Del: 10 Novembre 2021 Di: Cristina delli Carri Commenti: 0
Noi, giovani di "quota zero", in pensione a 70 anni

Con l’arrivo di novembre si riapre il dibattito sul contenuto della legge di Bilancio che, come ogni anno, rappresenta l’occasione d’oro per tornare a parlare di pensioni.

La riforma del sistema pensionistico è un argomento scottante in tutta Europa: accende trasversalmente i partiti, allontana i governi dai sindacati, tocca le paure più grandi dei cittadini.

La sostenibilità del sistema attuale, che permette di commisurare il valore delle pensioni a quello dell’ultimo stipendio percepito, è assai dubbia ormai da più di un decennio. Diversi sono i fattori che alimentano il dubbio: dall‘aumento dell’aspettativa di vita, che costringe gli Stati a pagare pensioni per un periodo molto più lungo, alla scarsa crescita demografica, che non consente il ricambio della forza lavoro e quindi dei contribuenti, fino alla precarizzazione sempre più radicale del lavoro e all’aumento del debito pubblico, fenomeni entrambi aggravati dalla crisi del 2007-2008 ieri e da quella legata alla pandemia oggi.

In Italia, in particolare, la legge Fornero del 2011 ha cercato di affrontare le problematiche poste dai fattori sopraelencati. Ma dal momento della sua approvazione, non è passato un giorno senza che qualcuno la criticasse aspramente. Tutti i governi che si sono avvicendati hanno cercato di modificarla, tutti i sindacati e le associazioni di lavoratori hanno proposto migliorie, ma ancora nessuno è riuscito a presentare una riforma che consenta di coniugare i bisogni dei nuovi pensionati alla conformazione della società del XXI secolo.

La legge Fornero ha ampliato e modificato la legge Dini del 1995, la quale ha sancito il passaggio dal sistema pensionistico retributivo a quello contributivo per tutti coloro che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1996. Ciò significa che coloro che lavorano dal ’96 percepiranno in futuro (a partire più o meno dal 2035/2045) una pensione non più commisurata al loro ultimo stipendio, bensì basata sul valore dei contributi versati nel corso della propria carriera. Né la legge Dini né la legge Fornero hanno previsto delle integrazioni al valore delle pensioni calcolate sul sistema retributivo: questo comporterà probabilmente un pesante abbassamento del valore delle pensioni, che saranno più che dimezzate per i pensionati del futuro rispetto a quelle dei pensionati di oggi.  

Uno dei punti più criticati della Fornero è l’innalzamento del pensionamento di vecchiaia: dal 2011, infatti, in Italia si va in pensione al massimo entro i 67 anni, un’età – la più alta in Europa – destinata ad alzarsi ulteriormente per via degli aggiornamenti sulla valutazione dell’aspettativa di vita che, sulla base della stessa legge Fornero, vengono fatti ogni due anni a partire dal 2019. Nel 2021, l’età del pensionamento è rimasta invariata a 67 anni, poiché il Covid ha abbassato l’aspettativa di vita degli italiani di circa un anno, un dato assolutamente contrapposto al trend degli ultimi 7 decenni.   

Nel 2019, per addolcire il regime Fornero, il governo giallo-verde di Giuseppe Conte ha introdotto nella scena Quota 100, un sistema per cui il pensionamento scatta dal momento in cui la propria età anagrafica, sommata agli anni di contributi, porta al numero 100 (es.: 62 anni di età + 38 di contributi, 58 anni di età + 42 di contributi etc). I pensionati del 2019 sono ancora lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 1996, per cui queste pensioni vengono tutt’oggi calcolate su base retributiva.

Con Quota 100 il numero di pensionati è salito vertiginosamente, mentre la loro età si è di molto abbassata, raggiungendo una media di circa 62 anni – tra le più basse in Europa. In compenso, il valore delle loro pensioni è ancora piuttosto alto, tarato sulla loro ultima retribuzione. In altre parole, Quota 100 non solo non rende il sistema pensionistico più sostenibile per le casse pubbliche, ma lo appesantisce ulteriormente, in danno alle generazioni future.

Anche l’attuale premier Mario Draghi, nella stesura della sua prima legge di Bilancio, ha affrontato il problema pensionistico, iniziando il dialogo con i tre maggiori sindacati italiani sin da subito sul piede di guerra. Il premier ha rinnovato il sistema introdotto dal governo Conte, spostando la somma da 100 a 104. Tuttavia, non ha proposto alcun tipo di modifica alla legge Fornero, né ha avanzato idee per un suo superamento.

Quando si parla di pensioni, in politica si parla sempre e solo a chi oggi vota ed è prossimo ai 60 anni. Eppure, gli effetti catastrofici della Fornero e di Quota 100 saranno avvertiti da chi oggi è giovane o giovanissimo, che la stampa ha recentemente ribattezzato ”quota zero”.

I giovani di quota zero sono coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, la cui pensione, secondo il sistema attuale, sarà quindi interamente calcolata in base al sistema contributivo, senza alcun tipo di integrazione. Chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, e specialmente chi ha iniziato a lavorare dopo il 2008, è nella maggior parte dei casi un lavoratore precario, e lo resterà per diverso tempo. Infatti, è stata introdotta per i datori di lavoro una nuova serie infinita di agevolazioni contrattuali, che consentono di evitare loro le spese ed i vincoli dei contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato: tirocini, stage, collaborazioni occasionali e via dicendo, permettono di avere forza lavoro giovane, con importanti sgravi fiscali e grande elasticità contrattuale. Ne deriva dall’altro lato che i nuovi lavoratori versano contributi discontinui ed estremamente bassi e che dovranno continuare a farlo, se iniziano a lavorare tardi, almeno fino ai 67 anni, ma sicuramente per molto di più, visto il crescente aumento dell’aspettativa di vita, per ritrovarsi poi con una pensione mensile che varrà meno della metà dell’ultimo stipendio percepito.

Negli anni sono stati numerosi i correttivi a questo fenomeno: dal divieto di reiterazione dei contratti a tempo determinato, ai maggiori controlli sullo svolgimento degli stage e dei tirocini, fino all’abbattimento dei contributi per i lavoratori under 36 e agli incentivi per i datori di lavoro che assumono i più giovani.

Tuttavia, una vera soluzione al problema delle pensioni non può aversi fino ad una profonda e radicale riforma tanto del sistema pensionistico quanto di quello contrattuale. Ma chi potrebbe proporla?

Chiunque modifichi il sistema di Quota 100, alzando nuovamente l’età del pensionamento, si troverebbe automaticamente a danneggiare coloro che sono più prossimi alla pensione, gli attuali 55-60enni, ossia la parte di elettorato in assoluto più attiva ed incisiva: abolire Quota 100 significa da un lato riportare l’età del pensionamento in linea con la media europea, dall’altro perdere quasi sicuramente le elezioni successive.

Se un ritorno al sistema Fornero puro appare impraticabile per i partiti, dall’altro ignorare il problema dei quota zero, come avvenuto con gli ultimi governi, significa condannare una generazione di lavoratori – oggi in gran parte precari – ad una vecchiaia estremamente vicina alla soglia di povertà.

D’altronde, per quando i ventenni di oggi andranno in pensione, i legislatori di oggi saranno ormai un ricordo lontano: la questione per il momento non è sull’agenda di nessuno.

Cristina delli Carri
Vegetariana, giramondo, studio giurisprudenza ma niente di serio. Se fossi un oggetto sarei una penna stilografica.

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