pubblico costretto così all’immedesimazione. Questa inaspettata immedesimazione è suggerita anche dalla scenografia che cerca di farsi contemporanea sin dalla prima scena, quando il palco immerso in un buio atemporale lascia a tratti intravedere una moderna camera da letto sullo sfondo: è realtà o proiezione?
La donna entra sulla scena con la maestosità degna di una regina d’Egitto in un lungo e sontuoso abito nero e ne esce con la viltà di una ragazza in sottoveste che muore d’overdose in una stanza d’albergo.
Il pubblico rimane destabilizzato nel seguire il suo continuo alternare tra l’autorevole severità e l’atteggiamento sensuale, malizioso e persino volgare che in pochi secondi trascina l’intangibile regina nel profondo abisso di una bestiale umanità.
Agosti scorge in lei quella perfetta «fusione tra la Osiris e la Callas» e in questo svolge un ruolo fondamentale il microfono, sempre nella mano della donna e abbandonato soltanto quando ad abbandonarla sarà la vita. Ecco che il telo nero si alza e nella dorata stanza d’albergo, che è dunque reale, si esaurirà l’energico monologo di una regina messasi a nudo davanti al suo spettatore, col quale condivide in fondo le debolezze che sempre accompagnano una forte personalità, e le profonde mancanze che rendono effimera ogni tanto bramata grandiosità.