Del: 15 Novembre 2021 Di: Costanza Mazzucchelli Commenti: 0
Corpus Domini. Il corpo in mostra a Palazzo Reale

La proposta culturale di Palazzo Reale ha ormai ripreso a pieno regime con una serie di mostre, tra cui Monet, Realismo Magico e Corpus Domini, che danno la possibilità di indagare da vicino tre momenti focali della storia dell’arte italiana e internazionale, dall’Ottocento a oggi: dall’Impressionismo, passando attraverso la corrente artistica del Realismo magico, si giunge all’Iperrealismo e alla Body Art, con una affermazione sempre più decisiva del corpo – ma talvolta, come si vedrà, anche della sua negazione – quale oggetto d’indagine da parte dell’artista, fino a diventare il vero e proprio supporto artistico.

Inaugurata il 27 ottobre e visitabile fino al 30 gennaio 2022, l’avanguardistica mostra Corpus Domini. Dal corpo glorioso alle rovine dell’anima curata da Francesca Alfano Miglietti presenta, in circa 1000 m2 di superficie, 111 opere di 34 artisti contemporanei. I lavori interessano tutti i tipi di produzioni e di linguaggi artistici, con installazioni, sculture, disegni, fotografie, dipinti e videoinstallazioni, dando prova della potenzialità dei vari supporti. Inoltre, il fatto che gli artisti coinvolti provengano da diverse aree del mondo è utile per tentare di allontanarsi da una narrazione eurocentrica dominante soprattutto nella definizione di un ideale di corpi standard.

L’espressione Corpus Domini è qui scevra del suo valore religioso e serve per approfondire il tema della presenza del corpo nell’arte e per l’arte, dagli anni Settanta a oggi, e di come il corpo venga inteso in senso materico e fisico, ma anche in una forma più evanescente e poetica, considerato simbolo di altro o analizzato nella sua assenza.

Per quanto concerne il rapporto tra arte e corpo, in particolare nel contesto italiano, non si può non menzionare Lea Vergine, importante critica e curatrice d’arte, tra le prime ad occuparsi di Body Art, arrivando a pubblicare su questo tema il saggio Il corpo come linguaggio. La “Body-Art” e storie simili (1974). Vergine, fino alla sua morte, occorsa il 20 ottobre 2020, ha instancabilmente collaborato con Francesca Alfano Miglietti per la progettazione della mostra in questione, una concretizzazione degli studi da lei portati avanti con passione. E proprio per questo, il percorso espositivo parte da una sala dedicata alla storica dell’arte, una finestra sulla sua mente, realizzata grazie al contributo dell’Archivio Lea Vergine: libri, documenti e fotografie sono un omaggio alla sua figura e alla sua vita.

Già nella Sala Lea Vergine, inizia il viaggio attraverso corpi veri e corpi finti, presenti o immaginati, gloriosi o rovine dell’anima. Significativa la scelta di partire con i disegni di Carol Rama, in cui sono ritratti corpi femminili non conformi, con esposti gli organi sessuali: la regola di Rama, qui, è la trasgressione della norma prestabilita, la distruzione di un modello che vuole il corpo perfettamente abile, vestito (soprattutto se femminile) e posato.

Carol Rama, Appassionata, Collezione privata.
Carol Rama, Appassionata, Collezione privata.

Proseguendo, gli orizzonti figurativi si espandono e cambia continuamente l’esperienza estetica, in un’alternanza tra presenza e assenza fisica: a scritte al neon di Joseph Kosuth, qui esposte come simbolo della sparizione del corpo sostituito dalla parola, seguono una statua in cera raffigurante il filosofo Ludwig Wittgenstein realizzata da Gavin Turk e un’installazione sonora con la registrazione di una risata proveniente dall’alto, opera di Gino De Domincis dal suggestivo titolo D’Io.

Corpus Domini è uno spazio laico, profano e concreto, ma che – per forza di cose – scivola nel metafisico e nel religioso.

E ancora, le sculture di resine, poliestere, marmo, silicone e capelli naturali di Zharko Basheski: la mastodontica Out Of… e la piccola Self-portrait 1 esprimono il dramma di un corpo che invecchia e di una mente che riflette sulla propria esistenza. Da questa massima concentrazione su di sé, lo sguardo si allontana: l’uomo non è più visto in tutte le sue rughe, in tutti i suoi particolari, ma diventa parte indistinguibile di un gruppo in movimento, come si vede nelle video installazioni di Michal Rovner. L’essere umano, qui, è privato della propria individualità, dei suoi tratti caratterizzanti: gli individui sono tutti uguali, come dovrebbe essere.

Oltre alla raffigurazione di ciò che il corpo effettivamente è, con suoi i prodigi e le sue brutture, si guarda al futuro, a ciò che la scienza può compiere sui nostri corpi, cambiando così anche canoni estetici e paradigmi di riferimento. Marc Quinn, in Thomas Beatie, raffigura un uomo incinto, l’uomo transgender che nel 2007 era riuscito ad avviare una gravidanza grazie all’inseminazione artificiale. Il corpo è sì vulnerabile, ma in potenza contiene in sé anche una serie di possibilità prodigiose che possono essere dispiegate.

E una volta scomparso il corpo, cosa rimane? Cosa resta del nostro strumento di esperienza del mondo? Rimangono i vestiti, ormai vuoti fantocci senza identità, come in MENS SUITS di Charles LeDray, tanti piccoli abiti accatastati e in miniatura, che rimandano, tra le altre cose, all’ormai ingestibile tendenza all’accumulazione e al suo impatto sull’ecosistema. La memoria è labile, la nostra storia destinata a essere dimenticata nel giro di poco tempo: siamo posti di fronte a questa crudele legge dall’installazione di Oscar Muñoz, in cui le linee di volti proiettati sul pavimento spariscono in qualche secondo, risucchiate da uno scarico.

Questa esposizione ricorda quanto l’arte sia costantemente in dialogo con le altre forme di sapere, come la filosofia, l’antropologia, la sociologia, un dialogo sempre in divenire e necessitante dell’apporto di ciascuno. In una società in cui il corpo è centrale ed è visto come un mezzo di espressione personale, la mostra permette di osservarci dall’esterno, studiando i resti lasciati dal nostro passaggio, passando in rassegna i metamorfici modi di definire (e ridefinire) canoni estetici e giungendo addirittura all’invisibilità, all’annullamento del corpo. Il privato del proprio corpo non è mai stato così politico.

Immagine di copertina: Zharko Basheski, “Out of… e Self-portrait 1”. Fotografia di Edoardo Valle. Courtesy Palazzo Reale, Milano.

Costanza Mazzucchelli
Classe 2000, studentessa di Lettere. Guardo il mondo attraverso i miei occhiali spessi, ascolto e leggo, poi scrivo di ciò che ho imparato.

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