Anche questo lungo 2021 sta per concludersi e la redazione di Vulcano Statale ha preparato una lista dei 10 libri più «vulcanici» di quest’anno
Il profumo della carta, il rumore delle pagine che vengono sfogliate, la soddisfazione di riporre un bel libro sullo scaffale dopo averlo assaporato fino all’ultima riga. Dopo un anno di intense letture, noi di Vulcano Statale vogliamo condividere con voi i libri che ci hanno più emozionato e coinvolto in questo lungo 2021. Buona lettura
DISCLAIMER: i titoli non sono in ordine di preferenza o disposti come se questa fosse una vera e propria classifica.
La ladra di parole (Abi Darè, Nord Editore)
Adunni ha appena quindici anni e il cuore appesantito dalla recente scomparsa della madre quando viene data in sposa ad un uomo anziano ma piuttosto benestante di nome Morufu. La storia narrata da Abi Darè prende le mosse dal villaggio di Ikati, in Nigeria, dove spesso i padri decidono di ritirare da scuola le proprie figlie per farle sposare giovanissime, così da poter ricavare dal prezzo ricevuto in cambio della loro mano un aiuto economico.
In casa di Morufu e poi nella città di Lagos, dove sarà costretta a rifugiarsi e a lavorare come domestica per una ricca signora, che di fatto la ridurrà in schiavitù, Adunni dovrà affrontare vessazioni e violenze di ogni tipo. Per tutto questo tempo, però, ella riuscirà a non dimenticare le parole della madre, la quale desiderava ardentemente che sua figlia, dall’intelligenza vivace, non abbandonasse gli studi: «Mia mamma mi ha detto che l’istruzione mi dava una voce. Ma io non voglio una voce come le altre […] Io voglio una voce forte, una voce che la sentono tutti».
Sarà proprio la volontà di dare una voce a chi non ne ha mai avuta a darle la forza necessaria per sopravvivere e per cercare senza sosta qualcuno pronto a tenderle la mano, ad aiutarla a riacquistare la libertà che le era stata sottratta. Fortunatamente, quel qualcuno per Adunni verrà, ma ciò su cui il libro di Darè, nella sua disarmante sincerità e schiettezza, ci permette di riflettere è proprio il fatto che storie simili continuano ad accadere, e spesso a non trovare un lieto fine.
Recensione di Angela Perego.
Canto d’amore a mia madre (Richid Benzine, Narratori Corbaccio)
Questo breve romanzo, uscito lo scorso aprile, è la prima opera narrativa del suo autore, il docente universitario Rachid Benzine. In poche pagine è illustrata la relazione mutevole che può intercorrere tra un figlio e sua madre. L’autore racconta di come la sua percezione di figlio sia passata da quella di un bambino, che vede la madre come creatura perfetta ed onnipotente, a quella del giovane uomo che prova imbarazzo per una donna analfabeta e incapace di parlare la lingua del paese in cui abita, fino a quella dell’adulto riconoscente verso i sacrifici dei suoi genitori.
Benzine ha il coraggio di ammettere tutte quelle verità che ogni figlio ha conosciuto almeno una volta nella vita: la frustrazione per un divieto, la vergogna per il modo di parlare dei genitori, la scoperta della loro sessualità, la consapevolezza della loro finitezza. Conciso, reale, drammatico eppure a tratti comico, Benzine riesce a rivolgersi al pubblico più ampio immaginabile, quello dei figli, attingendo dalle sue personali esperienze come da un patrimonio comune di ricordi che ciascuno potrebbe fare propri.
Recensione di Cristina Delli Carri.
Due Vite (Emanuele Trevi, Piccola Biblioteca Neri Pozza)
Intenso, incisivo ed autentico, Due Vite di Emanuele Trevi è il Vincitore del Premio Strega 2021. Un’autobiografia, il ricordo di un’amicizia raccontato con la sensibilità, quasi poetica, tipica di Trevi. Due vite, quella di Rocco, freddo e saturnino e quella di Pia, elegante ed incantevole.
Non è importante che si conoscano le due persone di cui Trevi parli, Rocco Carbone e Pia Pera vengono perfettamente descritti e raccontati dall’autore, che con le sue parole amorevoli e delicate, ma allo stesso tempo nostalgiche, dipinge perfettamente il ritratto di due scrittori scomparsi troppo presto. Mai scontato, Trevi racconta l’amicizia con delicatezza e grazia.
La qualità della scrittura di Trevi è indiscutibile, le sue scelte lessicali sono accurate e mai pretenziose. Due Vite è un piccolo gioiello della letteratura moderna, un privilegio poter leggere dei ricordi così intimi, tanto personali ma che allo stesso tempo possono essere compresi da tutti.
«Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene.»
Recensione di Rebecca Pignatiello.
Il pane perduto (Edith Bruck, La Nave di Teseo)
Vincitore del Premio Strega Giovani 2021, Il pane perduto è un meraviglioso e struggente romanzo autobiografico che racconta la storia della giovane Dikte, una ragazzina ungherese di origine ebraica, destinata a diventare proprio l’autrice di questo libro.
