Del: 15 Dicembre 2021 Di: Giulia Riva Commenti: 1

La crisi russo-ucraina torna oggi a far parlare, mentre Putin mobilita le truppe russe sul confine comune e lancia un ultimatum: l’Ucraina non deve diventare membro della Nato. Del resto, questa rimane una delle maggiori preoccupazioni russe: attrarre definitivamente nella propria orbita un paese (nonché nucleo originario della civiltà russa) che si è mantenuto pericolosamente in bilico, senza diventare, finora, componente di Unione Europea e Nato (come hanno invece fatto quasi tutte le altre Repubbliche ex-sovietiche) e, d’altro canto, senza subire l’egemonia di Mosca quanto la vicina Bielorussia.

Tuttavia la situazione pare oggi in mutamento: Ucraina e Unione Europea condividono sempre più interessi in materia economica e di sicurezza (l’Ucraina si trova tra l’altro sul confine orientale dell’Unione) e inoltre, dal 2019, il paese si è posto come obiettivo l’ingresso nella NATO. 

Non sorprende dunque, sotto questo punto di vista, la dura reazione del Cremlino.

Il conflitto russo-ucraino non è però recente e, seppur trattato solo ad intervalli dalla stampa internazionale, prosegue ormai da sette anni: da quando, nel febbraio 2014, ha avuto inizio la cosiddetta “crisi della Crimea”, seguita in aprile dello stesso anno dallo scoppio della Guerra del Donbass (nell’Ucraina orientale), ad oggi ancora in corso. La Crimea è una penisola che si protende a sud-est dell’Ucraina nel Mar Nero; da sempre di importanza strategica, è stata a lungo area contesa, soprattutto tra Impero Ottomano e Impero russo.

Entrata nel 1920 a far parte della Russia sovietica, nel 1954 venne “donata” dall’allora leader Nikita Chruščëv alla Repubblica di Ucraina, ufficialmente in commemorazione del 300esimo anniversario del trattato di Perejaslav (cioè dalla fondazione di un Etmanato cosacco sulla riva sinistra ucraina, sotto il dominio russo). Il reale obiettivo del leader sovietico era quello di rendere maggiormente efficiente l’amministrazione della penisola, affidandola alla più vicina Ucraina, ma soprattutto di ottenere il supporto dell’establishment ucraino. Da notare inoltre che, seppur in teoria “repubblica membro” dell’Urss, l’Ucraina era, come tutte le altre, assoggettata alla supremazia russa. Dunque la donazione della Crimea non avrebbe cambiato di molto lo stato di cose: la penisola sarebbe rimasta, di fatto, russa.

Certo Chruščëv non si aspettava che, entro la fine del secolo, l’Unione Sovietica si sarebbe dissolta; né che le repubbliche-membro avrebbero dichiarato la propria indipendenza e abbandonato il Patto di Varsavia. Quando anche l’Ucraina si rese indipendente il 24 agosto 1991 (per la prima volta nella sua storia), la Crimea rimase dunque parte del suo territorio Statale.

Poco più di vent’anni dopo, il 20 febbraio 2014, ebbe inizio la “riconquista” russa della Crimea. 

Premessa della crisi furono le sanguinose rivolte di piazza in Ucraina, cioè la cosiddetta rivoluzione Euromaidan del 2013-2014, contro l’allora presidente Yanukovich, filorusso, dichiarato decaduto dal Parlamento (operazione da lui denunciata quale Colpo di Stato): questo scatenò immediatamente l’intervento di Mosca. Sebbene la propaganda russa abbia allora sostenuto che il «movimento di autodifesa di Crimea» stesse autonomamente agendo contro l’esercito ucraino, evidenziando la «necessità di proteggere i russofoni in Ucraina», l’invasione della Crimea è stata condotta dalle forze russe, che ad oggi continuano ad occupare il Paese.

Il 16 marzo 2014, la Russia indisse un referendum per annettere la Crimea alla Federazione, considerato peraltro illegale nella forma; l’annessione (la firma del trattato è avvenuta il 18 marzo 2014) non è dunque ad oggi riconosciuta né dall’UE né dall’ONU. A partire dal 2016, l’ONU ha inoltre adottato ogni anno una nuova risoluzione riguardante il rispetto dei diritti umani in Crimea dove, nonostante Putin avesse a suo tempo alluso ad un genocidio ai danni della popolazione russa dell’area, al fine di legittimare il proprio intervento, ad essere discriminate sono state soprattutto le minoranze tatara e ucraina.

La quinta risoluzione, quella del 18 novembre 2020, ha per la prima volta riconosciuto “gli organi e i funzionari della Federazione Russa” quali “autorità occupanti” in Crimea; inoltre ha ritenuto inadeguata la gestione dell’emergenza pandemica da COVID-19 da parte delle autorità russe e i numeri di decessi e contagi più alti di quelli dichiarati. Nel gennaio 2021 la Corte Europea dei Diritti umani ha accolto il ricorso dell’Ucraina contro Mosca; tra le accuse, torture, sparizioni e detenzioni illegali.

Per quanto riguarda la Guerra del Donbass, l’ennesimo conflitto dimenticato, essa prese avvio nell’aprile 2014, quando i ribelli separatisti filo-russi (con il sostegno della stessa Federazione Russa che ha fornito, tra l’altro, armi e munizioni) diedero vita a due auto-proclamate “Repubbliche Popolari”, occupando le città di Donetsk e di Lugansk. Nonostante due accordi firmati tra le parti (ribelli filo-russi e truppe ucraine) nel 2015, presso Minsk, gli scontri proseguono e il Donbass rimane diviso. 

Nel settembre 2021 i morti sono arrivati a 14mila mentre gli sfollati interni sono 1,8 milioni.

Oggi, di fronte al rinnovarsi delle tensioni sul confine dell’Ucraina orientale, il presidente Biden non tarda a fornire la sua risposta e minaccia Mosca di gravissime sanzioni economiche, tra cui il fermo alla convertibilità tra dollaro e rublo; il neo-eletto cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha inoltre precisato che le sanzioni potrebbero riguardare anche il gasdotto Nord Stream 2, di recente ultimato, che connette la Russia all’Europa. Putin ribatte parlando di “isteria dell’occidente” e affermando, come ha già fatto in passato, che la situazione nel Donbass “sembra un genocidio” (contro l’etnia russa).

Si cerca ora di trovare un accordo: martedì 7 dicembre si è tenuta una lunga videoconferenza tra i presidenti di Usa e Russia, preceduta e seguita da un colloquio telefonico tra Biden e i leader di Francia, Germania, Italia e Regno Unito. Il 9 dicembre si è infine tenuto il colloquio telefonico tra Biden e il presidente Ucraino Zelensky. Ancora una volta, si attendono ulteriori evoluzioni della crisi. 

Se è vero che nel nome delle cose sta già scritto il loro destino, non è inappropriato ricordare che Ucraina, dall’antico slavo “u krajna”, significa letteralmente “sul confine”: racchiudendo così la sua identità di territorio da sempre conteso e dilaniato.

Giulia Riva
Laureata in Storia, sto proseguendo i miei studi in Scienze Politiche, perché amo trovare nel passato le radici di oggi. Mi appassionano la politica e l’attualità, la buona letteratura e ogni storia che valga la pena di essere raccontata. Scrivere per professione è il mio sogno nel cassetto.

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