Lo scorso 29 ottobre, nell’atrio dell’Aula Magna in Festa del Perdono, è stata allestita dalla lista di rappresentanza studentesca Studenti Indipendenti una mostra fotografica dal titolo La rotta dei diritti negati, ad opera del giornalista e fotoreporter Valerio Nicolosi. Le immagini raccontano la quotidianità di migliaia di migranti che ogni anno decidono di incamminarsi lungo la Rotta Balcanica, determinati a correre tutti i rischi che questo itinerario comporta pur di lasciarsi alle spalle guerra, fame e persecuzioni.
La maggior parte di essi proviene dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Siria o dall’Iraq; tutti devono fare i conti, ogni giorno, con le intemperie, la fame, le difficoltà di un percorso che impone loro di attraversare zone anche impervie, passando per montagne, boschi e fiumi; purtroppo, spesso si trovano a dover subire le violenze perpetrate dalle polizie di Paesi quali Croazia e Slovenia, che violano sistematicamente i diritti umani per tenere queste persone lontane dai propri confini.
Non solo immagini, però: le difficili condizioni di vita dei migranti, siano essi costretti a intraprendere un viaggio lungo la Rotta Balcanica oppure via mare, attraverso il Mediterraneo, sono state raccontate dallo stesso Valerio Nicolosi, intervistato venerdì scorso in Statale da Studenti Indipendenti.
Alla domanda circa che cosa lo abbia spinto ad abbracciare questa professione, Nicolosi ha affermato di essere stato mosso da un’esigenza di raccontare sviluppatasi nella periferia romana. In quel contesto, caratterizzato da lavoro spesso in nero, precario e sfruttato e da una forte dispersione scolastica, egli ha sentito la necessità di mostrare come del degrado siano imputabili le istituzioni indifferenti, non le persone che lo vivono, e ha voluto di dedicarsi a un’informazione che non si pieghi al “dio della notiziabilità”.
Proprio per questo motivo e come sottolineato da Nicolosi stesso, il suo lavoro, estremamente rigoroso nella ricostruzione dei fatti, non può però essere imparziale nella lettura che di essi fornisce: il modo con cui egli racconta ogni evento è fortemente influenzato dalla lente che ha scelto di adottare per guardare alla società odierna. Una lente cui non sfuggono le storture prodotte dal capitalismo e che si rifiuta di ignorare le sofferenze di chi, da questo sistema, è stato reso più fragile e poi abbandonato. Una lente che, insomma, intende mantenere sempre alta l’attenzione su queste persone, e che non si preoccupi di loro soltanto “a singhiozzo”, quando un qualche evento drammatico le rende più appetibili agli occhi dei mass media.
Anche davanti a noi studentesse e studenti, Valerio Nicolosi ha dimostrato, rispondendo alle diverse domande, di non aver alcun timore di prendere posizione e di usare espressioni forti per mettere a nudo verità che molti fingono di non vedere.
«Come ha inciso la globalizzazione sui migranti e sul fenomeno migratorio in generale?», gli è stato chiesto. Nicolosi ha risposto mettendo in evidenza come la globalizzazione, anche all’interno dell’area Schengen, sia fatta per i capitali e le merci, non per gli individui: se noi possiamo spostarci è solo perché siamo considerati risorse umane, piuttosto che persone. Prova ne è il fatto che il Belgio, negli scorsi anni, abbia dato luogo a migliaia di espulsioni di persone comunitarie (tra cui molte di origini italiane), per il fatto che esse avessero perso il lavoro durante il soggiorno nel Paese.
Inoltre, non si deve dimenticare che Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera fondata nel 2004, riceve sempre più risorse da parte dell’Unione: secondo un rapporto pubblicato nell’agosto 2021 da FragDenStaat e Sea-Watch, entro il 2027 essa potrebbe toccare 5,6 miliardi di euro di budget e contare su 10.000 guardie. Tuttavia, essa ha fatto della sorveglianza aerea la propria priorità, così da essere impossibilitata a intervenire qualora vi fosse la necessità di effettuare un salvataggio; questo, unitamente al fatto che siano stati conclusi pericolosi accordi con gli Stati di origine dei migranti, ha determinato migliaia di morti in mare, che, forse, avrebbero potuto essere evitate, utilizzando le risorse destinate a Frontex per mettere in atto un programma di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo.
I temi toccati durante l’incontro, insomma, sono stati tanti e complessi, ma Nicolosi non ha dato nulla per scontato: nelle sue risposte, la Storia con la “s” maiuscola – cui noi siamo spesso portati a riferirci in modo asettico, trasformando gli individui coinvolti in numeri che non ci riguardano – andava intrecciandosi alle esperienze da lui vissute in prima persona, a fianco dei migranti, e alle difficili prove che questi ultimi hanno dovuto affrontare.
Egli ci ha permesso di ripercorrere le tappe che hanno portato all’attuale situazione dei flussi migratori nel Mediterraneo.
Partendo dall’accordo concluso da Berlusconi e Gheddafi nel 2008 (con cui la Libia prometteva di attuare un sistema di controllo delle frontiere terrestri volto a bloccare i migranti, collaborazione che ci si aspettava in ragione delle cospicue somme di denaro che l’Italia si era impegnata a versare come riparazione rispetto al periodo dell’occupazione coloniale), fino ad arrivare alla morte dello stesso Gheddafi nel 2011, evento che ha gettato il Paese nel caos, consentendo a gruppi armati e trafficanti di esseri umani di farla da padrone.
Si è giunti così alla strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e al lancio, da parte dell’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta, dell’operazione Mare Nostrum, cui parteciparono anche Marina Militare e Guardia Costiera, al fine di contrastare i trafficanti e di effettuare operazioni di salvataggio in mare. Successivamente, Mare Nostrum venne sostituita con l’operazione Triton, gestita dall’Agenzia Frontex, avente come missione primaria il controllo delle frontiere, piuttosto che la difesa e il soccorso.
Ultima tappa di questa vicenda (perché di fatto questi accordi continuano ad essere rinnovati), risulta essere la conclusione del memorandum tra Italia e Libia nel 2017, chiamato anche “Memorandum Minniti”, dal nome del Ministro dell’Interno del governo Gentiloni che lo firmò. Esso prevede che Roma finanzi infrastrutture per il contrasto dell’immigrazione irregolare (centri per migranti che sono veri e propri lager), formi il personale e fornisca assistenza tecnica alla Guardia costiera libica (che, nei fatti, altro non è se non un insieme di miliziani di diverse tribù, che intercetta i migranti nel Mediterraneo Centrale e li riporta nei centri di detenzione, dove subiscono pestaggi, torture, estorsioni e stupri).
Probabilmente molti di noi si sono sentiti impotenti, nel ripercorrere queste tappe mentre, alle spalle di Nicolosi, scorrevano le foto da lui scattate nel corso della sua esperienza. Forse è proprio per questo senso di impotenza, da un lato, e per l’impellente necessità di agire, dall’altro, che dalla platea di studentesse e studenti si è levata, verso la conclusione dell’incontro, questa domanda: che cosa possiamo fare noi, nel concreto, per cambiare questa situazione, oltre a continuare a informarci? Valerio Nicolosi non ha esitato neppure un secondo nel fornire la risposta: «Costruire percorsi di lotta che abbiano la capacità di parlare a tante persone. […] In questo momento c’è bisogno di un movimento ampio con un’identità chiara, antifascista, antirazzista e antisessista», che non abbia paura di portare i propri contenuti nella società.