Proseguendo a piccole tappe il racconto narra, in prima persona, gli eventi principali della vita di Dikte: la paura della guerra, la deportazione nei campi di concentramento, la fortuna di essersi salvata con la sorella, ma anche il grande dolore di aver perso i genitori e un fratello. E ancora i suoi viaggi, prima in Israele e poi in giro per l’Europa, fino a raggiungere l’Italia dove rimarrà per il resto della sua vita. In mezzo a questo innumerevole susseguirsi di vicende, a scandire la narrazione è proprio la scrittura, unico punto di riferimento e unica sicurezza per Dikte, ossia Edith Bruck, desiderosa costantemente di mettere per iscritto i suoi pensieri, i racconti di ciò che ha vissuto e di ciò che ha subito. Il risultato del suo bisogno di scrivere è proprio questo romanzo.
Il pane perduto vuole essere un’importante testimonianza, portavoce di tutti coloro che, proprio come Dikte-Edith, hanno visto sottrarsi la loro intera vita quotidiana, persa a causa degli orrori subiti, e vogliono ora raccontarlo, in modo tale che il ricordo non possa mai essere cancellato e possa essere, allo stesso tempo, un potente insegnamento per far sì che ciò che è accaduto non capiti di nuovo nel mondo di oggi.
Recensione di Matilde Elisa Sala.
Atti di sottomissione (Megan Nolan, NNE)
Atti di sottomissione (con cui è stato restituito in italiano il titolo originale, Acts of desperation) è il romanzo d’esordio dell’autrice irlandese Megan Nolan, tradotto da Tiziana Lo Porto. L’opera ha da subito fatto parlare di sé: è in ragione di questo successo che abbiamo scelto di farne menzione, pur avendo riscontrato al suo interno alcuni difetti.
È la storia di una giovane donna incapace di fare a meno della relazione con gli uomini, che si tratti di una relazione duratura o di sesso occasionale, nella convinzione di poter dare soltanto in questo modo verità e consistenza alla propria persona. La protagonista (di cui non conosciamo il nome) resterà per anni imprigionata in una relazione estremamente dannosa con un uomo di nome Ciaran.
I temi affrontati dall’autrice sono tanti e pesano parecchio: dipendenza affettiva, abuso di alcool, autolesionismo, oltre che il racconto di uno stupro e di altri rapporti sessuali che si svolgono al limite del consenziente. Tuttavia, se la condizione di questa giovane donna al momento della sua relazione con Ciaran viene descritta minuziosamente, quasi nulla sappiamo della sua vita pregressa, di che cosa l’abbia portata a sviluppare questo disperato bisogno di restare ancorata a situazioni di anti-amore. Anche il modo in cui essa riesce infine a liberarsene è stato poco approfondito: la riconquista del proprio io viene compressa in un’unica scena, all’interno di un finale un po’ sbrigativo.
Se c’è però un aspetto che Megan Nolan riesce a far emergere, è l’importanza di non rinnegare le proprie difficoltà, riconoscendole parte di noi e imparando a perdonarci: «Odio la mia debolezza, ciò di cui mi sono privata e che ho dato a lui, ma la amo anche, la amo ancora. […] Amo la ragazza che ha fatto queste cose. La amo perché mi dispiace per lei, e la capisco».
Recensione di Angela Perego.
E Dio rise (Marc-Alain Ouaknin, presentato da Moni Ovadia, Libreria Pienogiorno)
Sorprendenti e stravaganti le pagine presentate da Moni Ovadia in E Dio rise. Un’inconfondibile copertina gialla numerose storielle tratte dalla Bible de l’humour juif di Marc-Alain Ouaknin, la più documentata e completa raccolta sull’umorismo ebraico. Trecento pagine, che secondo Ouaknin non andrebbero lette difilate per non nuocere alla sorpresa spiazzante da cui scaturisce l’umorismo, sviluppano un universo ben strutturato a seconda di chi sta nel mirino delle battute yiddish: mamme e suocere, medici e psichiatri, mogli e mariti, rabbini e discepoli, ebrei e non ebrei, ma soprattutto Dio. «Dio stesso diventa un eroe di questa grande saga burlesca» dichiara Moni Ovadia «dove credenza e fede si scontrano e dove Dio, talvolta presente, spesso assente viene invocato o rigettato in base all’umore delle sue creature».
In questi motti di spirito le parole, il cui senso primo è spesso sbiadito, recuperano il loro significato pieno e riacquistano nuova potenza. L’umorismo diviene una nuova guida verso la comprensione dell’altro e dunque un’arma di pace. L’ebreo che si sottopone incessantemente alla satira e allo sberleffo non teme la franchezza brutale, eppure non giunge mai al cinismo; è riuscito a comprendere come il riso sia il vero e unico ingrediente per ritrovare la leggerezza del vivere e dunque una medicina contro la malattia delle disgrazie umane.
