Del: 13 Novembre 2021 Di: Michele Baboni Commenti: 0

Il dibattito politico italiano è stato attraversato negli ultimi mesi da numerose agitazioni e proteste di piazza: dai No Green Pass ai Fridays For Future, dalle proteste inerenti al ddl Zan agli scossoni provocati dalle recenti elezioni comunali, il cui tasso di astensionismo ha rappresentato un record negativo per il paese. Il denominatore comune di queste situazioni pare essere la profondissima insoddisfazione degli elettori, delusi da una classe politica immobile ed incapace di far propri gli interessi della popolazione. Stiamo dunque vivendo un momento di crisi della politica, perlomeno per quanto riguarda quella che avviene all’interno delle istituzioni.

Per questo abbiamo intervistato Pippo Civati, già deputato e fondatore di Possibile, per parlare del suo modo alternativo di concepire la politica che fa dell’attivismo, della partecipazione giovanile e dell’iniziativa popolare i propri cavalli di battaglia. L’intervista è stata editata per motivi di brevità e chiarezza.


Partiamo da due eventi: il ddl Zan ed i referendum. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad un parlamento rimasto fermo rispetto alla popolazione. Le istituzioni hanno fallito?

È una situazione a specchio perfetto, perché da un lato c’è una società che chiede diritti che già ci sono, nel senso che le persone già vivono così, e dall’altra c’è un mondo istituzionale che dovrebbe rappresentarle, ma che in realtà fa il contrario e reagisce con violenza. Il senso del DDL Zan era esattamente negare questa violenza e quindi è una situazione paradossale. È come se le cose che vengono contestate fossero banalizzate dalle stesse persone che dovrebbero invece prendersene cura. Non si riconosce l’urgenza e la necessità di alcune cose che stanno già nella società italiana, e che invece vengono negate da alcuni anche per ragioni strumentali. Quindi non hanno fallito, sono proprio su un altro pianeta.

Ci sono altri temi che le istituzioni stanno ignorando, o su cui non stanno facendo abbastanza?

Quasi tutti. Noi poniamo anzitutto la questione del salario minimo perché le persone non sono retribuite, invece un’ora di una persona ha un valore a prescindere dalla mansione che svolge. Poi c’è la questione clamorosa di una differenza di stato sociale tra chi sta molto bene e chi invece è in difficoltà. Allora noi insistiamo sull’idea che chi guadagna tanto paghi un po’ più di tasse, e crediamo soprattutto che in questo momento chi ha tanti patrimoni debba metterli in gioco per la salute del Paese, anche perché altrimenti parleremmo di avidità. Per fare una metafora, non è possibile che ci sia chi si lamenta del fatto che siano finite le Ferrari o che sia finito lo champagne più costoso quando in realtà poi ci sono persone che non arrivano alla fine del mese. Poi c’è la questione del clima, perché, mentre ci scherziamo su, il mondo potrebbe potenzialmente finire. Tutte le discussioni che stiamo facendo in merito rischiano di essere ridicolizzate in una decina o una ventina d’anni, quindi su questo sarei un po’ meno paternalistico con Greta Thunberg e affronterei la questione per quello che è, cosa che non mi pare stiamo facendo davvero.

Qual è secondo te il rapporto tra i giovani e la politica? Sono abbastanza coinvolti? Si attivano abbastanza?

Secondo me sì. Spesso il giudizio di quelli vecchi come me è che la politica non li riguardi, che loro non la capiscano e che non siano impegnati. In verità questo tipo di politica non parla più a nessuno, neanche a me che l’ho fatta per tanti anni. Un ventenne che si affaccia sulla scena del mondo vede un ceto politico compiaciuto di se stesso e incapace di parlargli, soprattutto se donna o se parte di una minoranza. Questo è un grande problema, è come se la politica tramontasse e ci fosse un’alba che la politica stessa non riesce a cogliere, perché in realtà i ragazzi giovani sono molto impegnati e l’hanno dimostrato quest’estate con la stagione referendaria, che è iniziata coi banchetti in piazza ed è finita con le firme on-line, così come con la mobilitazione per il clima.

Di fronte a delle istituzioni che non danno risposte adeguate, cosa possono fare i cittadini?

La grande questione che si è aperta è che non va a votare più nessuno, quindi prima di tutto devono tornare a votare. Devono scegliere quelli che apparentemente sono più utopisti. Bisogna scegliere le opzioni grandi, non basta votare il meno peggio o scegliere la comfort zone, come dal punto di vista sentimentale spesso si fa. Bisogna provare a immaginare un mondo diverso; l’immaginazione è molto importante perché il mondo che c’è stato consegnato non funziona per tante cose, e se non si rompe quello schema lì vi si rimane dentro. Quindi bisogna partecipare, scegliere un partito, un sindacato o un giornale che è un luogo dove informarsi. Secondo me è il momento di “spaccare tutto”, ma non devo farlo io, lo devono fare (anche contro di me) quelli che non sono tutelati.

Con Possibile e People, pur non essendo in parlamento da diverso tempo, si sta battendo attivamente per diverse cause. Com’è fare politica fuori dalle istituzioni?

Anche quando stavo le istituzioni pensavo che la politica non si risolvesse nelle istituzioni. Ci sono momenti, luoghi e questioni che si possono interpretare anche lavorando e facendo una vita che con la politica sembra non avere nulla a che fare. L’importante è la presenza, una parola che usa sempre Liliana Segre e che a me piace molto. Essere presenti quando succedono le cose che riguardano non solo te, ma anche la società e il contesto in cui vivi. Lo dico con dispiacere perché ho una grande venerazione per le questioni istituzionali, per il Parlamento, per il governo e soprattutto per Mattarella, che è un grande utopista secondo me. Ma questo non toglie che la politica si possa fare anche attivandosi su singole questioni, cercando un senso che non si trova da soli e bisogna cercare invece di condividere le questioni che riguardano tutti.

Le piacerebbe in futuro tornare ad occupare un ruolo a livello istituzionale?

Intanto Possibile è cresciuto tantissimo quando io non ci sono stato, il che è un segnale molto importante; sono cresciuti tantissimo gli iscritti, che sono anagraficamente molto giovani, sono molto motivati e preparati, e non si fermano all’idea di essere già pronti. È molto bello per me vedere una nuova generazione, e l’idea di promuovere una nuova stagione politica, una nuova epoca in cui le persone siano consapevoli, più preparate e più capaci è il motivo per cui ho fondato Possibile qualche anno fa. Dopodiché io torno se c’è un motivo, per me non è una necessità ma siccome non mi piacciono quelli che dicono «se perdo il referendum smetto di fare politica» e poi continuano a farla, se capita torno a farla volentieri.

Michele Baboni
Studente di scienze politiche, sono appassionato di filosofia, politica e calcio. I temi che ho più a cuore sono i diritti civili e il cambiamento climatico, anche se l'attualità è sempre un punto di partenza stimolante per nuove riflessioni. La scrittura è il mezzo per allargare i miei orizzonti, la curiosità il vento che mi spinge alla ricerca incessante di nuove risposte.

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