Del: 28 Novembre 2021 Di: Luca Pacchiarini Commenti: 0
Da rivedere per la prima volta: Allegro non troppo

Nel panorama dell’animazione italiana poche opere sono ricordate, è il caso di Allegro ma non troppo, un piccolo capolavoro del 1976 del tutto originale, che riuscì in poco tempo a diventare un cult. In un grande teatro un regista presentatore vuole fare un film d’animazione e musica classica, nonostante lo chiamino da Hollywood per ricordargli che è già stato fatto, lui convoca un tracotante direttore d’orchestra, libera un disegnatore incatenato da anni e fa radunare un gruppo di vecchiette per costituire l’orchestra.

Le vicende di questo insolito gruppo sono intervallate da sei episodi animati, ognuno con un brano diverso, stili d’animazione e storie differenti: un anziano fauno in cerca di una ninfa da poter amare; una comunità primitiva da cui un uomo si allontana per poi essere imitato da tutti gli altri; l’evoluzione della vita che parte da una bottiglia di Coca Cola; un gatto che si aggira in una casa in rovina ricordando un passato migliore; un’ape pronta a mangiare ma sempre interrotta da una coppia che amoreggia; Adamo ed Eva che rifiutano il frutto proibito, mangiato invece dal serpente che precipita così nel mondo consumistico contemporaneo.

Allegro ma non troppo

Già qui si può notare come il film si distacca parecchio dal classico Disney, il regista (Bruno Bozzetto, che è anche sceneggiatore, produttore e animatore) si ispira dichiaratamente al genere ma prende una strada completamente diversa.

Questi racconti animati sono infatti narrazioni e sé stanti, che seguono la musica ma hanno una storia autonoma rispetto a essa, affrontando argomenti e critiche sociali molto serie: i problemi della società in cui viviamo, i nuovi demoni, il dolore della vecchiaia, i danni che provoca l’uomo a se stesso e a ciò che gli è vicino. Tali temi vengono poi trattati con uno stile che varia da episodio a episodio: dal solenne ed epico, dal dolce e nostalgico, fino al delicato e gioioso. Ogni episodio è perciò stilisticamente molto differente. Si nota ad esempio il rotoscopio per gli innamorati nella vicenda dell’ape, la stop motion per ciò che il serpente vive e la tecnica mista per molte scene dal vero.

Tuttavia la divisione tra il mondo animato e le scene dal vero non è netta, i due comunicano continuamente. Alcuni personaggi animati escono dai loro corti, altri nascono nel teatro e rompono gli schemi. In questo dialogo tra i due universi è centrale la figura del disegnatore (Maurizio Nichetti), rappresentante di tutti i disegnatori e animatori sfruttati, costretti a lavorare su prodotti che non rientrano nel loro stile. Questo personaggio cercherà sempre momenti per poter dare libero sfogo al suo estro, entrando spesso in conflitto con il direttore d’orchestra (Néstor Garay) che non perde occasione per fargli capire chi è che comanda. In questo conflitto il regista presentatore (Maurizio Micheli) cerca in tutti i modi di tenere l’ordine, sforzandosi ogni volta per far andare avanti il film. Così anche le scene più scanzonate, della parte dal vero del film, racchiudono riflessioni molto profonde sull’arte dell’animazione, sull’essere autori e sulle possibilità espressiva della musica.

Quest’ultima è l’anima del film, vi sono grandi composizioni di Dvoràk, Ravel, Vivaldi, Sibelius e Stravinskij, che permeano le animazioni aumentandone la potenza e la carica espressiva, donano la vita ai personaggi disegnati.

Da ricordare Il Bolero di Ravel presente nel racconto sull’evoluzione partita da una Coca Cola: l’imponenza di ogni animale aumenta, un crescendo continuo che accentua il pathos sempre di più fino a esplodere in un finale che, con grande stile ed energia, lancia un messaggio di critica diretta ai metodi irrispettosi e consumistici dell’uomo d’oggi, che finiscono per alienarlo. Proprio Il Bolero di Ravel fu il principale stimolo che spinse Bruno Bozzetto alla realizzazione del film, il brano gli suggerì infatti l’idea di una crescita continua e incontrollata. A questa ispirazione è da aggiungere la volontà di far passare i temi del film sopra citati, comuni in tutta la produzione di Bozzetto, attraverso nuove modalità e nuovi stili. Bozzetto realizza dunque una risposta al Fantasia disneyano che abbia una mentalità diversa, sempre ironica ma farcita di grandi temi.

Questa pellicola vinse un David speciale ai David di Donatello del 1978, fu un successo di critica ma ebbe una distribuzione particolarmente travagliata: ebbe successo in Usa e in Francia, ma non si riuscì a distribuirlo in Italia. Bozzetto si sentì dire che il film era stupendo ma non aveva un pubblico a cui essere indirizzato, e solo dopo cinque mesi un produttore lo vide e decise di distribuirlo in patria. Proprio queste difficoltà fanno comprendere al meglio perché questo film andrebbe oggi riscoperto: è un lavoro corale di vari animatori, mossi dalla passione per un progetto che era un sogno (un film principalmente d’animazione ma con tematiche serie e adulte, ancora oggi in Italia l’animazione non è del tutto sdoganata da genere per bambini, figurarsi nel ‘76). L’ironia che permea il film e i suoi meravigliosi disegni lo rendono poi ancora oggi un film godibile, stimolante e che incanta.

Luca Pacchiarini
Sono appassionato di cinema e videogiochi, sempre di più anche di teatro e letteratura. Mi piace scoprire musica nuova e in particolare adoro il post rock, ma esploro tanti generi. Cerco sempre di trovare il lato interessante in ogni cosa e bevo succo all’ace.

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