Recensione di Rebecca Nicastri.
Il re ombra (Maaza Mengiste, Einaudi)
Quando la storia viene riscritta da un nuovo punto di vista, il risultato è Il re ombra di Maaza Mengiste. Nelle pagine del suo romanzo l’autrice propone un excursus dell’occupazione mussoliniana in Etiopia, raccontando con cura e attenzione i drammi di un’invasione. Sono i vincitori a scrivere la storia, sono gli uomini a riempire i romanzi con le loro avventure belliche e con i loro commenti. Il re ombra è un tributo all’impegno femminile in battaglia, un ricordo finalmente ricomposto delle fatiche e delle rinunce che le donne etiopi sono state costrette a sopportare durante l’occupazione italiana.
Il testo richiede al lettore una certa concentrazione, necessaria a districarsi con successo tra i nomi dei molti personaggi e nelle relazioni che intercorrono tra gli stessi. Le foto di guerra inserite a commento della storia accompagnano la lettura illustrando con potenza gli atti del conflitto e garantendo un’immersione profonda nel passato. Il punto di vista si sposta spesso tra i personaggi, componendo un puzzle dove niente è solo bianco o solo nero: uomini eroici etiopi sono anche violenti e irosi, gli spietati invasori italiani sono anche persone spaventate dalla prospettiva di non riabbracciare più le loro famiglie.
Il risultato di questa composizione di sguardi è una vicenda appassionante e mai univoca, dove il valore della relatività della narrazione storica trova la sua giusta importanza.
Recensione di Beatrice Balbinot.
I figli della polvere. Le indagini dell’ispettore Erlendur Sveinsson ( Arnaldur Indriðason, Guanda)
Che cosa hanno in comune un malato di schizofrenia che si suicida buttandosi da una finestra e un anziano insegnante che muore nella sua casa a causa di un incendio doloso? Il legame tra i due eventi, apparentemente così distanti, è il sottile filo rosso che guida le avvincenti indagini del detective Sveinsson, anima irrequieta e tenebrosa ma capace di soluzioni brillanti e inaspettate.
In questo giallo dal sapore tutto irlandese colpi di scena magistralmente giostrati e indizi sapientemente distribuiti tra le pagine della vicenda conducono il lettore ad un finale sorprendente. Il personaggio del detective Sveinsson, così cupo e mutevole, aggiunge un motivo di introspezione per il lettore, che divora le indagini sentendosi coinvolto nel bisogno di giustizia e nei tormenti dell’investigatore protagonista.
Arnaldur Indriðason compone un mistero dell’epilogo inaspettato, costruendo il racconto calibrando con attenzione mistero e spiegazione di dettagli fondamentali e regalando al pubblico un giallo ottimamente riuscito.
Recensione di Beatrice Balbinot.
Il mondo invisibile (Liz Moore, NNE)
Tra le pagine di Il mondo invisibile si indagano i rapporti misteriosi tra una figlia e suo padre, celati e protetti dalla tecnologia. Ada è una bambina allegra e sinceramente legata al padre David, eccentrico scienziato che nella Boston degli anni Ottanta sta lavorando ad un avanzato sistema in grado di riprodurre il linguaggio umano. La piccola Ada trascorre tutta la sua infanzia nel piccolo angolo di mondo, fatto tutto di calcoli e algoritmi, che il padre aveva ritagliato per lei.
Il contatto con il mondo reale, quello al di fuori del laboratorio dell’amato papà, sarà però inevitabile dopo la morte di David, lutto che costringerà Ada a interrogarsi sulle sue origini e ad indagare sull‘identità del genitore.
In questo romanzo, ricco di colpi di scena e di indovinelli tutti da risolvere, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale: è il ponte tra il presente e un passato misterioso, è la chiave di lettura della realtà, è una protezione e allo stesso tempo una spinta a scoprire nuove avventure. Il lettore è guidato in un’avvincente storia di misteri e suspance, mentre riflette sulle possibilità di questo nostro nuovo mondo tecnologico.
Recensione di Beatrice Balbinot.
Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia (Zerocalcare, Bao Publishing)
Tra i primi nella classifica dei libri più venduti in Italia, Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia di Michele Rech, in arte Zerocalcare, è assolutamente una lettura che parla alla contemporaneità con un linguaggio sincero e lancinante.
Un libro costituito da tante storie, apparentemente disgiunte ma in realtà legate dal filo casuale della quotidiana contemporaneità.
I diversi racconti sono tratti dalla biografia degli ultimi due anni del fumettista e dai fatti principali del suo paese e non solo. L’autore, con il suo tratto ormai brevettato e i suoi personaggi tanto irreali quanto concreti, ci narra con i suoi disegni la condizione dei carcerati dopo la prima ondata della pandemia, la condizione degli Ezidi in Iraq arrivando infine a raccontare la sua personale esperienza nell’ultimo anno, non felice dal punto di vista della sanità pubblica.
Recensione di Simone Muciaccia.