Vi siete mai chiesti per quale motivo alcune panchine delle nostre città hanno degli scomodissimi braccioli per delimitare il posto in cui sedersi? Avete mai fatto caso che davanti a molte vetrine di negozi sono presenti degli spuntoni d’acciaio?
Si tratta di architettura ostile o design sgradevole (unpleasant design), un tipo specifico di pianificazione urbana che utilizza i componenti dell’ambiente per cercare di limitare attivamente il comportamento. Anche se non ce ne rendiamo conto, il design sgradevole gioca un ruolo significativo nel modo in cui percepiamo e interagiamo nello spazio pubblico. La congregazione di gruppi marginali è spesso il bersaglio di spiacevoli realizzazioni progettuali: giovani skaters, tossicodipendenti e senzatetto sono spesso identificati come cause ufficiali delle installazioni sgradevoli.
Sebbene il termine architettura “ostile” sia piuttosto recente, l’utilizzo di questa tipologia di ingegneria civile ha le sue origini nel XIX secolo. La forma che conosciamo oggi deriva dalla filosofia CPTED (Crime Prevention through Environmental Design) che ha come scopo la prevenzione del crimine attraverso strategie come la sorveglianza spontanea, il controllo di accesso naturale e il rinforzo territoriale.
Ogni processo progettuale, sia dal punto di vista tecnico che estetico, è di per sé ideologico. Le sue caratteristiche, strutture o modalità operative possono essere e sono spesso controllate. Il concetto di design sgradevole supera i limiti della nostra esperienza vissuta e agisce all’interno di un più ampio mezzo culturale, politico, sociale, psicologico e tecnico. Non sono solo scelte stilistiche o di puro design, sono sempre più spesso sintomi di discriminazioni e di emarginazione.
L’ostilità di questo tipo di architettura sta prendendo sempre più piede, soprattutto nel mondo occidentale.
Il design lotta contro gli emarginati, gli marcia contro. E così, nelle nostre città non è difficile imbattersi in delle installazioni che a un occhio poco attento potrebbero sembrare alquanto bizzarre. Panchine pubbliche sempre più scomode, sedute e davanzali inclinati e braccioli che impediscono alle persone di sedersi l’uno accanto all’altro, fermate degli autobus con sedute microscopiche e inclinate di 45 gradi.
Di tutti queste tipologie di architettura ostile, la panchina di Camden è allo stesso tempo l’installazione più conosciuta e quella più particolare. Definita come un raffinatissimo capolavoro del design moderno, l’opera è tutto tranne che una panchina. Un enorme pezzo di cemento, pallido e amorfo, progettato per resistere a tutto quello con cui potrebbe entrare in contatto. La panchina di Camden è stata definita da molti critici come il perfetto “anti-oggetto”. Su di essa è praticamente impossibile dormirci, non presenta fessure in cui gli spacciatori potrebbero riporre la droga o della semplice spazzatura, è anti-skateboard e anti-graffiti. Insomma, un capolavoro dell’architettura urbana. La maggior parte di questi obiettivi sembra nobile, ma l’effetto complessivo è alquanto demoralizzante e segue una logica potenzialmente pericolosa rispetto alla progettazione degli spazi pubblici.
L’unpleasant design è ovunque: a Parma, le panchine di Piazza Ghiaia sono diventate, prima delle gabbie, poi delle fioriere; a Treviso le panchine sono addirittura state eliminate, a Milano alcuni negozianti hanno riempito le vetrine di corso Indipendenza di spuntoni d’acciaio. Le limitazioni insite nell’oggettistica urbana circoscrivono le attività e negano tutta una gamma di interazioni e di usi.
Le nostre città, sempre più smart, sono diventate dei prodotti, dei negozi a cielo aperto. Ed è quindi impensabile che possano essere vissute e fruite da quei cittadini che non rientrano nelle categorie socialmente accettate. Rendere l’ambiente che ci circonda ostile sicuramente allontana, ma non elimina il problema, di quelle persone che sempre più spesso divengono “indesiderabili”.
L’architettura sgradevole ha anche come effetto opposto quello di rendere lo spazio pubblico ostile per gli anziani, per le persone con disabilità e altre tipologie di persone considerate per lo più socialmente “desiderabili”. Quando le soluzioni progettuali affrontano i sintomi di un problema (come dormire all’aperto in pubblico) piuttosto che la causa del problema (come la miriade di carenze sociali che portano ai senzatetto), quel problema viene semplicemente messo da parte, ma non eliminato.